Gael García Bernal. Data di nascita 30 novembre 1978 a Guadalajara (Messico). Oggi al cinema con il film Máquina - Il Pugile distribuito in -50000 sale cinematografiche. Gael García Bernal ha oggi 45 anni ed è del segno zodiacale Sagittario.
Pare certo che il cinema ispanico ha trovato l'erede di Antonio Banderas, mito macho con un che di femmineo che lo fa amare/desiderare da uomini e donne indistintamente. Un giovariissimo che riesce a essere sorridente e disinvolto, cupo e introverso, solare e ambiguo, il tutto in pochi minuti,in una stessa scena animato da una vitalità contagiosa, un coraggio che sconfina nell'incoscienza, una simpatia che trasuda al primo sguardo. Una incantevole canaglia e una vittima designata. » Gael Garcia Bernal, messicano, 25 anni da Guadalajara, bel nome da angelo ribelle, attore figlio di attori, che in Italia non ha raggiunto (ancora) la notorietà di certe teen star Usa ma che ègià riuscito a farsi ricordare con pochi ruoli fiammeggianti. Era il ragazzo di borgata protagonista di Amores Perros, il pretino innamorato e scandalizzato di II crimine di Padre Amaro e - soprattutto - l'adolescente alla scoperta di tma nuova maturità di Y tu mama tambien, film di Alfonso Cuarón che, complice il presidente di giuria Nanni Moretti, gli ha fatto vincere il Premio Mastroianni alla Mostra del Cinema di Venezia 2001 e che gli ha aperto molte strade, tra cui quella di Hollywood. Amore e odio immediato tra l'America e il giovane messicano che, pochi mesi dopo, invitato per consegnare un Oscar nella Notte delle Stelle che seguiva di soli tre giomi l'inizio della guerra contro l'Iraq, si dichiara-va pubblicamente contro la guerra e per la pace. Amore anche perché proprio al party post Oscar incontrava Natalie Portman, la principessa Padmé Amidala di Star Wars, con cui si dice sia legato da qualche mese.
E adesso Cannes. Non la prima volta per Garcia Bernal che aveva già conosciuto l'emozione del premio della Settimana della Critica per Amores Perros e, di conseguenza, dell'assalto della stampa dopo una (felice) settimana di festival in dimensione povera e bohe.miènne, e un brillante premio Chopard/Studio un anno fa. Quest'anno però per lui è la follia del festival da superstar: due film in anteprima, nella sezione maggiore, attesissimi: La mala educación di Pedro Almodavar, fuori concorso ma in apertura di festival, e I diari della motocicletta di Walter Salles. Due ruoli diversi per non dire opposti, ma entrambi esaltanti per un attore.
Perché Almodóvar nel giovane Gad ha visto “il doppio profilo“, quello femminile e quello da pugile, e gli ha attribuito un triplice triplice ruolo: quello dell'ambiguissimo Ignacio/Juan in arte Angél e di Zahara, trans di infinito fascino e grande fragiliti. «Una femme làtale che è un enfent terrible». E su di lui ha basato buona parte del più autobiografico e certo di uno dei più controversi tra i suoi film: perché - ormai è noto - il regista spagnolo, pur prendendo un po' le distanze, parla di sé e della sua infanzia in un collegio di preti, degli anni del franchismo e del post franchismo in Spagna, tra re-pressione e perversione (violente entrambe, sotto il segno dell'inquisizione che ha scolpito di sé tanta storia iberica), tra e Movida e scatenamento. Uno shock per il giovane divo messicano? Un po', forse. Indefinthile come sempre, glissa e sorride Gael. Tanti gli scontri che gli sono stati attribuiti. con Pedro, ma non per la scabrosità dei moli (un ragazzo lo aveva già scandalosamente baciato in Y tu mama e un film che la Chiesa non aveva amato lo aveva già interpretato: Padre Amaro), quanto perché il regista gli dava indicazioni
troppo precise sul cosa fare e sul come sul set. E i messicani, si sa, l'indi-pendenza la respirano in modo bollente dai tempi di Pancho Villa «Qualche volta ho persino pensato di mollare la spugna», ammette l'attore, che alla fine si confessa emozionato dal contrasto/confronto con lo spagnolo: che gli ha insegnato molte cose. A ballare il flamenco (per imparare a muovere le mani in un certo modo), a camminare, a parlare uno spagnolo credibile, a fare tesoro dei conflitti, a cantare, essere seducente come una donna, essere uno e trino...
