antonio montefalcone
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venerdì 11 aprile 2014
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benvenuti nel grande film di anderson!
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L’ottava pellicola di Wes Anderson è una commedia eccentrica, veloce ed elegante; esempio di grande cinema, fantasioso e inusuale, raffinato e intelligente; formalmente e stilisticamente curato con rigorosa e geometrica precisione, energia e competenza. Quest’ultima sua fatica non è da meno rispetto alle sue precedenti e mirabili opere: ogni elemento del film s’integra efficacemente, dando vita ad un risultato brillante e affascinante.
Vincitore del Gran Premio della Giuria a Berlino ’14, “Grand Budapest Hotel” ha la sua forza e il suo motivo di interesse nel ritmo indiavolato, pieno di gag surreali e omaggi ad un certo cinema d’epoca, dal Chaplin de “Il grande dittatore”, alle sofisticate commedie di Lubitsch e Wilder, o ai film di Mamoulian e Goulding; oltre che a stilemi tecnici tipici del passato (nonostante è ripreso in digitale celebra la pratica, anche datata, dell’analogico: vedi i formati di ripresa dei film muti).
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L’ottava pellicola di Wes Anderson è una commedia eccentrica, veloce ed elegante; esempio di grande cinema, fantasioso e inusuale, raffinato e intelligente; formalmente e stilisticamente curato con rigorosa e geometrica precisione, energia e competenza. Quest’ultima sua fatica non è da meno rispetto alle sue precedenti e mirabili opere: ogni elemento del film s’integra efficacemente, dando vita ad un risultato brillante e affascinante.
Vincitore del Gran Premio della Giuria a Berlino ’14, “Grand Budapest Hotel” ha la sua forza e il suo motivo di interesse nel ritmo indiavolato, pieno di gag surreali e omaggi ad un certo cinema d’epoca, dal Chaplin de “Il grande dittatore”, alle sofisticate commedie di Lubitsch e Wilder, o ai film di Mamoulian e Goulding; oltre che a stilemi tecnici tipici del passato (nonostante è ripreso in digitale celebra la pratica, anche datata, dell’analogico: vedi i formati di ripresa dei film muti). Lo spettatore è continuamente coinvolto in quest’universo tipicamente Andersiano, eccentrico e antinaturale (frontalità dei corpi nell’inquadratura, traiettoria pulita delle carrellate, resa buffa delle azioni), oltre che travolto da una vicenda intrigante e avvincente, colma di colpi di scena, inseguimenti e intrecci gialli, trovate surreali e ironie venate di una certa crudeltà. Come nel piacevole inseguimento sugli sci, tutto è felicemente sopra le righe e velocizzato in questo film: Anderson suddivide la narrazione in capitoli e mette in scena un godibile spettacolo funambolico e delizioso, colmo di personaggi bizzarri ed episodi grotteschi. L’opera è vicina alle vignette dei libri animati o ai fumetti d’avventura (vedi il cartoon “The Fantastic Mr. Fox”), o a un sogno ad occhi aperti.
In una vicenda apparentemente semplice che gioca tutto sul ridicolizzare situazioni e interpreti, si scatenano una serie di avvenimenti che fanno passare il film dal registro della commedia al noir, dal dramma all’avventura: si attraversa cronologicamente cinquant’anni di Storia (pur soffermandosi maggiormente sugli anni ’30) e pur in un contesto dichiaratamente antinaturalistico e immaginario, la Storia assume una grande rilevanza. In un mondo dai colori sgargianti e toni color pastello, una fetta di società europea è vittima di frivolezze, vanità ed egoismo: l’irreale Repubblica di Zubrowka richiama alle dittature dell'Est e al cieco fanatismo intollerante del Nazismo, da combattere continuamente. Attraverso il filtro letterario di Stefan Zweig, apertamente omaggiato dal film, il passato non assume più i contorni nostalgici del rimpianto del tempo che fu, bensì quelli utili per cercare un’altra strada nel presente, una via di fuga salvifica. E in questo l’opera si fa anche “politica”: soltanto nuove aperture esterne possono salvare un Europa preda dei suoi fantasmi, delle sue crisi, delle sue fragilità. L’hotel del titolo e del plot diventa allora l’allegorico Grand Hotel del nostro mondo, quello consumista e alto-borghese (soprattutto europeo), dove ogni stanza è abitata da personaggi strani o privi di scrupoli che riflettono vizi e virtù dell’animo umano, ma dei quali alla fine non si può che provare tenerezza o pietà.
Enorme importanza assume quindi anche la variegata assurda galleria di personaggi a cui ci si affeziona presto, e di un cast di interpreti eccezionali ben collocati.
