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Rassegna stampa di Max Ophüls

Max Ophüls (Max Oppenheimer Ophüls) è un regista, produttore, sceneggiatore, scenografo, è nato il 6 maggio 1902 a Saarbrücken (Germania) ed è morto il 25 marzo 1957 all'età di 54 anni ad Amburgo (Germania).

FABIO SECCHI FRAU
MYmovies.it

Max Ophüls, come regista, possiede qualcosa di prodigioso e allo stesso tempo tragico rispetto a tutti gli altri registi. È il padre del melodramma cinematografico grazie alle sue pellicole ricche di personaggi suicidi. Un cinema fatto della spettacolarità del sentimento umano, dove si alternano, con impeccabile maestria, frivolezza e dramma, amor sacro e amor profano. Dove si calcano temi importanti per il cuore, senza però affondare nelle sdolcinatezze strappalacrime. E forse sta proprio in questo la sua maestria: nel mantenimento di un certo romanticismo che rimane orgoglioso e composto, anche di fronte alle bassezze della vita.
Tedesco, figlio di un commerciante ebreo, iniziò la sua carriera in teatro, formandosi come attore a soli 17 anni. Il padre, dalla mentalità retrograda, gli proibì l'uso del proprio nome, così Max scelse il cognome di Ophüls. Fra i 22 e i 30 anni, si fece notare anche come autore e regista, mettendo in scena poco meno di 200 spettacoli fra prosa e lirica e lavorando in città come Stuttgart, Dortmund, Wuppertal, Vienna, Francoforte, Braslau e Berlino. Nel 1929, diverrà padre di Marcel Ophüls, nato a Francoforte, il suo primo ammiratore e regista lui stesso.

TERRENCE RAFFERTY
The New York Times

ANYONE prone to attacks of vertigo should approach the works of Max Ophuls (1902-57) with some caution. Watching an individual Ophuls picture, in which, typically, the camera is in perpetual motion, can be a dizzying enough experience, but attempting to take in the whole of his career — by, say, attending the 12-movie retrospective that begins Friday at the Brooklyn Academy of Music’s Rose Cinemas — could be more disorienting yet, because Ophuls did a fair amount of moving around himself.
After leaving his native Germany in 1933, he directed films in France, Italy and the Netherlands; in the ’40s he worked in Hollywood; in 1950 he returned to France (where he had been a citizen since 1938) and made his four most famous movies. Trying to track this odd itinerary feels a little like chasing someone up a spiral staircase in the Tower of Babel.
There are, in fact, quite a few spiral staircases in the films of Max Ophuls, and he always seems to negotiate them smoothly. And although the irregular, stop-and-start nature of his career would drive most artists crazy, none of Ophuls’s several dislocations appear to have fazed him much. The consistency of his themes and his visual motifs from the first movie in the series — the elegant romantic tragedy “Liebelei,” made in Germany in 1933 — to his last completed work, the elaborate picaresque called “Lola Montes” (1955), is striking. Echoes of “Liebelei” can be heard very clearly in the American “Letter From an Unknown Woman” (1948) and then again five years later in the French “Earrings of Madame de ...”; and “Lola Montes” seems, in its less felicitous moments, just a gaudier version of Ophuls’s 1934 Italian melodrama “La Signora di Tutti.”

FRANçOIS TRUFFAUT

Max Ophüls è morto. Lo si credeva guarito dall’infiammazione reumatica al cuore che lo aveva colpito all’inizio dell’anno mentre dirigeva allo Schauspiel Theater di Amburgo Le nozze di Figaro da lui stesso tradotto e adattato. Un critico tedesco dichiarò che attraverso Beaumarchais è essenzialmente lo spirito di Mozart e della Commedia dell’Arte che Ophüls aveva resuscitato in questo spettacolo al quale la sua abituale frenesia aveva impresso un ritmo strabiliante; le sue Nozze di Figaro comportavano infatti una trentina di quadri vertiginosi. La prova generale ebbe luogo il 6 gennaio e Max Ophüls, inchiodato al suo letto d’ospedale dall’altra parte della città, non poté assistere al suo trionfo: la folla in delirio, con i suoi applausi, pretese quarantatre chiamate degli attori!
Max Ophüls è morto il 26 marzo 1957, di mattina.
Nato a Sarrebrück il 6 maggio 1902, Max Ophüls, dopo la guerra 1914-18, dopo il plebiscito della Saar, optò per la nazionalità francese; in genere non si conosceva questo particolare e si parlava di lui come di un “viennese che lavorava da noi”. Di fatto, Ophüls visse a Vienna per non più di dieci mesi nel 1926.
Attore di teatro, poi regista, arrivò al cinema per amore di una attrice che seguì fino a Berlino. Diventato sonoro, il cinema reclutava i suoi nuovi registi tra la gente di teatro e fu così che tra il 1930 e il ‘32 diresse quattro film di lingua tedesca di cui non si sa niente o quasi. Nel 1932 fu la volta di Der verkaufte braut (La sposa venduta) dall’opera di Smetana e soprattutto Liebelei (Amanti folli, 1933) dalla commedia di Arthur Schnitzler, il suo film più celebre e anche il suo preferito. Quando Madame de... (I gioielli di Madame de..., 1953), girato quattro anni fa, uscì a Parigi nessuno notò che Max Ophüls aveva adattato il romanzo breve di Louise de Vilmorin fino a fargli assumere la costruzione esatta di Liebelei; l’ultima mezz’ora, il duello, il finale era un remake puro e semplice. Fuggito dalla Germania dopo l’avvento del nazismo, il suo nome scomparve dai titoli di testa di Liebelei; subito dopo la sua partenza, un anno e mezzo fa, ebbe occasione di rivedere questo film per la prima volta dopo venticinque anni in non so quale città della Germania; prima della proiezione prese la parola una personalità del luogo e spiegò che non era il caso di andare fieri dei titoli di testa monchi: ci fu un minuto di silenzio, poi il film fu proiettato e lungamente acclamato.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Amanti folli (1933) è il Liebelei di Arthur Schnitzler, storia romantica di una ragazza del popolo che, nella Vienna gloriosa dell'Impero (la commedia è del 1894), si uccide per amore. Il regista, qui alla prima prova impegnativa (ha fatto molto teatro, è stato direttore del Burgtheater, ha affrontato seriamente il cinema all'alba del sonoro), si abbandona al piacere della –forma.

È un altro Stemberg, raffinato come lui, ossessionato dal tentativo di comunicare allo spettatore l'emozione che la luce e movimenti di macchina sinuosi suscitano nel seguire le mosse degli attori. Si tratti di una tenera storiella d'amore che si conclude tragicamente (l'innamorato, bell'ufficiale fatuo, ama un'altra al punto da morire per lei in duello), o si tratti di un melodramma ricavato da Salvator Gotta (La signora di tutti, 1934, girato in Italia con l'esordiente, «fatale» e impacciata Isa Miranda), Ophüls si accanisce in una esplorazione dei segreti del linguaggio. In La signora di tutti c'è la (interessante) complicazione strutturale, dovuta alla serie di flashback in cui si articola la vita d'una diva del cinema che, sul tavolo operatorio, ha le dolorose visioni di quanto le accadde e la premonizione dell'esito infausto dell'intervento.

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