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Rassegna stampa di Francesco Maselli

Francesco Maselli è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, musicista, assistente alla regia, è nato il 9 dicembre 1930 a Roma (Italia) ed è morto il 21 marzo 2023 all'età di 92 anni a Roma (Italia).

RAI INTERNATIONAL

Nasce a Roma da una famiglia estremamente colta: suo padre è un raffinato critico d'arte la cui casa è frequentata da prestigiosi scrittori. Precocissimo nel manifestare scelte politiche e prese di posizione, Francesco (detto "Citto") prende parte alla Resistenza, realizzando subito dopo un paio di cortometraggi interpretati dalla sorella Titina (il primo, Sinfonia della città, di gusto surrealista). Si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia, diplomandosi giovanissimo nel 1949, nello stesso periodo, Maselli è aiuto regista di Luigi Chiarini (Patto col Diavolo, 1949), di Michelangelo Antonioni (L'amorosa menzogna, 1950) e La signora senza camelie (1953), in veste di aiuto regista e co-sceneggiatore. Sempre nel 1953, Maselli sarà aiuto regista anche di Luchino Visconti per Siamo donne, nell'episodio diretto dal maestro milanese e interpretato da Anna Magnani. Il "vero" esordio di Maselli avviene con Bagnaia paese italiano (1949), premiato alla Mostra di Venezia, primo di una trentina di apprezzati documentari realizzati nel corso di un decennio, nei quali il regista si accosta con notevole finezza e acuto spirito di osservazione ad aspetti minori della realtà italiana, soffermando sovente lo sguardo su personaggi marginali e umili. Dopo dirige, tra gli altri titoli, Finestre (1950), Sport minore e Bambini (entrambi nel 1951), Ombrellai (1952), Fioraie (1953) e Zona pericolosa (1954). Nel 1953, Maselli prende attivamente parte a L'amore in città, il più estremo, rigoroso e coerente tentativo di mettere in atto la teoria neorealistica zavattiniana con l'episodio Storia di Caterina, realizzato in co-regia con lo sceneggiatore e teorico emiliano. Il primo lungometraggio di Maselli è realizzato nel 1955: Gli sbandati che venne presentato alla Mostra di Venezia, rivela un'acuta capacità di indagine psicologica nei confronti della giovane generazione appartenente alla ricca borghesia e all'aristocrazia lombarda, costretta a intraprendere scelte politiche ed esistenziali estreme nell'Italia del 1943, confrontandosi con eventi di grande portata storica e politica (la caduta del regime fascista, la proclamazione dell'armistizio e l'inizio della Resistenza). Ne La donna del giorno, diretto l'anno successivo, Maselli, si dedica al tema a lui congeniale dei condizionamenti imposti dal mondo dei rotocalchi e dello spettacolo: oltre alle collaborazioni per L'amorosa menzogna e La signora senza camelie e la realizzazione del documentario Zona pericolosa, non si dimentichi, infatti, che il regista, pur non accreditato, fu l'autore assieme ad Antonioni del soggetto de Lo sceicco bianco - poi diretto da Federico Fellini - alimentando un filone tardo (e post) neorealistico di opere incentrate su questo argomento. Il rapporto professionale con Zavattini, iniziato con "Storia di Caterina", e proseguito con La donna del giorno, alla cui sceneggiatura lo scrittore collaborò, conosce il terzo e definitivo momento in occasione de Le adolescenti, l'episodio diretto da Maselli nel 1961 per il film Le italiane e l'amore, inchiesta condotta da Zavattini in undici episodi, realizzati da altrettanti registi. L'anno precedente, Maselli aveva firmato I delfini, storia della crisi esistenziale vissuta nel breve arco di una stagione da un gruppo di rampolli appartenenti all'alta borghesia e all'aristocrazia ( "I delfini", appunto) di una bellissima città di provincia (Ascoli Piceno), negli anni del boom italiano. Il film, che ha in comune con Gli sbandati non pochi elementi si avvalse oltre che di un prestigioso cast, anche della collaborazione, in