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Facile, molto facile criticare un film come Avatar. Basta dire: "una favola", e lasciar trasudare da due semplici parole ettolitri di snobismo più o meno intellettuale (eh sì, ho scritto ettolitri: se trasuda é un liquido, e non esattamente di buon odore...). Se poi si aggiunge: "una favola già vista" - e giù con citazioni elaborate e paralleli più o meno improbabili, da Esopo a Walt Disney - allora si é pronunziato un giudizio più "tombale" dei tanti condoni scientificamente e clientelarmente profusi nella nostra (una volta) bella Italia.
Eppure le favole hanno una comprovata, letteraria dignità; svolgono un ruolo fondamentale nell'infanzia e nella maturazione; da adulti, aiutano a preservare qualche atollo di freschezza mentale, qualche bastione di nativa (Na'viva?) ingenuità... Guai al popolo che ha bisogno di eroi... ma guai ancor più grossi a chi rifiuta la dimensione onirica, il tuffo (temporaneo, cosciente e liberatorio)nella più fantasmagorica avventura: Verne, Stevenson, Dumas non hanno insegnato niente? Niente, Lucas e Spielberg?
Chi si accinge a vedere (o rivedere) Avatar faccia dunque conto di essere entrato non in un cinema, ma nella caverna di Platone. Gli azzurri giganti Na'vi e i ferrosi robottoni spediti dalla Terra a conquistare un nuovo Eldorado (eh sì, nulla di nuovo: la Storia - e le Storie - si ripetono all'infinito)sono ombre proiettate sulla parete, simulacri... ma sì, Avatar... di milioni di uomini e donne di tutte le razze massacrati ancor oggi nei cinque continenti, e dei loro (bruti) massacratori.
E' sempre la stessa Storia, é vero: e purtroppo, "una Storia già vista"...
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