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Dostojevskij e il suo amico Montaldo: fra cinema e realtà

Montaldo fa un bilancio dell'impegno rivoluzionario dello scrittore russo.
di Pino Farinotti

L'impegno intellettuale di Montaldo

lunedì 28 aprile 2008 - Focus

L'impegno intellettuale di Montaldo
Conosco Giuliano Montaldo, entrambi facciamo parte del Comitato scientifico del Centro Sperimentale di Cinematografia (o Scuola nazionale del cinema). Insieme abbiamo contribuito alla stesura del programma didattico di quella che è la più antica (forse la più importante) scuola di cinema del mondo. Montaldo è nato nel 1930, ma ... ha vent'anni. L'attenzione verso i giovani e giovanissimi è ... come lui, rigorosa e appassionata. Montaldo è un uomo di sinistra, ma quella vera e nobile, quella di Risi e Monicelli. Da giovane voleva fare la rivoluzione come la fanno i giovani, poi con l'esperienza e la cultura la prima intenzione si è evoluta in azione intellettuale e umana piena di energia, una rappresentazione di modelli che hanno dettato codici forti e inalienabili. E qui l'avallo mi viene direttamente da un suo virgolettato: "Ho voluto raccontare la mia intolleranza per le bombe e i 'bombaroli', la mia insofferenza per la violenza e verso tutti coloro che credono di poter cambiare il mondo uccidendo degli innocenti. Questi uomini sono semplicemente dei criminali che si nascondono dietro grandi ideali... credo che la rivoluzione si debba fare con le idee, per questa ragione ho messo a confronto un intellettuale con dei falsi rivoluzionari. Il mio film mi permetteva di raccontare il dubbio, di osservare da vicino Dostojevskij, fare un bilancio del suo impegno rivoluzionario e affrontare i demoni della sua coscienza nel timore di essere stato un cattivo maestro per le nuove generazioni". Riaffermo dunque, avendone esperienza diretta, che Giuliano Montaldo è un ottimo maestro per le nuove generazioni. È un innamorato delle grandi manifestazioni umane, ama gli eroi, ama chi muore per un'ingiustizia assoluta (Sacco e Vanzetti) chi per un'indicazione ideale e decisiva (Giordano Bruno) e ama chi trova altri mondi (Marco Polo). A lui per primo ho dato il mio ultimo romanzo, "L'eroe" appunto, quando era ancora in bozze, storia di un occidentale che vuole fare un'azione rivoluzionaria violenta, ma poi si "corregge".

I demoni di Dostojevskij
Lo strumento per questa sua indicazione il regista lo ha rinvenuto in una della massime intelligenze del Novecento, Fedor Michailovic Dostojevskij, appunto. Dello scrittore privilegia la parte, diciamo così, politico-avventurosa, quella che lo condusse a una deportazione di quattro anni in Siberia. La vita di Dostojevskij è davvero un romanzo di dolore estremo: la condanna a morte, la deportazione, l'epilessia, il vizio del gioco, la morte vicinissima di moglie e figlio, l'assillo di dover scrivere per rincorrere i debiti. Montaldo racconta in una sequenza un episodio vero, e anche lì trattasi di realtà ben oltre il cinema. Quando lo scrittore ventottenne, già affermato, venne condannato per l'adesione a un circolo socialista. Fedor si vide puntare i fucili del plotone d'esecuzione, un momento prima del fuoco lo Zar in persona fermò tutto concedendo la grazia. Uno scherzo davvero alla "romanzo di Dostojevskij". Nel film lo scrittore viene a conoscenza del luogo e del momento in cui un gruppo rivoluzionario attenterà alla vita dell'arciduca. Così avverte le autorità, non tanto per salvare il membro della famiglia reale, ma per salvare i rivoluzionari da se stessi, dalla loro violenza. Cerca di dissuaderli ma non ci riesce. Si sente rispondere che loro, gli attentatori, si rifanno proprio ai principi dello scrittore, quelli veri, onesti e attivi della sua prima fase. È questo il demone dominante di Dostojevskij. Montaldo racconta con chiarezza, senza la frenesia visionaria di gran parte del cinema contemporaneo (un'unica citazione, un Paul Greengrass di The Bourne Ultimatum).

Il ruolo della scrittura
Applicando lo scrittore russo alla propria tesi il regista non fa altro che valersi delle licenze che il cinema può permettersi. Non manca qualche ingenuità e qualche simbolo un po' facile, come quello dell'aquila ferita a un'ala e curata dai detenuti in Siberia e che, alla fine vola alta come la libertà. Ciò che manca, ma poteva starci in virtù delle licenze dette sopra, è lo scrittore. In questa sede di "scrittura" dobbiamo a Dostojevskij un altro stralcio a integrare. Nel 1865 pubblicò "Le memorie dal sottosuolo", un romanzo sulla redenzione, sull'evoluzione e sul ruolo dell'intelligenza. La scrittura è molto, molto più avanti di quella data, grazie all'uso puntuale dei simboli e delle metafore – e non erano scoperte scontate, allora - e al contrasto fra la ragione e il sentimento rappresentato in chiavi nuove e allarmanti. Un altro riferimento, nostro: l'ultima edizione dei "Promessi sposi" è del 1840, precede le "Memorie" di solo 25 anni, eppure il capolavoro del Manzoni rimane una magnifica architrave vicina al Settecento, mentre il titolo russo va a lambire il Novecento. I personaggi di Dostojevskij sono sempre di fronte a nodi assoluti, a volte mortali: il contrasto fra ciò che è e ciò che appare, il conciliare gli opposti, il fascino degli estremi del bene e del male, la tentazione di punire e punirsi, e una spietata autoanalisi. Tutto questo, attraverso titoli come "Il giocatore", "I demoni", "I fratelli Karamazov", ci porta, come detto, al secolo scorso.

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