sede di sceneggiatura, di Alberto Moravia. E proprio dal più celebre romanzo dello scrittore romano, Gli indifferenti, Maselli trasse nel 1964 il suo quarto lungometraggio, riproponendo come protagonisti due dei principali interpreti de "I delfini", Claudia Cardinale e Thomas Milian, che contribuirono in modo significativo al successo di quella che rimane una delle più raffinate trasposizioni cinematografiche di opere moraviane. Con i due successivi titoli, Fai in fretta ad uccidermi ... ho freddo (1967) e Ruba al prossimo tuo ... (1968), Maselli opera un'incursione, quanto mai originale, in un genere fino ad allora estraneo alla sua opera, mutuando stilemi, convenzioni narrative e figure retoriche dalla "sophisticated comedy", senza tuttavia rinunciare a quello sguardo critico sulla realtà costantemente presente nella sua opera. Per portare a termine questi due film, il regista si affidò a un cast in grado di esercitare un richiamo internazionale (nel primo caso, i due protagonisti furono Monica Vitti e Jean Sorel, nel secondo Claudia Cardinale e Rock Hudson). Dopo la stagione del ‘68, vissuta intensamente e con grande passione, il regista dirige due film esplicitamente "politici": Lettera aperta ad un giornale della sera (1970) e Il sospetto di Francesco Maselli (1975). In "Lettera ad un giornale della sera", che suscitò vivaci discussioni e aprì dibattiti anche aspri sulla nozione di "impegno" da parte degli intellettuali di sinistra, Maselli interpretò uno dei personaggi mettendosi apertamente in discussione insieme a Nanni Loy e ad altri suoi colleghi e compagni di militanza politica. A un linguaggio più disteso e a una struttura più compatta Maselli ricorse realizzando Il sospetto, che fu definito "uno dei migliori film politici di tutti i tempi" e che è ambientato nell'anno della "svolta" (1934), uno dei momenti fondamentali nella vita del partito comunista. Gian Maria Volonté interpretò con straordinaria bravura il ruolo di un militante comunista emigrato in Francia, immerso in una vicenda che assume cadenze da thriller. Nel decennio successivo, Maselli si dedica ad opere realizzate per il piccolo schermo, dirigendo uno sceneggiato diviso in quattro puntate, Tre operai (1980), tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Bernari e Avventura di un fotografo (1984), film per la televisione tratto dal racconto omonimo di Italo Calvino. Maselli torna a firmare opere per il cinema nel 1986, realizzando, nel giro di cinque anni, una tetralogia avente per protagonisti intense e tormentate figure di donne. La galleria di ritratti femminili si apre in Storia d'amore (1986) con Bruna, impersonata da Valeria Golino, che con questa interpretazione vinse il premio riservato alla migliore attrice alla Mostra di Venezia, dove il film conseguì anche il Gran Premio Speciale della Giuria. L'ambientazione (una degradata periferia romana), la vicenda (che fa leva su un triangolo amoroso in cui la figura femminile riveste un ruolo centrale), alcuni dei temi (primo fra tutti, l'evidente difficoltà nei rapporti tra uomo e donna), sono elementi che avvicinano "Storia d'amore" a Il segreto (1990), interpretato da Nastassja Kinski (assieme a Franco Citti e a Stefano Dionisi) e caratterizzato da palesi richiami psicoanalitici. Tra le due opere, Maselli dirige Codice privato (1988), dominato stilisticamente dal ricorso sistematico al piano-sequenza, permise a Ornella Muti di offrire una significativa interpretazione. Ancora Nastassja Kinski è la tormentata protagonista de L'alba (1991), coinvolta in un problematico rapporto amoroso con un uomo (interpretato da Massimo Dapporto). Nel 1996 Maselli ha diretto Cronache del terzo millennio che, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia e ambientato in un futuro a noi prossimo, ha originato accesi dibattiti. Attualmente il regista sta realizzando un film tratto da Il compagno di Cesare Pavese.

