“Sono stata una bambina triste”.
“Anch’io sono nata triste”.
Beatrice e Donatella sono due donne in crisi, sole, ferite dalla vita che le ha private dell’affetto di cui hanno disperatamente bisogno. Ingannate e umiliate da maschi incapaci di comprenderle e amarle veramente.
Accumunate dalla depressione e dalla malattia mentale, si incontrano a Villa Biondi, una moderna comunità terapeutica per il recupero e la cura di disturbi psichici situata nella campagna pistoiese.
Se non fosse per il ricovero a Villa Biondi non si sarebbero mai conosciute, perché, a parte i problemi psichiatrici, non potrebbero essere più diverse.
Beatrice è una donna aristocratica, esuberante e mitomane, loquace ai limiti del logorroico. La sua famiglia l’ha cacciata e la rifiuta perché le attribuisce il dissesto finanziario e la decadenza economica.
Donatella, invece, è una ragazza fragilissima, schiva e taciturna, segnata dalla tossicodipendenza e dall’anoressia di cui porta i segni in un corpo tatuato e sofferente. Ha avuto un bambino che le è stato tolto e dato in adozione, evento che l’ha sconvolta.
Dopo i primi maldestri tentativi di Beatrice entrambe iniziano a cercarsi, “annusandosi” reciprocamente e scoprendo nella complicità quell’affetto in grado di lenire le ferite dell’anima.
Il percorso che le porterà a maturare un’ amicizia salvifica passerà attraverso una “pazza” fuga dalla comunità, apparentemente senza metà, in realtà ripercorrendo i luoghi famigliari e le dolorose vicende che le hanno segnate. Ricostruire il proprio passato con la fiducia di avere accanto una persona che le vuole davvero bene darà a Donatella la forza di accettarlo e di guardare finalmente al futuro.
Dopo la fredda e cinica Lombardia raccontata nello splendido noir Il capitale umano il regista livornese Paolo Virzì torna nella sua Toscana e riprende le fila di quella commedia dolceamara, a metà tra dramma e humour, in grado di mescolare risate e commozione, unendo leggerezza e impegno.
Il risultato è un capolavoro. La pazza gioia racconta il disagio psichico, tra l’altro un tema molto difficile e scivoloso da portare al cinema, con una grazia e una sensibilità che colpiscono al cuore.
Le figure femminili delle protagoniste so-no costruite con uno spessore psicologico e una intimità notevoli, e senza retorica né pietismo, in modo assolutamente credibile. Non a caso Virzì ha voluto scrivere la sceneggiatura a quattro mani con l’amica regista Francesca Archibugi, bravissima nell’indagare la complessità della psiche femminile fin dal suo esordio con Mignon è partita.
Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sono davvero straordinarie: interpretano Beatrice e Donatella in modo viscerale e totalizzante, creando una fortissima empatia tra di loro e con gli spettatori.
La cinepresa di Virzì le segue da vicino con inquadrature spesso ravvicinate e primissimi piani che, attraverso i volti e i corpi sofferenti, restituiscono il dolore e la tristezza delle due. Splendida la fotografia di Vlatan Radovic, calda e solare negli esterni, più soffusa e soffocante negli interni dell’istituto.
Molto indovinata anche la scelta di far recitare alcune pazienti del dipartimento di salute mentale di Montecatini, Virzì ha dichiarato che si sono integrate perfettamente con la troupe, aiutando loro per prime le attrici professioniste. La Ramazzotti, oltre che dimagrire di 8 chili, per entrare nella parte ha frequentato per molti mesi psichiatri e pazienti.
Alcuni hanno paragonato La pazza gioia a Thelma & Louise - in effetti la fuga in macchina lo ricorda - o al celeberrimo Sorpasso di Dino Risi con Gassman e Trintignant, altri hanno scomodato Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Mi sembra un esercizio riduttivo. La pazza gioia è semplicemente uno splendido film, con momenti di grande cinema e vera poesia.
La catarsi finale di Donatella nell’acqua con il figlio è una metafora potente e commovente del mistero della maternità. L’acqua come il liquido amniotico che custodisce la vita, l’acqua elemento primigenio che alla fine riunisce e rigenera quello che un momento di debolezza aveva diviso.
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