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Oliver Stone, bersaglio nato

Intervista al regista americano, al TaorminaFilmFest per una masterclass di cinema.
di Ilaria Ravarino

Oliver Stone a Taormina.
Oliver Stone (77 anni) 15 settembre 1946, New York City (New York - USA) - Vergine.

lunedì 13 giugno 2011 - Incontri

L'Italia, a Oliver Stone, interessa. Parecchio. Invitato al TaorminaFilmFest per una lezione di cinema, il regista americano è stato il primo a rompere il silenzio sulla situazione politica del nostro paese, primo ospite a prendere di petto il convitato di pietra: «Se siete tutti qui ad ascoltare me – ha detto - mi auguro che abbiate già votato per il referendum contro la privatizzazione dell'acqua, giusto? Avete votato, vero?». In Sicilia in una pausa dal location scouting californiano per il suo prossimo film, Savages, le cui riprese cominceranno fra tre settimane, Stone è un animale politico anche quando non vorrebbe. I ragazzi che l'ascoltano nel Palazzo dei Congressi gli chiedono di Obama e di Berlusconi, lui si rifiuta di rispondere, poi però si scioglie con una domanda sul suo Fidel Castro. Ed è impossibile arrestarlo. È un fiume in piena quando racconta il tema del suo prossimo documentario tv, The untold story of the United States, diventa una furia quando arriva puntuale la domanda su JFK: «Mi tengo ancora molto informato sulla morte di Kennedy. E non cambio idea: continuo a pensare che se l'hanno ucciso è stato per motivi politici». Dice di sentirsi «un bersaglio nato, da sempre», ma è proprio lui il primo ad attaccare: «In America non si possono più fare film politici. L'unica soluzione è fare un film alla Hitchcock, e metterci dentro un pizzico di Marx».

In The untold story of the United States racconterà gli ultimi 100 anni di storia americana. È stato difficile ricostruirli?
Ci ho lavorato per tre anni, è un progetto televisivo e vasto, supera le 10 ore di durata. La cosa più difficile è stato rendere la storia una materia di intrattenimento, che possa cioè interessare anche i giovani. Io vorrei dire quel che non è mai stato raccontato, fuori da qualsiasi condizionamento. Gli Stati Uniti sembrano una società libera, e invece sono chiusi. Chiusi dagli oceani, autoreferenziali, vittime della conformità del pensiero. La storia che si raccontano nei libri è etnocentrica, con questa autorappresentazione degli americani come esseri buoni. Ecco, io voglio mettere in discussione questa ortodossia.

Nel documentario parlerà solo dell'America o anche dell'Europa? E dell'Italia?
Europa, Asia e Africa saranno nel documentario e saranno affrontati in quanto continenti. Si parlerà delle operazioni di successo della Cia e di come abbia influenzato tutta l'era postbellica e quella della guerra fredda, anche in Italia. Senza la Cia, magari, le elezioni del '48 nel vostro paese sarebbero andate in modo diverso. Senza quegli interventi l'Italia sarebbe potuta diventare comunista, o magari più socialista. Si parlerà anche della Nato, che tuttora esiste: l'Italia non solo ne è membro, ma addirittura ha dato un sostanziale contributo alla guerra in Iraq e in Afghanistan. Trovo che il vostro paese abbia perso voce, capacità e forza di parlare e ribellarsi contro l'operazione di polizia perpetrata negli anni dagli Stati Uniti. Restando in Italia, un altro fattore importante nelle relazioni tra il vostro paese e gli Stati Uniti è stato il caso della Morgan Bank, che dopo la prima guerra mondiale supportò Mussolini e la diffusione del fascismo. Ma nel documentario si parlerà anche delle disastrose campagne militari Usa e inglesi durante la seconda guerra mondiale in Sicilia, e di Enrico Mattei: un uomo all'avanguardia e aperto, un moderno uomo del petrolio. C'è ancora mistero sulle cause della sua morte, e molti sostengono che sia implicata la Cia.

Ha visto il film di Rosi, Il caso Mattei?
Sì, molti anni fa.

L'America ama i film politici?
No, e infatti non sono mai successi commerciali. Al regista che fa politica si affibbia un'etichetta di cui non può più liberarsi: io mi sento un drammaturgo, ma dei miei film si parla più per il contenuto di cronaca che per l'avanguardia sperimentale. Con i documentari invece si può essere più politici.

Eppure sono in preparazione film sulla Tatcher, sulla Palin...
Quelli sono film su politici, non film politici. E comunque hanno difficoltà: il mio W., il film su Bush, era un film completamente indipendente e fatto senza aiuti. Ripeto: è difficile fare film che abbiano una dimensione politica in America, specialmente se progressisti.

Il suo prossimo film sarà politico?
Savages è tratto da un romanzo, sarà una specie di western e parlerà del commercio della droga nel sud della California. Là vivono e lavorano, in un clima semi-legale, dei veri gangster che vendono erba e cercano di mettere radici fra i giovani. Il racconto non sarà lineare, tornerò indietro nel tempo anche fino al '900, ma l'argomento è molto attuale. Lo spunto viene dalla legalizzazione in California della cannabis per usi medici. In California per me oggi si produce la migliore erba, quella fatta con i semi giusti: la migliore si chiama "Original Gangster LA.". Il film parlerà di persone che producono marijuana a prezzi competitivi e che oggi devono confrontarsi con questa nuova industria della California del sud. Un vero conflitto nato tra il tradizionale mondo dell'industria della marijuana e i nuovi produttori emergenti.