Insomma, oltre che sorprendere e divertire, “Grand Budapest Hotel” emoziona, fa riflettere e offre uno spettacolo a massimi livelli espressivi.
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catcarlo
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martedì 15 aprile 2014
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grand budapest hotel
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Su di un film come questo, o ti limiti a ‘è una meraviglia da vedere assolutamente’ o ci scrivi una tesi di laurea. Qualsiasi soluzione intermedia finisce per risultare incompleta già mentre la si compone, ma, visto che la prima alternativa è un po’ sbrigativa e non c’è il tempo per la seconda, vedrò di arrampicarmi sugli specchi, mettendo innanzitutto le mani avanti: non ho letto nulla delle opere di Stefan Zweig a cui la pellicola è ispirata. L’ultimo lavoro di Wes Anderson mette in mostra una leggerezza e una godibilità rare, regalando al pubblico poco meno di cento minuti di sorridente divertimento sorretto da un invidiabile senso del ritmo e da una capacità di costruire e sbrogliare situazioni che rievoca a pieno titolo il tocco alla Lubitsch.
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Su di un film come questo, o ti limiti a ‘è una meraviglia da vedere assolutamente’ o ci scrivi una tesi di laurea. Qualsiasi soluzione intermedia finisce per risultare incompleta già mentre la si compone, ma, visto che la prima alternativa è un po’ sbrigativa e non c’è il tempo per la seconda, vedrò di arrampicarmi sugli specchi, mettendo innanzitutto le mani avanti: non ho letto nulla delle opere di Stefan Zweig a cui la pellicola è ispirata. L’ultimo lavoro di Wes Anderson mette in mostra una leggerezza e una godibilità rare, regalando al pubblico poco meno di cento minuti di sorridente divertimento sorretto da un invidiabile senso del ritmo e da una capacità di costruire e sbrogliare situazioni che rievoca a pieno titolo il tocco alla Lubitsch. Le caratteristiche peculiari del regista statunitense raggiungono qui un livello davvero sopraffino, si tratti dell’evidente artificiosità, del muoversi accelerato dei personaggi nei momenti cruciali oppure dell’attenta costruzione delle inquadrature come piccoli quadri o, meglio ancora, vignette di fumetto (ma non da meno sono i campi lunghi, come quello della hall dell’hotel ripresa a mezz’altezza in cui, all’improvviso, spunta in basso a destra la testa di Henckels/Edward Norton che guarda in macchina). In più, c’è un efficace uso dell’animazione a passo uno, in un crescendo che va dalla fantasiosa cremagliera che raggiunge l’hotel alle infantili funivie che fanno salire sui picchi i personaggi che poi ne scendono con un omaggio ai giochi invernali che viaggia a velocità da vecchia comica. Eppure, dietro a tutto questo, c’è una struttura estremamente complessa dal punto di vista narrativo oltre che da quello puramente tecnico. Anche se scivolano inavvertiti l’uno nell’altro, sono quattro i piani temporali che costituiscono la storia – il formato dello schermo varia di conseguenza - con importanza crescente man mano che si torna indietro nel tempo, ma, soprattutto e a dispetto dei molti sorrisi che dispensa, il racconto è permeato da un senso di decadenza e di morte (alto in modo inatteso è il numero di trapassi giovani e violenti) che lascia un inconfondibile retrogusto amaro. Del resto, il film si apre sul muro sbrecciato di un vecchio cimitero, prosegue nella casa dello Scrittore da Vecchio (Tom Wilkinson) che sembra un set lasciato a metà e si avvia davvero nel morituro Grand Budapest degli anni Sessanta, albergo dal pesante decoro di ispirazione sovietica in cui vagano pochi clienti solitari. Qui, lo Scrittore da Giovane (Jude Law) incontra il proprietario, signor Moustafa (F. Murray Abraham) che gli racconta di quando, con il nome di Zero, era l’ultimo dei fattorini ed era stato accolto sotto l’ala protettiva di quello che era il concierge principe agli inizi degli anni Trenta, quando l’aspetto e la vitalità dell’hotel erno ben altri. Questo M. Gustave (uno strepitoso Ralph Fiennes davvero a suo agio) è il vero signore dell’albergo, rispettato dai colleghi e amato dalla clientela – e, in particolar modo, dalle clienti, specie se anziane e danarose. Quando una di queste (ennesima prova da fachiro al trucco per Tilda Swinton) viene assassinata, Gustave è il primo dei sospettati anche perchè il testamento della nobildonna lo favorisce assai donandogli un quadro di inestimabile valore (ed è geniale la sostituzione dello stesso con un dipinto nello stile di Egon Schiele che raffigura un amore lesbico di cui per un mucchio di tempo nessuno si accorge): il nostro finisce