Un uomo perbene

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La lezione di Francesco Rosi Valutazione 3 stelle su cinque

di Gianni Lucini


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domenica 20 novembre 2011

«È un uomo perbene tuo papà. Un uomo perbene». Ha la forza di un mantra benefico la frase con quale Enzo Tortora si rivolge alla figlia Silvia in uno dei momenti emotivamente più forti del film. Quella stessa frase contiene la sintesi estrema del concetto che Maurizio Zaccaro affida alla narrazione cinematografica e cioè: se un uomo perbene, un innocente finisce tra le grinfie di un sistema giudiziario contorto, macchinoso e altamente imperfetto la sua difesa diventa complicatissima. Per aiutare lo spettatore a calarsi nella complessità della vicenda processuale sceglie una narrazione filmica spezzettata, in cui il tempo e lo spazio vengono destrutturati e poi ricomposti in un’articolazione degli eventi che non è cronologica ma emozionale. Il film non si muove seguendo la fredda sequenza dei fatti, ma le preoccupazioni e gli smarrimenti di Tortora, la memoria di chi gli sta vicino, il carnevale dei media e la febbrile azione dei suoi avvocati. Lo spettatore si trova così catapultato in una sorta di labirinto in cui la verità finisce per avere un peso uguale quando non inferiore alle le menzogne. Per non perdersi ha a disposizione soltanto un labile filo conduttore: il lavoro degli avvocati difensori. Proprio questa struttura narrativa a incastri mette in evidenza come Zaccaro si sia ispirato ai grandi maestri del cinema italiano d’impegno civile, Francesco Rosi su tutti. Quando il regista Maurizio Zaccaro e Umberto Contarello iniziano a lavorare alla sceneggiatura di Un uomo perbene sulla base di un soggetto scritto da Silvia Tortora, la prima delle figlie di Enzo, il presentatore è morto da un decennio. Il suo caso aveva scosso le coscienze degli italiani che avevano partecipato in massa al referendum per estendere la responsabilità civile dei magistrati. Presentato nella Sezione “Eventi speciali” della Mostra di Venezia del 1999, il film esce in un’Italia molto diversa nella quale la magistratura è tornata a godere di fiducia e grandi consensi sull’onda delle inchieste e degli scandali che hanno segnato il tramonto della classe dirigente della cosiddetta “Prima Repubblica”. Consapevoli dei rischi Zaccaro e Contarello si appoggiano ai documenti processuali per portare sullo schermo quell’insieme di errori, superficialità e pregiudizi che hanno caratterizzato la vicenda processuale di Enzo Tortora, evidenziando anche l’acquiescente subalternità dei media. Maurizio Zaccaro stesso spiega di aver voluto portare sullo schermo «...un momento di cecità e di smarrimento del potere giudiziario» per evitare il ripetersi di eventi simili. Nonostante tutto le polemiche non mancano. Il film regala a Leo Gullotta il David di Donatello come miglior attore non protagonista.

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