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La crisi del festival di Cannes

Titoli di mercato, titoli d'autore e qualità.
di Pino Farinotti

Ragioni di mercato
Russell Crowe (Russell Ira Crowe) (60 anni) 7 aprile 1964, Wellington (Nuova Zelanda) - Ariete. Interpreta Robin Hood nel film di Ridley Scott Robin Hood.

lunedì 24 maggio 2010 - Focus

Ragioni di mercato
La scarsa qualità, riconosciuta all'unanimità, delle proposte del festival di Cannes ha lasciato spazio ad altri discorsi. Se non hai occasione di raccontare opere importanti, per lo meno adeguate, ecco che in automatico, debbano emergere le crepe di una manifestazione che da anni sta declinando. Connotare questo declino certo non è semplice, non basterebbe un articolo, occorrerebbe un libro, ma di quelli alla Dan Brown, dalle mille pagine in su. È la critica, per lo meno la corrente critica prevalente, che si pone di fronte a un nodo di difficilissima soluzione. La ragione della profonda caduta di qualità generale del festival starebbe nel mercato. Ci sono autori e produttori che per ragioni di mercato privilegiano le sale rispetto alla manifestazione (programmando il titolo prima in sala che a Cannes, appunto, togliendogli così il prestigio dell'esclusiva e dell'anteprima). Il titolo esemplare è Robin Hood di Scott, che ha preceduto, in tutto il Paese, seppure di poco, l'anteprima "istituzionale".

Profilo
Naturalmente come ho detto prima, viene rilevato, il basso profilo delle proposte di qualità, dei titoli seri, che appartengono ai critici e ai cinefili. È la solita vicenda della demarcazione fra la nobiltà e il mercato. La critica avoca a sé la nobiltà, il diritto di farla propria e di sottrarla alla massa dell'utenza, alla quale invece può appartenere il mercato. Non ci saranno gelosie. Il grande nodo sta, appunto, nell'evoluzione e nella decadenza. E Cannes ha impietosamente messo a nudo le contraddizioni e le cadute. Ma c'è dell'altro. Al festival erano presenti grandi autori, maestri meritatamente accreditati, e opportunamente stanchi. Ne cito due: Jean Luc Godard, presente col suo Film Socialisme, un racconto politico sull'Europa mediterranea, presenti le solite intense, magari un po' ermetiche metafore dell'autore. Godard mantiene il privilegio di andare dritto per la propria strada e quello di non essere capito e visto dal grande pubblico. È grande e onesto poeta solipsista, si specchia con se stesso e non intende, non ha mai inteso, confrontarsi col mercato.

Sequel
La seconda citazione è per Nikita Mikhalkov, col suo Sole ingannatore 2. È il sequel del primo Sole ingannatore che nel 2004 diede al regista il Premio della critica a Cannes. Racconta la storia di un generale che sfuggito ai gulag, siamo nel 1941, si arruola come soldato semplice e combatte contro i nazisti. Il regista ha dovuto cercare lo spettacolo e, in qualche modo, accettare il compromesso "disprezzato" da Godard.
Lo ha dichiarato esplicitamente lo stesso Mikhalkov: "Nasco con opere d'autore, e continuo a considerarmi tale, è come un'ostrica, ma non si può vivere di sole ostriche, occorrono anche pane e salame". L'autore russo ha spiegato se stesso, il disagio di Cannes, e soprattutto, il disagio del cinema.

Paradossale
E c'è un altro nodo, i troppi festival. Autori e produttori si trovano in una situazione di troppa offerta, non è paradossale. Perché entrano in gioco valutazioni complesse. Certo Cannes è prestigiosa, ma poi c'è Venezia, Berlino, Roma, Toronto, Los Angeles.
Puoi scegliere le condizioni migliori, significa che gli organizzatori si trovano in situazioni di vero e proprio ricatto. "Fammi le condizioni che voglio, altrimenti vado altrove." Il gioco è possibile perché ormai, le identità delle manifestazioni non sono più univoche. Cannes significava qualità, Oscar mercato, Venezia cercava di mediare. Gli autori preparavano i film secondo culture diverse, la politica, il momento autoctono d'attualità, la concorrenza "etnica", organizzate e aggressive. E così Mikhalkov deve preoccuparsi delle mediazioni, fra qualità e botteghino, e capire se per quel certo festival la mediazione è quella giusta. Non è semplice. Poi ci sarebbe il pubblico, che vorrebbe andare al cinema non uscirne sconcertato o depresso.

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