perfino in galera, da cui evade appoggiandosi al gruppo di Ludwig (Harvey Keitel), ma, con l’assai fattivo aiuto di Zero (l’esordiente Tony Revolori) e fidanzata (Saoirse Ronan) riesce a evitare gli agguati del truce Jopling (Willem Defoe) e ad averla vinta in un lieto fine reso meno lieto dai flash-forward – se così li possiamo definire. Il tutto sullo sfondo di un mondo che cambia. Gustave e gli altri, in fondo, ballano sul Titanic del piccolo Stato di Zubrowska che viene invaso dal potente e nazisteggiante vicino sul cui treno salta subito Dmitri (Adrien Brody), l’erede della defunta baronessa che cerca di mettere le mani sulla di lei fortuna: pare inevitabile che la maggior parte dei personaggi non riesca a sopravvivere nella nuova era. Come si sarà potuto notare, il cast è di altissimo livello, eppure nessuno dà l’impressione di essere stato appiccicato lì per caso o per fare il lustrino, inclusi coloro che hanno solo poche battute come i fedelissimi del regista Bill Murray e Bob Balaban, i francesi Mathieu Amalric e Léa Seydoux o un irriconoscibile Owen Wilson: più spazio ha invece il redivivo (per me) Jeff Goldblum nei panni dell’avvocato Kovacs. Una volta giunti alla fine, vien voglia di ricominciare perché, poco ma sicuro, qualcosa che sfugge c’è: meditando su questo, si seguono con soddisfazione anche i titoli di coda, non tanto per il comunque travolgente concerto di balalaike quanto per il cosacco animato che danza in un angolo con performances segnate da un crescendo di entusiasmo.
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andrea giostra
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lunedì 23 febbraio 2015
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il trionfo dell'immaginazione e della fantasia!
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Il trionfo dell’immaginazione più accattivante e avventurosa che un bravo regista, qual è Wes Anderson, possa esprimere: il film è senza dubbio alcuno un’opera d’arte. Il cast di attori è stellare e la loro recitazione è brillante e di un’impeccabile classe. Ispirato ad uno dei romanzi del noto scrittore austriaco degli anni ‘20-‘30 Stefan Zweig, il film è colmo di una vivacità narrativa, arricchita da una bellissima scenografia, una fotografia molto originale e da costumi disegnati e costruiti con una maestria di gran stile e di gran classe, che lo rende unico e difficilmente ripetibile nel suo genere.
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Il trionfo dell’immaginazione più accattivante e avventurosa che un bravo regista, qual è Wes Anderson, possa esprimere: il film è senza dubbio alcuno un’opera d’arte. Il cast di attori è stellare e la loro recitazione è brillante e di un’impeccabile classe. Ispirato ad uno dei romanzi del noto scrittore austriaco degli anni ‘20-‘30 Stefan Zweig, il film è colmo di una vivacità narrativa, arricchita da una bellissima scenografia, una fotografia molto originale e da costumi disegnati e costruiti con una maestria di gran stile e di gran classe, che lo rende unico e difficilmente ripetibile nel suo genere. La storia è piena di sorprese e di colpi di scena che si susseguono repentini con sarcasmo, ironia, satira, beffardia, irriverenza, arguzia che catturano lo spettatore che ne rimane affascinato, e narra di intrighi e di tradimenti, di razzismo e di privilegi, di ricchezza e di povertà, di onestà e di vendetta, con un unico scopo: far divertire e sorridere lo spettatore, anche se gli argomenti trattati sono quelli che hanno segnato profondamente la storia dell’uomo occidentale del periodo nazista e pre-nazista. Anderson eccelle nell’arte del narrare riuscendo a raccontare di fatti realmente accaduti ma escogitando un flusso narrativo leggero e ben condito con una sorprendente e vivace fantasia. Il film è imperdibile per gli amanti del buon cinema d’autore.
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[+] fantasia e humor
(di luciano mazzzotti)
[ - ] fantasia e humor
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linus2k
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domenica 13 aprile 2014
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un nuovo mondo nell'universo di anderson
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Wes Anderson è come un ottimo chef pluristellato ed ogni volta che ti rechi al suo ristorante sai già più o meno il menù che ti servirà: conosci bene ingredienti, materie prime, gusto nel metterle insieme, sai che scegliendo quel ristorante ritroverai un clima piacevole ed in un certo senso conosciuto, ma ci vai perché sai anche che lo chef, nonostante il suo tocco riconoscibile, ti saprà donare l'ennesima esperienza unica e avvolgente.
