“Quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità è appena abbozzata, si gioca nel divario drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.” Umberto Galimberti
Camilla e Sara. Due adolescenti piene di vita, unite dalla passione per la danza classica.
Apparentemente simili. Eppure molto diverse. Camilla è l’archetipo della brava ragazza, vive serena il sogno di diventare ballerina, circondata dall’affetto di una famiglia unita. Sara invece è ribelle e disinibita, ricca e carismatica, anche se scopriremo che la sua sfrontatezza maschera un’amara solitudine, dovuta ai genitori separati e quasi sempre assenti.
Nell’età inquieta dell’adolescenza, della scoperta della sessualità e delle prime esperienze ciascuna non potrà che essere attratta dal mondo dell’altra. A Sara manca il calore di una famiglia vera, di genitori capaci di ascoltare, oltre che assecondare i desideri materiali. A Camilla serve la complicità di Sara per vincere la timidezza, uscire dal guscio protettivo della famiglia e fare quelle esperienze di cui sente il desiderio e l’urgenza. Diventeranno fatalmente grandi amiche, inseparabili come sempre succede a quell’età.
Ma c’è l’audizione per lo stage internazionale di danza, il grande sogno da realizzare. Una delle due potrebbe non farcela. Il passo dalla complicità alla rivalità, dall’invidia al rancore è molto breve, specialmente in un’età in cui, come afferma il regista, “tutto è portato ai limiti, si ama o si odia, si è timidi o estroversi, si è buoni o cattivi in un continuo scambio di ruoli.”
Camilla perderà, oltre alla grazia che accompagnava i suoi passi di danza, anche l’innocenza della fanciullezza. Il seme dell’odio e della vendetta, contaminando la sua purezza, le farà scoprire quel lato oscuro dell’anima che con il tempo si impara a dominare ma che a diciassette anni può sfuggire dal controllo e portare ad azioni irreparabili.
Già produttore e attore, all’esordio dietro alla cinepresa Ulisse Lendaro mostra una maturità registica non comune. L’età imperfetta è un piccolo gioiello. Racconta le dinamiche adolescenziali con sensibilità e delicatezza, senza retorica o moralismi preconfezionati. Con la macchina da presa a spalla il regista vicentino pedina Camilla da vicino, incessantemente, ma sempre con discrezione, senza inutile morbosità.
La sua è una regia che bada all’essenziale, asciutta, senza fronzoli né spettacolarizzazioni.
L’evoluzione psicologica e il percorso emotivo delle protagoniste sono credibili proprio perché Lendaro per primo non le giudica. Anche le tematiche secondarie che incontriamo nella vicenda narrata, come per esempio la bulimia o il bullismo, non sono affatto banalizzate o usate in modo strumentale. L’anima de L’età imperfetta è intimamente femminile. Oltre alle due giovani protagoniste, interpretate magnificamente da Marina Occhionero e Paola Calliaro, alle quali non si può non augurare un futuro cinematografico ricco di soddisfazioni, sono convincenti e ottimamente interpretate anche le altre figure femminili, su tutte Serena, l’insegnante di danza (Anna Valle) e Clarissa, la mamma di Camilla (Anita Kravos).
Efficace anche la scelta di ambientare la storia, sceneggiata da Cosimo Calamini, nella provincia produttiva del nordest, ma senza i soliti luoghi comuni o l’uso macchiettistico del dialetto con cui si racconta spesso il Veneto. Se il mondo della danza è inevitabilmente freddo e rigoroso, nella vita quotidiana delle ragazze c’è posto anche per il divertimento, la noia e il caldo dell’estate. Una provincia veneta filmata in modo inconsueto, tanto lontana dagli stereotipi quanto vera e sincera nella sua quotidianità.
L’età imperfetta, si diceva, racconta una storia di adolescenti senza giudicare, senza nessuna morale precotta. Riesce per questo ad avvicinare e immergere lo spettatore nella torbida irrequietezza dell’adolescenza. In quell’età acerba, usando le parole iniziali di Camilla, in cui un tempo pericoloso e sbagliato può prendere il sopravvento sull’armonia.
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