Grand Budapest Hotel |
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Un film di Wes Anderson.
Con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe.
continua»
Titolo originale The Grand Budapest Hotel.
Commedia,
durata 100 min.
- USA 2014.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 10 aprile 2014.
MYMONETRO
Grand Budapest Hotel
valutazione media:
3,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La "grazia magistrale" di Wes Andersondi SamueleMeiFeedback: 1225 | altri commenti e recensioni di SamueleMei |
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venerdì 25 aprile 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In un grigio cimitero della Mittel-Europa una ragazza rende omaggio alla tomba di uno scrittore. La giovane ha in mano un libro che si intitola “Grand Budapest Hotel”. Lo apre e all’improvviso la magia ha inizio: si schiudono più lucenti che mai gli universi narrativi di Wes Anderson. Comincia un viaggio a ritroso nel tempo. 1985: l’anziano scrittore ci spiega come è venuto a conoscenza della storia che ha ispirato il suo libro. 1965: il giovane autore, durante un soggiorno al decaduto Grand Budapest, incontra il misterioso quanto solitario Mr Moustafa che accetta di raccontare la storia della sua vita e le avventurose circostanze che lo portarono a diventare da umile fattorino al grande proprietario del prestigioso albergo. 1932: nello stato di Zubrowska Mr Moustafa è un giovane garzoncello di origini indiane soprannominato Zero (zero esperienza, zero istruzione, zero famiglia) che finisce sotto l’ala protettiva del concièrge Gustave H. (un Ralph Fiennes da antologia), gentiluomo e vero tombeur de femmes dal fascino irresistibile per le anziane e ricche ospiti del Grand Budapest. Tra Zero (l’allievo orfano) e Gustave H. (il mentore paterno) si instaura un rapporto di amicizia e di complicità ma le cose si mettono male quando Gustave è accusato dell’omicidio di Madame D. e incarcerato in una fortezza inespugnabile. A questo punto la trama si tinge di giallo, l’intrigo si infittisce e il ritmo del racconto accelera inesorabilmente. Il nostro Gustave riuscirà a evadere grazie anche all’aiuto della deliziosa Agatha (una giovane pasticcera con una voglia a forma di Messico sulla guancia destra) e, dopo una lunga serie di inseguimenti, omicidi e travestimenti, riuscirà a dimostrare la sua innocenza e a ottenere tutto il patrimonio della defunta Madame D. In “Grand Budapest Hotel”, Wes Anderson ha saputo fondere e sublimare tutti i tratti peculiari che caratterizzano il suo cinema leggero e stralunato. Il giovane sceneggiatore-regista ha creato quello che finora può essere considerato a buon diritto il suo capolavoro. Nel film colpisce non tanto la perfezione formale (simmetria dell’inquadratura e vivacità cromatica) tipica di tutte le pellicole dell’artista texano ma piuttosto la complessità dell’impianto strutturale (il film è diviso in 5 capitoli alla maniera di Quentin Tarantino), costruito su un’impeccabile quanto calibrata piramide rovesciata di scatole cinesi che scava nel passato alla ricerca della verità. Una verità non certo assoluta, ma intima e personale, fatta di poesia e suggestione. Un senso della vita incarnato al meglio dall’eroe trasognato e incantatore della vicenda, il mellifluo Gustave H., capace di sostenere l’illusione con magistrale grazia, dinanzi a un mondo fatto di barbarie e dilagante volgarità. Allo stesso modo il grande merito di Wes Anderson sta nella sua capacità di farci immergere in un mondo immaginario del tutto alternativo ma perfettamente dipinto dalla sua inventiva tumultuosa, costantemente sospesa tra il candore comico e la riflessione malinconica. Commuove inoltre nel film la bellissima alchimia tra i due protagonisti della vicenda, stretti da un legame di amicizia e devozione reciproca. Si può perciò affermare che Wes Anderson ha fatto ancora centro con la sua poetica di “idillio e nostalgia”. E quando alla fine la ragazza chiude il libro, il film finisce come un sogno mattutino che svanisce, come un ricordo che riecheggia nella mente, come una meravigliosa figura riflessa in una lanterna magica.
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