Ecco… andare al “Grand Budapest Hotel” è questo… aver voglia di colori saturi, di attenzione maniacale all’immagine, ai dialoghi, ai personaggi, aspettarsi il solito gruppo di attori feticcio che sono disposti a lavorare per Wes anche gratis (ed anche per apparire 10 miseri minuti) e comunque alla fine portarsi a casa un’altra fetta di quel meraviglioso e caldeiscopico mondo del regista texano, comunque diverso da quelli precedenti ma in perfetta continuità stilistica.
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Wes Anderson è come un ottimo chef pluristellato ed ogni volta che ti rechi al suo ristorante sai già più o meno il menù che ti servirà: conosci bene ingredienti, materie prime, gusto nel metterle insieme, sai che scegliendo quel ristorante ritroverai un clima piacevole ed in un certo senso conosciuto, ma ci vai perché sai anche che lo chef, nonostante il suo tocco riconoscibile, ti saprà donare l'ennesima esperienza unica e avvolgente.
Ecco… andare al “Grand Budapest Hotel” è questo… aver voglia di colori saturi, di attenzione maniacale all’immagine, ai dialoghi, ai personaggi, aspettarsi il solito gruppo di attori feticcio che sono disposti a lavorare per Wes anche gratis (ed anche per apparire 10 miseri minuti) e comunque alla fine portarsi a casa un’altra fetta di quel meraviglioso e caldeiscopico mondo del regista texano, comunque diverso da quelli precedenti ma in perfetta continuità stilistica.
Il Grand Budapest non è altro che una nuova tappa di questo fantastico ed avvincente viaggio, in cui la commedia nonsense andersoniana si sposa questa volta con le atmosfere della Mitteleuropa anni 30, dei film di Lubitsch, ma rivedendo quel clima con la sua consueta ironia.
Un classico giallo permette al regista di sviluppare una concatenazione di situazioni, di dialoghi, di colpi di scena che, attraverso giochi di contrasto, figure retoriche verbali e cinematografiche e con un gusto del grottesco dosato così perfettamente da rendere comiche persino scene splatter, ci fa immergere per 2 ore in un universo colorato, divertente, intelligentemente demenziale e demenzialmente intelligente.
Tutto funziona: anche la scena più inverosimile, più azzardata, è inserita così perfettamente nella trama attraverso una perfetta scrittura di dialoghi ed una attenta scelta di montaggio da apparire verosimile o comunque così assurdamente geniale da non poter far altro che ridere ed applaudire.
Come in un grande fumettone colorato e le cui immagini sono tutte studiate nel minimo dettaglio la sensazione è di distacco totale dalla propria realtà per quell 2 ore di puro piacere che non possono altro che metterci nuova fame ed attesa di tornare in quel fantasmagorico ristorante, pronti per un nuovo golosissimo menù.
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samuelemei
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venerdì 25 aprile 2014
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la "grazia magistrale" di wes anderson
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In un grigio cimitero della Mittel-Europa una ragazza rende omaggio alla tomba di uno scrittore. La giovane ha in mano un libro che si intitola “Grand Budapest Hotel”. Lo apre e all’improvviso la magia ha inizio: si schiudono più lucenti che mai gli universi narrativi di Wes Anderson. Comincia un viaggio a ritroso nel tempo. 1985: l’anziano scrittore ci spiega come è venuto a conoscenza della storia che ha ispirato il suo libro. 1965: il giovane autore, durante un soggiorno al decaduto Grand Budapest, incontra il misterioso quanto solitario Mr Moustafa che accetta di raccontare la storia della sua vita e le avventurose circostanze che lo portarono a diventare da umile fattorino al grande proprietario del prestigioso albergo.
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In un grigio cimitero della Mittel-Europa una ragazza rende omaggio alla tomba di uno scrittore. La giovane ha in mano un libro che si intitola “Grand Budapest Hotel”. Lo apre e all’improvviso la magia ha inizio: si schiudono più lucenti che mai gli universi narrativi di Wes Anderson. Comincia un viaggio a ritroso nel tempo. 1985: l’anziano scrittore ci spiega come è venuto a conoscenza della storia che ha ispirato il suo libro. 1965: il giovane autore, durante un soggiorno al decaduto Grand Budapest, incontra il misterioso quanto solitario Mr Moustafa che accetta di raccontare la storia della sua vita e le avventurose circostanze che lo portarono a diventare da umile fattorino al grande proprietario del prestigioso albergo. 1932: nello stato di Zubrowska Mr Moustafa è un giovane garzoncello di origini indiane soprannominato Zero (zero esperienza, zero istruzione, zero famiglia) che finisce sotto l’ala protettiva del concièrge Gustave H. (un Ralph Fiennes da antologia), gentiluomo e vero tombeur de femmes dal fascino irresistibile per le anziane e ricche ospiti del Grand Budapest. Tra Zero (l’allievo orfano) e Gustave H. (il mentore paterno) si instaura un rapporto di amicizia e di complicità ma le cose si mettono male quando Gustave è accusato dell’omicidio di Madame D. e incarcerato in una fortezza inespugnabile. A questo punto la trama si tinge di giallo, l’intrigo si infittisce e il ritmo del racconto accelera inesorabilmente. Il nostro Gustave riuscirà a evadere grazie anche all’aiuto della deliziosa Agatha (una giovane pasticcera con una voglia a forma di Messico sulla guancia destra) e, dopo una lunga serie di inseguimenti, omicidi e travestimenti, riuscirà a dimostrare la sua innocenza e a ottenere tutto il patrimonio della defunta Madame D.