Walter Salles in Garcia Bernal ha visto invece nientemeno che il Che, Ernesto Guevara da giovane, prima che diventasse la leggenda e il rivoluzionario, nel momento in cui, ragazzo, durante - un viaggio in moto attraverso il continente sudamericano, che sarebbe diventato anche un libro, I diari della motocicletta - prende coscienza della condizione della sua gente e si prepara a diventare il personaggio che tutti conosciamo. Altro film iniziatico, altro segno del destino. Perché Guevara appare già nella filmografia di Gad, che nel 2002 è stato proprio il Che in Fidel, Tv movie Usa di David Atrwood; «La prima volta che ho sentito parlare del Che avevo 5-6 anni. Fu quando andai con i miei genitori a Cuba: mio padre mi spiegò allora chi fosse quell'uomo che vedevo ritratto sui muri di tutte le case dell'isola e persino sulle monete. Sono cresciuto, come quasi tutti in America Latina, con il mito di Guevara. I miei genitori erano impegnati politicamente. E molti miei amici erano figli di rifugiati politici. Il Che era davvero un simbolo. E non solo da portare sulle magliette».
Da Film Tv, n. 21, 2004
Lo ammette: negli ultimi film ha avuto la parte dell’oggetto del desiderio. Lo guardo e penso che non deve aver fatto un grande sforzo. Gael Garcia Bernal, messicano di 25 anni, è un attore avventuroso e pieno di mistero che qualcuno ha (giustamente) paragonato a James Dean e Alain Delon. Ma, siamo sinceri, è il viso la prima cosa che ti cattura: quegli occhi, quelle labbra, quello sguardo. Al momento non ci sono in giro molti attori così hot (o cool: come preferite). Il suo nome ha cominciato a diventarlo con Amores perros e Y tu mamà también. Ora è pronto a ripetere il doppio incantesimo di tre anni fa, con un altro paio di interpretazioni coraggiose: come giovane Che Guevara nel film on the road di Walter Salles I diari della motocicletta (terzo incasso al momento nei cinema italiani, subito dopo due kolossai come Troy e Van Helsing), e nella Mala educacion di Pedro Almodòvar, dove recita la parte, tra le altre cose, di un uomo che imita il fratello morto per impersonare un transessuale che vuole vendicarsi delle molestie sessuali di un gruppo di sacerdoti (non ci crederete, ma la trama è persino più complicata). Non è facile immaginare un altro attore della sua generazione alle prese con un ruolo così esigente, e chiunque dica «Orlando Bloom» può accomodarsi in fondo alla classe. Mentre parla, Bernal riesce a essere intenso come sullo schermo, anche se quest’impressione è dolcemente mitigata dalla sua statura: poco più di un metro e sessantacinque. Quando arrivo nel tranquillo ristorante a New York dove abbiamo deciso dì incontrarci ha il naso immerso in un cappuccino, un gatto stampato sulla maglietta grigia, pantaloni scuri da scaricatore. Ordiniamo da bere e gli domando della sua casa nel West Viliage. «La mia casa è in Messico», mi corregge. «Qui, semplicemente, divido un appartamento con una persona. È come essere tornato studente. Ma non è proprio viverci».
Bernai è un tipo che passa il tempo a sfruculiare tra cultura e identità, e per esempio pensa che Hollywood non sia capace di usare al meglio gli attori latino-americani, ragione per cui evita accuratamente di andarci. «Prenda Salma Hayek», dice. «È una brava attrice, ma tanto per cominciare quando è arrivata negli Stati Uniti le hanno offerto solo parti da messicana sciroccata». D’altra parte, sul trampolino per i tuffi di Y tu mamà también, era il semplice pensiero della Hayek ad agitare e a eccitare il suo personaggio.
Adesso, è appena tornato da una breve vacanza in Brasile: «Il più bel Paese del mondo», sospira. «E le ragazze, non c’è niente di simile sulla terra. Pazze, pazze, pazze». Vorrei domandargli se esce ancora con Natalie Portman, ma forse non è il momento migliore. Qualsiasi altro attore così di moda, con un’immagine da preservare e un affitto costoso da pagare, potrebbe avere difficoltà a vivere la propria vita fra una telefonata dei produttori e l’altra. Lui sembra rilassato. Fin troppo. Ad esempio, detesta fare piani. «C’è gente che disegna la mappa della propria carriera», ironizza. «Non le pare incredibile? Recitare dovrebbe essere una necessità: raccontare una storia, costruire un personaggio. Anche girare il mondo per qualche mese».
