Una scuola slovena. Una classe liceale, briosa e ben assortita nella sua varietà tipologica. Un corpo insegnante unito sulla scelta di metodologie formative moderne e “democratiche”. Una professoressa che deve assentarsi temporaneamente per gravidanza, molto apprezzata dagli studenti per capacità di dialogo e contraddittorio. Fin qui tutto scorre in modo lineare. Ma c’è un nemico in agguato.
La tragica morte di una delle studentesse per motivi ignoti rompe l’equilibrio. Un nuovo insegnante di tedesco, chiamato a sostituire la collega incinta, si mostra portatore di una diversità che genera scompiglio, riluttanza, diffidenza: aspetto austero, metodo ispirato all’intransigenza, scarsa inclinazione alla facile negoziazione. Il microcosmo classe, scosso da improvvisi ed inquietanti eventi, evidenzia le sue crepe ed i collanti si sciolgono, sicchè monta la ribellione; i ragazzi, non più così armoniosamente legati, mostrano i propri aspetti più ombrosi, le debolezze più profonde, la fragilità di una minuscola società che, come specchio della comunità di cui fa parte, esplode sotto la spinta di represse contraddizioni. Si cerca il capro espiatorio che giustifichi la rabbia, l’impotenza a capire, la frustrazione dell’imprevisto cambiamento: i coltelli vengono puntati su lui, sul diverso, sul nuovo che sa di vecchio, l’uomo che viene dal freddo, il nemico da abbattere. Il nazista dai modi ruvidi ed altezzosi. E così via crescendo. Ma l’alleanza contro qualcuno non basta a tenere uniti gi animi: i sottoinsiemi si sgretolano, i genitori litigano, gli insegnanti si sgranano, i leader della classe si azzuffano, gli studenti prendono posizioni sempre più differenziate. La ribellione diventa fine a se stessa e gli obiettivi sbiadiscono. La prova d’orchestra sbanda paurosamente, la bacchetta del direttore va a vuoto, amplificando le dissonanze. Nell’OK Corral finale resta il dubbio sull’esito della battaglia, perché questa ha rimesso in discussione tutti i valori in campo, senza un chiaro vincitore.
Tra i tanti film girati in “classe” nella storia del cinema, in genere orientati a seguire, secondo diverse angolazioni, le dinamiche di gruppo come fossero un test di psicologia sui rapporti di forza, questo del giovane sloveno Bicek si presenta come un’opera a tesi: nel piccolo mondo della scuola, oggi fortemente articolato socialmente, etnicamente, culturalmente come la società da cui proviene, tutto è tenuto insieme da un involucro posticcio di convenzioni, ipocrisie, falso spirito democratico e dialogante; basta un intervento esterno dotato di forza anticonformista per distruggere quell’impalcatura di consenso artificioso, con conseguente messa a nudo delle realtà umane più profonde e più vere e l’insorgere di spinte disgregatrici. I forti diventano deboli, i pacifici violenti, i coraggiosi vigliacchi e via dicendo. Il prof. Zupan, contrariamente a quanto sembra a primo acchitto, non è che un passivo deus ex machina, il cui anticonformismo, come un sasso gettato nel lago, mette in moto processi autodegenerativi che non risparmiano nessuno, né i ragazzi, né i docenti né i genitori. Ce n’è per tutti, e nessuno esce indenne da questa mutazione al ribasso. Come se ne esce? C’è sempre qualcuno che propone un nuovo compromesso che rimette in sintonia il gruppo, ricreando un nuovo involucro che reggerà fino a nuovi scossoni. La prima opera di Bicek, girata con telecamere mobili per dare più realismo alle fluttuazioni delle dinamiche in atto, è abile nello spiazzare le attese dello spettatore, togliendo certezze a ruoli che via via si sgretolano, e scoprendo la crescente vulnerabilità di un gruppo sociale -abituato ad arroccarsi nell’ipocrisia, nell’opportunismo, nel compromesso al ribasso- nell’ affrontare il diverso che irrompe bollandolo come nemico da abbattere per non soccombere davanti alla propria incapacità di tenuta identitaria. Un film che ha il pregio, tra gli altri, di lasciare una scia vischiosa di spunti di riflessione.
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