Chi sarà nel cast?
Salma Hayek, John Travolta, Uma Thurman e Benicio del Toro.

Nei suoi film, oltre alla politica, ricorre anche il tema del rapporto padre-figlio. Perché?
I rapporti con i genitori sono sempre importanti. In Alexander, per esempio, abbiamo un padre e una madre molto forti e un figlio in cerca della sua identità. Anche nel dramma greco la genitorialità è un tema ricorrente, e del resto credo che in Alexander ci sia molto della mia stessa madre. Era meno bella di Angelina Jolie, ma per me era stupenda e potente. Mio padre è una figura che ho sempre rispettato, mi ha fatto lavorare sodo e mi ha fatto studiare, era bravissimo in matematica e in economia e io non mi sono mai sentito adeguato. A mia volta ho alte aspettative sui miei tre figli, li sprono a scuola e mi arrabbio se non studiano.

Alexander ha ottenuto il successo commerciale ma è stato stroncato: perché?
Era un film molto complesso, con un personaggio conflittuale, in pieno trauma edipico, un avventuriero che non vuol mai tornare a casa, insoddisfatto e tormentato. Avrei voluto che il film fosse più lungo e diviso in due parti, ma ho avuto molte pressioni per rispettare il contratto. La critica in America è stata feroce, ma per fortuna all'estero abbiamo avuto un buon successo commerciale: il film è stato diffuso in 24 paesi e alla fine siamo entrati nella top 20 dei maggiori incassi. Ma è stato attaccato selvaggiamente, hanno persino detto che Alexander era il peggior film mai realizzato dalla nascita del cinema. Ho sofferto molto, e nonostante ciò continuo a lavorarci e a mostrarlo in giro. Spero che un giorno quel film rinasca, in fondo anche Coppola ha ri-presentato il suo Napoleone. Ci sono film che sono progetti folli, e che pian piano migliorano. Io sarei già pronto a fare una nuova edizione di Alexander.

Cosa ha cambiato nell'ultima revisione del film?
Ho come restaurato la sceneggiatura: ho riassestato il difficile equilibrio tra il viaggio interno del protagonista nel rapporto con i suoi genitori, e il viaggio esterno nella terra delle indie.

C'è qualcosa in comune tra Alessandro e gli altri personaggi del suo cinema?
In qualche modo mi ricorda Bush figlio. Bush padre è un uomo a due dimensioni, in bianco e nero, e suo figlio, che ha più personalità, non ha avuto lo stesso successo nella vita. E così Bush figlio ha finito per completare il lavoro che nel '93 suo padre aveva lasciato in sospeso. Ovviamente non lo considero un eroe, ma sento empatia per un personaggio più patetico che tragico. Solo in questo è simile ad Alessandro. Per il resto, naturalmente non c'è paragone: Alessandro ha diffuso le culture del Medio Oriente e della Grecia, ha creduto nell' unificazione dei popoli.

C'è un parallelo tra la parabola di Alessandro e la storia di Cristo?
No. Il messaggio di Alessandro era precristiano, lui era un ammiratore dei filosofi greci e indiani e voleva che le culture si fondessero. Era un uomo molto acculturato, immerso in un mondo di sopravvivenza e di forza. L'esperienza di Gesù è stata diversa. In comune hanno la morte, a 33 anni.

Perché ha dovuto imbruttire Colin Farrell in Alexander?
Gli ho tinto i capelli perché al tempo, per i greci, il biondo era il colore di moda. Qualcuno sarà stato felice del film, altri si saranno distratti a guardare il colore dei capelli di Farrell.

Come ha iniziato a fare cinema?
Da giovane avevo scritto un romanzo, "A child's night dream". Me l'hanno rifiutato e mi sono molto rattristato. Allora sono tornato in Vietnam, dove lavoravo come insegnante, deciso ad abbandonare la scrittura. Era stata una delusione terribile. Là, nella giungla, cominciai a fare degli scatti con la fotocamera: la fotografia mi mise in contatto con altri modi di guardare la realtà, e quando tornai in America lasciai perdere definitivamente il mondo della scrittura, troppo chiuso e snob, e mi iscrissi a una scuola di cinema. Girai dei corti, e anche in quel caso sopportai molti rifiuti e delusioni. Fu un italiano ad aiutarmi, Fernando Ghia, un produttore che opzionò uno dei miei primi lavori. Ho saputo che è morto, mi è molto dispiaciuto.

Lei ha lavorato anche con Tarantino: in che rapporti siete?
Tarantino ha un immenso talento ed è mio amico, nel modo con il quale Tarantino può essere amico di qualcuno. Ai tempi di Natural born killer era un giovane sceneggiatore, arrabbiatissimo perché gli avevano cambiato il soggetto. Mi autodenuncio: la maggior parte dei cambiamenti li decisi io. C'è chi pensa che il proprio lavoro non vada nemmeno toccato, mentre per me il film è frutto di una collaborazione. Tarantino è stato pagato profumatamente per il suo lavoro e conosceva gli accordi, sapeva che avrebbe perso tutti i diritti. Mi dispiace perché più volte ha attaccato film e ha dichiarato di non averlo mai voluto vedere.

Tornerà mai alla scrittura di un romanzo?
Non è detto che non rimetta le mani su una nuova versione di "A child's night dream", un progetto che sta diventando come Alexander: potenzialmente infinito. E poi tornerò alla scrittura un'ultima volta, a fine carriera.

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