In “Grand Budapest Hotel”, Wes Anderson ha saputo fondere e sublimare tutti i tratti peculiari che caratterizzano il suo cinema leggero e stralunato. Il giovane sceneggiatore-regista ha creato quello che finora può essere considerato a buon diritto il suo capolavoro. Nel film colpisce non tanto la perfezione formale (simmetria dell’inquadratura e vivacità cromatica) tipica di tutte le pellicole dell’artista texano ma piuttosto la complessità dell’impianto strutturale (il film è diviso in 5 capitoli alla maniera di Quentin Tarantino), costruito su un’impeccabile quanto calibrata piramide rovesciata di scatole cinesi che scava nel passato alla ricerca della verità. Una verità non certo assoluta, ma intima e personale, fatta di poesia e suggestione. Un senso della vita incarnato al meglio dall’eroe trasognato e incantatore della vicenda, il mellifluo Gustave H., capace di sostenere l’illusione con magistrale grazia, dinanzi a un mondo fatto di barbarie e dilagante volgarità. Allo stesso modo il grande merito di Wes Anderson sta nella sua capacità di farci immergere in un mondo immaginario del tutto alternativo ma perfettamente dipinto dalla sua inventiva tumultuosa, costantemente sospesa tra il candore comico e la riflessione malinconica. Commuove inoltre nel film la bellissima alchimia tra i due protagonisti della vicenda, stretti da un legame di amicizia e devozione reciproca. Si può perciò affermare che Wes Anderson ha fatto ancora centro con la sua poetica di “idillio e nostalgia”. E quando alla fine la ragazza chiude il libro, il film finisce come un sogno mattutino che svanisce, come un ricordo che riecheggia nella mente, come una meravigliosa figura riflessa in una lanterna magica.
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filippo catani
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lunedì 14 aprile 2014
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una commedia ironica e surreale
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Negli anni Trenta il gestore di un albergo intrattiene con i suoi ospiti relazioni di vario genere specialmente con alcune anziane signore. Una di queste alla sua morte gli dona un preziosissimo quadro. Il figlio però non è di questo avviso e il proprietario dell'hotel, aiutato dal fido valletto, inizia una serie di infinite peripezie.
Gran Premio della giuria a Berlino per un film che si inserisce a pieno titolo nel filone del regista W. Anderson. La storia è ambientata in una repubblica immaginaria che potremmo immaginare essere collocata nell'Est Europa. Per il resto ci sono situazioni degne o di un giallo con Poirot sulle eredità o di un vero e proprio thriller riviste in chiave ironica.
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Negli anni Trenta il gestore di un albergo intrattiene con i suoi ospiti relazioni di vario genere specialmente con alcune anziane signore. Una di queste alla sua morte gli dona un preziosissimo quadro. Il figlio però non è di questo avviso e il proprietario dell'hotel, aiutato dal fido valletto, inizia una serie di infinite peripezie.
Gran Premio della giuria a Berlino per un film che si inserisce a pieno titolo nel filone del regista W. Anderson. La storia è ambientata in una repubblica immaginaria che potremmo immaginare essere collocata nell'Est Europa. Per il resto ci sono situazioni degne o di un giallo con Poirot sulle eredità o di un vero e proprio thriller riviste in chiave ironica. I due personaggi principali sono letteralmente fantastici e reggono in pieno la durata della pellicola che ha anche nelle scenografie e nei costumi altri due validissimi punti di forza. Per il resto siamo in presenza di una vera e propria grandinata di star che pur di esserci si accontentano anche di piccolissimi cameo; su tutti comunque l'ottima interpretazione di Fiennes perfettamente calato nel ruolo di un personaggio surreale sempre con una battuta pronta. Il film si chiude con una dedica al letterato Stefan Zweig morto suicida negli USA nel '42 dopo aver assisstito al rogo delle sue opere da parte dei nazisti negli anni '30 ed essere stato famoso per il suo impegno pacifista. Insomma un film da gustare a pieno e che sta ricevendo quà da noi una discreta pubblicità che speriamo possa avvicinare il pubblico ad un prodotto che sa unire gusto, stile, ironia, ottima regia e gustosissimi personaggi. Da non perdere.
