Al festival del cinema di Capri ho incontrato Franco Nero. Negli anni sessanta, quando, ragazzo, ero in cerca disperata di "identificatori", Nero faceva l'uomo del West, il cavaliere, il detective. Gli eroi primari dei film. Era il decennio in cui Brando e Newman avevano quarant'anni. Nero ne aveva venti, ma era già qualcuno. Era uno dei pochi attori italiani del mondo, con aspetto e carisma esclusivo, e poi quegli occhi, sì, proprio alla Paul Newman. Era un "internazionale" e si stava costruendo una storia adeguata. Allievo del Piccolo teatro, eccolo a Roma, poi in America. Fa prestissimo un film con Huston (La Bibbia) tanto per gradire, ma ha un brutto fantasma da contrastare: è troppo bello perché ci si accorga di quanto è bravo.
Gliel'ho detto. «Ha proprio ragione» mi ha risposto. La tesi della bravura di Franco è presto dimostrata. Basta citare i ruoli. C'è Django, c'è Lancillotto, ruoli d'avventura e di disimpegno, diciamo così. Ma ecco Matteotti, ruolo complesso e profondo, e poi Walter Audisio, il famoso "Valerio" che giustiziò il Duce, personaggio doloroso e difficile.
Fra le centinaia di figure, ricordiamo anche l'Innominato, carattere certamente non semplice. Nero è stato diretto, fra i molti, da Damiani, Brass, Petri, Vancini, Bellocchio. Nomi nobili del nostro cinema. L'attore è stato scelto da Buñuel e Fassbinder, che non sono nemmeno registi, ma grandi artisti generali. Insomma, il talento è stato riconosciuto e legittimato.
Ma la vita e la carriera di Nero hanno altri accenti, particolari, di quelli che appartengono ai predestinati. Così si imparenta con la stirpe reale inglese dello spettacolo, i Redgrave, sposando Vanessa, dalla quale ha un figlio, Carlo Gabriel, regista. «È bravissimo, bravissimo... non perché sono il padre». E, se possibile, gli occhi gli si fanno ancora più brillanti. Proprio in virtù di tanta "qualità", Franco Nero non fa (quasi) più film in Italia. Gli dico che vista la mediocrità del nostro cinema trascinata ormai da troppe stagioni, mi sembra un magnifico riconoscimento per lui. Sorride un po' amaro. «Mi offrono la tivù, a volte accetto, quasi sempre rifiuto... ho rifiutato il maresciallo Rocca». Gli si avvicina gente continuamente. Parla di tutto in tutte le lingue. Si presta a farmi da traduttore con la sua vecchia amica Faye Dunaway. «Ho fatto film in trenta paesi... forse è il record del mondo. Fra poco sarò distribuito in Italia finalmente, con un film di Silvano Agosti, La ragione pura, con me c'è la bravissima Brigliadori... una storia magnifica». Guardando Franco Nero, sempre in grande forma, penso ai film natalizi che fanno incassi record, guardo "quelle" facce sui manifesti. Certo, lui è bravo e bello, cosa mai ha a che fare con "quelli là"? Ma la speranza va nutrita. Le cose (i film) potrebbero, forse, cambiare.