Il riferimento è ai Diari della motocicletta, ricostruzione del viaggio attraverso l’America Latina di Che Guevara e del suo amico Alberto Granado verso una crescente consapevolezza che culmina nel lavoro in un lebbrosario. Il film esigeva un maggior understatement rispetto a La mala educacion. Lui, però, ci ha messo la stessa grazia e la stessa delicatezza.
«Questo film mi ha cambiato tanto, più di qualsiasi altra cosa abbia fatto», spiega. «Mentre giravamo mi dicevo, ehi, ma questo è quello a cui ho pensato per tutta la vita. Ha presente quando qualcosa tira fuori un’emozione che ti tenevi dentro? È quello che mi è successo lavorando ai Diari. Anch’io voglio esplorare l’America Latina. Voglio restituire alla mia terra un po’ di energia, di pensieri, d’amore. Molta gente che è nata lì ci sta provando. Se sei gentile con la terra, lei lo sarà con te... Può sembrare paccottiglia new age, lo so. Ma è quello che provo veramente». Non ne dubito. La sincerità è una caratteristica di Bernal, per non parlare del suo equilibrio. Per essere un attore professionista solo da cinque anni, ha già un’opinione precisa sull’industria del cinema, ed è perfettamente consapevole dei vantaggi che ha rispetto ai colleghi americani. «Qui gli attori crescono in un sistema che li castra», dichiara con decisione. «Li chiudono costantemente in uno schema». Adesso imita il dirigente di uno studio, masticando rumorosamente un sigaro immaginario: «Ok, dammi il miglior attore tra i 20 e i 25». E scuote la testa: «Non puoi sopravvivere in una situazione del genere. Le cose più importanti per il lavoro di un attore sono tre: l’istinto, l’intelligenza e la libertà. Il sistema è congegnato in modo da spremerti queste tre qualita Se mai m inviteranno la sara fantastico. Ma io non sono competitivo. Quando vado a Los Angeles incontro persone che hanno più talento di me: camerieri che sono migliori di me, più belli, più liberi. Non voglio fare a gara con loro». La sua umiltà sembra sincera. Soltanto nel 2000, quando stava girando Amores perros, considerava il fatto di recitare ancora un gioco. «Avevo preso il film sul serio», mi spiega, «ma non ho mai pensato: ora sono un attore. Non credevo che quello fosse il mio futuro. Era solo un’altra delle cose che volevo fare, come viaggiare».
Eppure entrambi i suoi genitori, Patricia Bernal e José Angel Garda, sono attori di teatro in Messico. Crescendo a Guadalajara e vedendoli recitare, ha cominciato a pensare: lo voglio fare anch’io. La sua prima parte è stata in una commedia al loro fianco; poi è seguita la soap opera Teresa. A 17 anni se l’è svignata a Londra, dove ha lavorato come barman per mantenersi alla Central School of Speech and Drama: «Era il biglietto più a buon mercato dal Messico. Persino più economico della Spagna».
Stava ancora studiando a Londra quando è arrivata la parte di Octavio, il ragazzo violento di Amores perros che inizia il suo cane ai combattimenti e va a letto con la cognata. La sua apparizione nel film è scioccante: ha un aspetto sporco e sgradevole, quasi da lupo, eppure nei suoi occhi c’è una musica più dolce. L’anno seguente, lo scherzo gli è riuscito di nuovo in Y tu mama también, la storia molto sexy di due adolescenti che sì mettono in viaggio con una donna più adulta per poi ritrovarsi sopraffatti dalla sua maturità. «Quello è stato il momento di svolta», rivela. «Lì mi sono reso conto di quanto sia faticoso recitare se lo fai bene, ma anche di quanto sia gratificante». Questi film hanno portato fortuna a molti: Alejandro Gonzalez Inarritu, il regista di Amores perros, poi ha girato 21 grammi; Diego Luna, il coprotagonista di Y tu mama también, amico d’infanzia di Bernal, si sta costruendo una carriera a Hollywood; e Alfonso Cuarén, il regista, è stato occupato a dirigere un film oscuro e insignificante: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. E l’ultima battuta di Gael è un esempio di autoumorismo etnico: «Pensi al rischio. Non è assurdo aver dato tanti soldi a un messicano?».
Da Vanity Fair, 10 giugno 2004