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vapor
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venerdì 18 aprile 2014
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una fiaba per adulti
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E' una bella storia quella che Anderson ci racconta con il suo consueto stile narrativo, uno stile pittoresco e allo stesso tempo elegante,con una grande attenzione alla caratterizzazione dei personaggi, puntualmente dipinti come individui dotati di un forte humor dall'accento vagamente britannico e principesco, il tutto rappresentato con inquadrature sempre impeccabili che ben si sposano con la mimica precisa e buffonesca dei suoi personaggi. Questa fiaba per adulti è raccontata all'interno di una cornice narrativa doppia, un artificio che aumenta l'atmosfera fiabesca del nucleo centrale del racconto, di per sè lineare e divertente, a tratti un po' appesantito da un eccesso didascalico che rallenta lo svolgimento della trama, stavolta condita da un che di macabro che non guasta.
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E' una bella storia quella che Anderson ci racconta con il suo consueto stile narrativo, uno stile pittoresco e allo stesso tempo elegante,con una grande attenzione alla caratterizzazione dei personaggi, puntualmente dipinti come individui dotati di un forte humor dall'accento vagamente britannico e principesco, il tutto rappresentato con inquadrature sempre impeccabili che ben si sposano con la mimica precisa e buffonesca dei suoi personaggi. Questa fiaba per adulti è raccontata all'interno di una cornice narrativa doppia, un artificio che aumenta l'atmosfera fiabesca del nucleo centrale del racconto, di per sè lineare e divertente, a tratti un po' appesantito da un eccesso didascalico che rallenta lo svolgimento della trama, stavolta condita da un che di macabro che non guasta. Con un cast di attori eccezionalmente affollato, anche se "invero" solo Ralph Fiennes e il simpatico Tony Revolori insieme a W.Dafoe e A.Brody reggono l'intera vicenda, Grand hotel Budapest non delude le aspettative e allunga questa serie di "piccole opere buffe" che nel panormama del deludente cinema di oggi continuano a distinguersi per originalità e simpatia. Perchè aspettarsi di più? "Less is better" e questo film è ricco di pregi, pur attenendosi al principio di massima parsimonia brevettato da Anderson. Menzione speciale a Ralph Fiennes, è davvero un attore bravissimo.
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stevegary
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mercoledì 23 aprile 2014
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uno squisito confetto dai colori pastello. ****
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Così tenera nella sua terrena e sincera verità che racconta, Grand Budapest Hotel è la più agrodolce fotografia della natura umana; raccontata e predicata come altissima e trascendente (che è sì vero, ma mai ne saremo testimoni o consapevoli) ma in sfacciata onestà una bucolica raccolta di volontà sempre terrene e profane. Noi che ci sentiamo dei e ci perdiamo dietro ad un quadro o ad un uomo affascinante come Monsieur Gustave. Questo, il film quindi Anderson, lo racconta benissimo fin dal principio della storia che ci racconta Zero, nel suo botta e risposta con Jude Law.
“Perché bionde?”
“Perché lo erano tutte.”
Le donne del Grand Budapest erano tutte bionde anche se non lo erano, perché stereotipo che stringe all'osso l'immagine della donna: femmina che vuole amore e passione.
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Così tenera nella sua terrena e sincera verità che racconta, Grand Budapest Hotel è la più agrodolce fotografia della natura umana; raccontata e predicata come altissima e trascendente (che è sì vero, ma mai ne saremo testimoni o consapevoli) ma in sfacciata onestà una bucolica raccolta di volontà sempre terrene e profane. Noi che ci sentiamo dei e ci perdiamo dietro ad un quadro o ad un uomo affascinante come Monsieur Gustave. Questo, il film quindi Anderson, lo racconta benissimo fin dal principio della storia che ci racconta Zero, nel suo botta e risposta con Jude Law.
“Perché bionde?”
“Perché lo erano tutte.”
