Non è immediatamente chiara l’operazione compiuta da Garrone nella rivisitazione cinematografica de Lu cunto de li cunti: leggendo il testo di Basile è forse possibile fare qualche raffronto utile con il film per trarne qualche elemento di giudizio in più.
Occorre premettere che in Basile è fondamentale il linguaggio, piuttosto rinnovato rispetto alla tradizione rinascimentale mitico-favolistica. Basile sembra riprendere omericamente la tradizione orale di racconti e fiabe (non ultima quella di Amore e Psiche) che poi faranno da punto di riferimento per i grandi favolisti successivi (da Perrault ai Grimm), ma li espone utilizzando in forma molto personale il dialetto napoletano di allora, la "lingua tosta", cioè quella della plebe, dura, aspra che riflette i malumori del popolo, le sue sofferenze, privazioni, differenze sociali; dialetto che sarà poi ammorbidito nell'Ottocento dalla musicalità e morbidezza del napoletano aulico della borghesia, tesa a neutralizzare lo spirito ribelle della plebe alla fine di un intenso periodo di conflitti sociali.
Basile condisce la durezza del linguaggio con un' accentuata ricchezza di metafore, iperboli, improvvisazioni, grande libertà di espressione, a tratti volgarità (=espressività verbale fortemente popolare e ipercolorita) che innovano rispetto agli standard espressivi precedenti. E c'è sempre un misto spesso indistinguibile di verosimile ed inverosimile, realismo e fantasia, credenze e superstizioni, e non manca una costante leggera aura di ironia, anche nei momenti altamente drammatici. Difficile comprendere le involuzioni del linguaggio (ma aiuta molto l'intuito), tenuto anche conto della difficoltà di traduzione.
Il Pentamerone è un'opera destinata soprattutto ad essere letta e mimata a corte, dove recitazione, movimenti del corpo, tonalità della voce massimizzano l'efficacia della narrazione. Caratteristiche che non si conciliano perfettamente con il linguaggio delle immagini. Basti pensare alla descrizione minuziosa delle vecchie nella "Scorticata", perfettamente riuscita nella performance dialettale di Peppe Barra nei suoi spettacoli ma poco efficace nel racconto di Garrone. Insomma sembra un'opera da apprezzare leggendo il libro o a teatro, molto più che al cinema.
Tutto ciò per dire che nel Racconto dei racconti molto di quell'atmosfera si perde e le varianti (ovviamente necessarie) adottate dal regista non sono spesso felici. A parte l'errore di non rendere visibile, nell'oscurità delle immagini fumose, l'identità della donna in cui si trasforma il mostro nella caverna (fondamentale per dare un senso al racconto), nell'episodio dell'orco (in cui Garrone si sofferma eccessivamente sul rapporto affettivo tra re e pulce, laddove Basile sorvola concentrandosi sul rapporto tra principessa e orco), quest'ultimo da Basile non è del tutto disumanizzato: parla anziché grugnire e dichiara di volersi prendere cura della nuova sposa, il che dà un minimo di credibilità (volendo metaforizzare) al personaggio, mentre Garrone ne fa una bestia bruta che non rivela alcuna affettività (tranne l'attimo fuggente dell'abbraccio) e quindi senza sfaccettature. Ovvio il tentativo di dare un taglio "femminista" alla storia (anche per il modo completamente diverso in cui l'orco viene ucciso), mettendo in evidenza la forza e l'astuzia della principessa che diviene addirittura regina per il pentimento tardivo dello scellerato padre, così tradendo lo spirito e il pensiero (sicuramente maschilista) dei tempi e della società di allora e dei suoi chiaroscuri sociali (ben evidenti nei frequenti passaggi dal giorno alla notte e viceversa nelle storie di Basile).
Insomma sembra che l'operazione tentata da Garrone sia quella di cogliere spunti da un contesto narrativo lontano per rappresentare i vizi, i limiti, le pochezze (molto più delle virtù) di un'umanità che non è poi significativamente cambiata nel corso della storia, rinunciando a mantenere lo spirito e le peculiarità (così come l'ironia e una certa solarità) del racconto originale e accentuando i toni cupi e spesso mortiferi, che rivelano una certa indole dell’autore. Operazione legittima ma profondamente deludente.
Sul piano delle immagini, al di là dei paesaggi scelti con cura, la regia non brilla per originalità, ed il cast non offre una prova indimenticabile. Apprezzabili gli effetti speciali frutto di un artigianato che ritorna alle origini senza fare a meno della tecnologia moderna. Ma è un po’ poco.
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