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Storia "poconormale" del cinema: puntata 99

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Una scena del film Il giardino dei Finzi Contini .
Dominique Sanda (Dominique Varaigne) (76 anni) 11 marzo 1948, Parigi (Francia) - Pesci. Interpreta Micol Finzi-Contini nel film di Vittorio De Sica Il giardino dei Finzi Contini.

venerdì 14 gennaio 2011 - Focus

È certamente legittimo definire gli anni settanta un decennio ideologico. Come detto, Elio Petri, nome emergente di quelle stagioni, veniva dalla critica ufficiale di sinistra. Un'altra lettura di quell'epoca può essere il "disordine". Le grandi vicende globali, la forte ribellione giovanile e ideologica ponevano le basi per una cultura, e un'azione, bipolari. Non ci sarebbe più stata una verità accettata. A una "verità" si sarebbe subito opposta una "verità" contraria. Un meccanismo che si sarebbe perfezionato, diciamo così, nelle epoche successive, che vale, più che mai, nella nostra epoca. E non ci sarebbero più stati maestri indiscussi, legislatori accettati da tutti. Eccolo il disordine, che avrebbe aperto tutti gli spazi. Ecco la ragione delle grandi individualità del cinema e della fine dei movimenti e delle correnti. Il cinema si poneva al fianco delle grandi evoluzioni e dei momenti politici. Tutto era liquido e veloce. Nessun punto sarebbe più stato fermo. Tutto questo erano possibilità e pascoli molto vasti. E il cinema ne avrebbe approfittato.

Realismo
Per spiegare questo concetto può valere un esempio, importante, nostro. Il cinema del realismo. Gli si può applicare la teoria dello Stato nascente "alberoniano". Si pone una certa condizione per un movimento, che sia politico, o artistico. L'idea appare vincente e percorribile, intorno si catalizzano le intelligenze, si afferma un leader e poi il movimento prende forma, esiste, si espande nell'entusiasmo, ha successo. E si accredita.
Il Neorealismo non poteva non nascere così com'è nato. Il nostro dopoguerra, la sconfitta, la povertà -il monte dei pegni- l'istinto e la fantasia della sopravvivenza, la speranza. E poi l'estetica: quei vestiti sdruciti, le strade larghe e senza macchine, i tram del mattino con la gente sui predellini, i ponti di barche, gli alti fumaioli delle fabbriche, finalmente fumanti. I muri coi segni delle esplosioni, i quartieri di macerie. Le donne che sembravano tutte Anna Magnani, e gli uomini che sembravano il Maggiorani al quale avevano rubato la bicicletta. E poi i leader, naturalmente, gente che ci sapeva fare, che si frequentava, che parlava, De Sica, Rossellini, Visconti...
Quella era una vicenda forte e univoca, c'era poco da inventare. Non era liquida. Certi fotogrammi di quegli autori non sai se sono fiction o documento. Trent'anni dopo non era rintracciabile uno Stato nascente. Ce ne sarebbero stati molti, confusi e morenti. E il cinema avrebbe attinto qua e là. E siccome il cinema sa essere furbo, ecco che molti film sarebbero stati comunque di qualità. Fuori dai movimenti.

Eco
Un segnale arriva da quella strepitosa stagione fino al decennio settanta. Arriva esattamente nel 1972. Vittorio De Sica è in vacanza a Positano. Qualcuno gli telefona, "Guarda che hai vinto l'Oscar". Vittorio pensa a uno scherzo. Eppure la cosa non è inverosimile, lui ne ha già vinti tre. Con lui ci sono i figli, già ragazzi. Christian dichiarerà: "Non ricordo di aver mai visto papà così felice". De Sica, settantunenne partecipava all'Academy Awards con Il giardino dei Finzi Contini, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. Era la vicenda di un'agiata famiglia ebrea di Ferrara negli anni trenta. La vita felice viene interrotta dalle leggi razziali fasciste.
De Sica si era applicato al libro di Bassani con assoluta modestia, preoccupandosi del racconto piuttosto che del suo intervento artistico. Faceva un film a immagine e somiglianza dello scrittore, non di se stesso. Un film davvero diverso rispetto a quelli della grande stagione del nostro cinema e di De Sica: Ladri di biciclette, Sciuscià, e altri.
Dunque quel quarto riconoscimento era una magnifica sorpresa. Ed era un'eco di nobiltà per il decennio.

Storico
E non è finita, due anni dopo Hollywood attribuiva un altro Oscar, nettamente storico questa volta. Il vincitore era Federico Fellini, con Amarcord. Il regista di Rimini qualche anno dopo se ne sarebbe visto consegnare un quinto, alla carriera. Era un attestato americano definitivo, una sorta di giubileo: Fellini era il cinema, nessuno come lui. Amarcord è un'opera generale del novecento. Fellini ricorda la sua vita, a modo suo, disordinato, anarchico, geniale, dolce e amaro. Altro momento di nobiltà del decennio. Film per il mondo, da autori del mondo.

Finale
La parte finale dei Settanta ci riserva altri due riconoscimenti, alti, due Palme d'oro. Nel '77 a Padre padrone, dei Taviani, e l'anno dopo a L'albero degli Zoccoli di Olmi. Tratto dal romanzo, che fu a quel tempo un bestseller, di Gavino Ledda, il film dei fratelli è un segnale non improprio della cultura di quegli anni, la ribellione, in questo caso a un genitore padrone, violento e ignorante. L'opera di Olmi è un trionfo del reale, che si esprimeva anche con un'edizione in strettissimo dialetto bergamasco. Reale significa anche una prospettiva della vita contadina di fine ottocento, in quell'ardente e difficile momento storico: povertà, scontri di classe, destini già scritti.
Finivamo un decennio complesso, ideologico, dando tanti segnali, ricordandoci che fino a poco tempo prima il nostro cinema era un esempio e un'ispirazione di tutte le culture.

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