Le donne del Grand Budapest erano tutte bionde anche se non lo erano, perché stereotipo che stringe all'osso l'immagine della donna: femmina che vuole amore e passione. Ed allora tutto il film si snocciola magistralmente in maniera prima delicata ora frenetica all'insegna di ciò che Candido, nell'omonimo saggio di Voltaire, scoprirà alla fine del suo viaggio: il segreto è curarsi del proprio orticello. E questo fanno tutti i personaggi di Grand Budapest Hotel. Dalla vedova che regala i suoi averi a Mr Gustave perché l'ha fatta sentire viva, a Gustave stesso che realizza la sua vita nel rispolverare quel profumo poetico del gentiluomo di fine '800 adorato dalle sue amanti passando per l'affamato gigante in prigione che è pronto a diventare un buono, in cambio di una zuppa da mangiare. Per questa ragione, per la chiara intenzione di rappresentare l'uomo per quello che è, un essere che persegue semplicemente le sue volontà, l'intero film permette di sviluppare una storia deliziosa e divertententissima nella sua semplicità. Che può permettersi di azzardare virtuosismi stilistici come la discesa in slittino a velocità sostenuta come nelle vecchie commedie del cinema muto o la rumorosa e insensata sparatoria all'interno dell'hotel per una ragione molto chiara: ciò che conta è l'intrattenimento, è la storia lineare di un garzone e il suo protettore che come nelle favole da bambini affrontano mille avventure per raggiungere il loro scopo. Avventure, perché semplici armi per intrattenere lo spettatore curioso, che possono quindi essere surreali o incredibili (ad esempio, non sarebbe apparso strano nemmeno un meteorite all'improvviso) senza che rovino il gusto di vedere i nostri eroi realizzare il loro destino. Non c'è niente di più difficile (e raro, ormai) del raccontare in modo semplice una storia con un inizio, uno svolgimento ed una fine. Anderson ci riesce benissimo. E annienta non solo il messaggio nascosto che ci si impunta nel cercare all'interno di un film ma anche quello ideologico, che stride con la natura semplice dell'uomo, mettendo in ridicolo ciò che si intuisce essere il neonascente il nazismo assegnandolo a sbadati militari lungo la ferrovia o a divisioni dell'esercito che da SS passano a ZZ: zigzag.
L'intero film quindi non è niente di più che una storia. Che fa sorridere, fa commuovere, fa appassionare e divertire… come la nostra, di tutti noi. Noi che in un momento della nostra vita o in un altro possiamo immedesimarci in ognuno dei personaggi che capitano anche solo per un attimo nell'inquadratura e non siamo nient'altro che delle piccole creature dotate di magnifica intelligenza ma guidate dall'istinto.
Insomma Grand Budapest Hotel è una dolce sfiziosità. Quella di poter guardare in faccia ciò che siamo e di sorriderne, semplicemente.
Anche una volta usciti dalla sala. Anche nella nostra vita; si spera.
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jules_winnfield
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lunedì 19 gennaio 2015
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welcome to grand budapest hotel!
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Candidato a ben 9 categorie per gli Oscar 2015, Grand Budapest Hotel si presenta come un'opera innovativa e curata sotto ogni punto di vista, dotata di un ricchissimo cast di attori,e si avvale di una decisa regia.Il film si snoda su una tripartizione temporale, favorita dall'uso di vari flashback, che portano lo spettatore ad ammirare quello che era il Grand Budapest Hotel, e le avventure del protagonista (Ralph Fiennes), che qui è il concierge Monsieur Gustave,e del giovane neoassunto portiere dell'Hotel, Zero, col quale stringe un fortissimo legame di complicità che si svilupperà per tutta la durata del film.Il paesaggio immaginario di Zubrowka nel quale è collocato l'Hotel,è stato creato dal regista per rendere più ovvia la contrapposizione degli anni del 30 in cui è ambientato il film , e quelli nostri, accomunati entrambi dalle influenze delle truppe naziste( anche se nel film non vengono chiamate così, avendo un simbolo diverso).
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Candidato a ben 9 categorie per gli Oscar 2015, Grand Budapest Hotel si presenta come un'opera innovativa e curata sotto ogni punto di vista, dotata di un ricchissimo cast di attori,e si avvale di una decisa regia.Il film si snoda su una tripartizione temporale, favorita dall'uso di vari flashback, che portano lo spettatore ad ammirare quello che era il Grand Budapest Hotel, e le avventure del protagonista (Ralph Fiennes), che qui è il concierge Monsieur Gustave,e del giovane neoassunto portiere dell'Hotel, Zero, col quale stringe un fortissimo legame di complicità che si svilupperà per tutta la durata del film.Il paesaggio immaginario di Zubrowka nel quale è collocato l'Hotel,è stato creato dal regista per rendere più ovvia la contrapposizione degli anni del 30 in cui è ambientato il film , e quelli nostri, accomunati entrambi dalle influenze delle truppe naziste( anche se nel film non vengono chiamate così, avendo un simbolo diverso).Tutto ciò per ricordare l'omaggio che il regista Wes Anderson vuole dedicare allo scrittore austriaco Stefan Zweig(ucciso dai nazisti),nonchè sua fonte di ispirazione per la realizzazione del film.Lo stile di narrazione è alquanto veloce, il cambio di inquadratura è quasi imprevedibile,ma non vi è scena in cui è dettagli non siano curati, in cui i colori( come quelli che caratterizzano gli alberghi) non siano in sintonia coi personaggi o con l'ambientazione.Gli intrecci che via via propone la trama richiamano vagamente quelli Wilderiani, in cui i personaggi confluiscono in uno stesso punto, suggerendo comunque un lieto fine.Ma ciò che rende l'opera tanto ironica quanto surreale, è la totale e assurda tecnica che il regista assume, attraverso un gioco di contrasto fra il linguaggio grottesco e a volte rude(non in sintonia per un albergo di quell'elevatura), e le tecniche proprie del cinema muto( inseguimenti e lanci nel vuoto) che sostituiscono gli effetti speciali che invece risulterebbero più consoni per il cinema degli anni 2000.Questo azzardo vero e proprio è la vera chiave del film, che esenta lo spettatore dal porsi domade sul chi o sul perchè, ma riesce invece a stimolarne la risata, l'allegria di chi guarda,facendo vivere 2 ore di piacevole distacco dalla realtà, distacco che deve essere proprio di un film,e che infine, riesce a lasciare un gusto speciale per le papille dei grandi"divotari del cinema". Allacciate le cinture, grandi spettatori, poichè il Grand Budapest Hotel, non vede l'ora di accogliere nuovi clienti!
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vanessa zarastro
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sabato 19 aprile 2014
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un mondo alla franz lehàr
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Finalmente una commedia deliziosa, divertente e raffinata! Ambientato in una splendida località termale mitteleuropea, in cima a una montagna in un Paese chiamato Zubrowska, quest’albergo, una volta di lusso, è il luogo che ospita tutta la vicenda in un incantevole clima da operetta. Partecipa al suo successo un cast eccezionale ricchissimo di bravi attori. Ralph Finnes è il Monsieur Gustave il concierge intorno al quale è costruita la storia: una sorta di “Inimitabile Jeeves” più snob dei suoi stessi padroni. Willem Dafoe e un insolito Adrien Brody sono i cattivissimi Jopling e Dimitri tratteggiati in modo caricaturale da Wes Anderson.
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Finalmente una commedia deliziosa, divertente e raffinata! Ambientato in una splendida località termale mitteleuropea, in cima a una montagna in un Paese chiamato Zubrowska, quest’albergo, una volta di lusso, è il luogo che ospita tutta la vicenda in un incantevole clima da operetta. Partecipa al suo successo un cast eccezionale ricchissimo di bravi attori. Ralph Finnes è il Monsieur Gustave il concierge intorno al quale è costruita la storia: una sorta di “Inimitabile Jeeves” più snob dei suoi stessi padroni. Willem Dafoe e un insolito Adrien Brody sono i cattivissimi Jopling e Dimitri tratteggiati in modo caricaturale da Wes Anderson. Bravi anche il capo poliziotto Edward Norton, il detenuto Harvey Kartell, l’impassibile scrittore Jude Law, il collega concierge Bill Murray e così via: tutti volti inseriti quali citazioni in omaggio a modi diversi di fare cinema. Ottima l’interpretazione del Lobby boy Zero Moustafa il poco più che esordiente Tony Revolori che, figlio di guatemaltechi, ha un caratteristico “volto da immigrato” che potrebbe essere alla volta arabo, israeliano o indiano. Uno humour grottesco quello di Wes Anderson che progetta con cura a tavolino ogni minimo dettaglio, dai dolci Meldel al decò della facciata dell’albergo, dagli anelli di Willem Dafoe all’arredamento della magione della Madame D., la proprietaria defunta del Grand Budapest Hotel. Il film cambia il suo formato tre volte a seconda delle epoche rappresentate; infatti la costruzione del film è a scatole cinesi con lunghi flash-back uno dentro l’altro. Il regista Wes Anderson ha conosciuto all’università Owen Wilson (anche lui fa un’apparizione nel film) con cui ha scritto le sceneggiature dei primi tre film; si è cimentato anche in stop motion di cui si trovano tracce anche in questo film. Presentato al festival di Berlino 2014, il “Grand Budapest Hotel” è ambientato negli anni ’20 ed è memore delle parodie politiche di Chaplin e di Lubitch. Ottime anche le musiche di Alexandre Desplat che pongono l’accento al ritmo filmico.
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