Courtesy of RAI International

BARBARA PALOMBELLI

Il luogo non è casuale. Ci troviamo al centro del triangolo artistico degli anni Cinquanta, in piazza del Popolo. Triangolo formato da tre locali storici. Il bar Canova, che ci ospita, guarda gli altri due: il caffè Rosati e il Bolognese, allora una trattoria alla buona e poco costosa, oggi ristorante di moda. Citto (nessuno l'ha mai chiamato Francesco) Maselli veste, parla e si comporta ancora come un sessantottino: i suoi modi sono diretti, i racconti divertenti, il linguaggio colto ed essenziale. L'intreccio fra cinema e politica in lui è strettissimo. Da sessant'anni è comunista, anzi: un borghese comunista, specie molto diffusa nelle grandi famiglie protagoniste della vita culturale nazionale. La prima tessera firmata da Franco Ferri, eroe della Resistenza romana, il 6 giugno del 1944, l'ultima, dall'amico fraterno Fausto (Bertinotti). Autore e regista impegnato ma non sempre ortodosso, ha girato un film autobiografico in dvd, Frammenti di Novecento, distribuito nelle librerie Feltrinelli, Ricordi e Messaggerie, un «come eravamo» con finale al liceo Tasso, sui titoli di coda la voce di Luciana Castellina che, commossa, è tornata al suo banco di scuola insieme a Sandro Curzi. «Ho raccontato la storia, piena di contraddizioni, della mia vita. Nei miei film, da Gli sbandati, finanziato personalmente da Nicola Caracciolo con i soldi di una sua eredità e stroncato dall' “Unità”, a Gli indifferenti, distrutto dai critici militanti perché non ambientato durante il fascismo e interpretato da attori stranieri, a Lettera aperta a un giornale della sera fino al Sospetto, ho sempre cercato di spiegare come è stato difficile, per me, ma anche per tanti, conciliare la vita personale con quella del partito e l'essere nato borghese con l'adesione agli ideali marxisti. Il massimo della crisi, dopo il Sessantotto. Lietta Tornabuoni scrisse un articolo di fuoco sull' “Europeo” contro i registi comunisti, Pontecorvo, i Taviani, Maselli, che guadagnavano tanto girando i caroselli per le multinazionali come la Procter & Gamble contro cui marciavano insieme agli studenti. È vero, ero pieno di quattrini, allora: potevo permettermi una Jaguar del 1936, un motoscafo per la pesca d'altura... Io smisi subito di fare la pubblicità, ma fui il solo a farlo. Adesso, finalmente, sono tranquillo: non ho una lira.» La dolcezza della primavera riporta indietro nel tempo. Nelle strade del centro, allora, le macchine dei registi non passavano inosservate, «Federico Fellini aveva una Limousine americana, una Buick, veniva a prendermi quando giravamo insieme Amori in città e mi portava a spasso per ore. Adorava guidare sotto la pioggia, mi sfotteva sempre: “Voi comunisti avete la fede che noi non abbiamo. Ci fregherete, vedrai”. Luchino Visconti guidava la sua Appia, la riprese dopo un terribile incidente, lo ricordo come un comunista molto settario e dogmatico, fedele all'Urss anche dopo i fatti di Praga, si infuriava e ci urlava contro quando qualcuno si permetteva di criticare lo stalinismo. Non prese mai la tessera del Pci, come spiego, perche forse non ne sono degno”. Allora il puritanesimo del partito era un problema, l'omosessualità non era consentita. Pier Paolo Pasolini fu espulso, i compagni di Udine mi raccontarono poi: “Abbiamo sbagliato, è vero, ma lui cercava di portarsi a letto i ragazzi della federazione”». A tenere insieme gli irrequieti registi del neorealismo, il Pci aveva messo un meridionale appassionato e viscerale, Mario Alicata. Conoscitore della letteratura inglese dell'Ottocento, un debole per la Mary Shelley dei racconti gotici, Alicata li convoca spesso a Botteghe Oscure. «Ricordo che invitava anche i radiati, Elio Petri, Renzo Vespignai, Tommaso Chiaretti, colpevoli di aver dato vita a una rivista non allineata, “Città aperta”. C'erano Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Gillo Pontecorvo, perfino un giovanissimo Carlo Ripa di Meana. Alicata era un uomo di grande intelligenza, fu lui a scrivere le tesi del decimo congresso, nel 1962: su mandato di Togliatti eliminò quella che si definiva “la logica rivoluzionaria” scegliendo senza esitazioni la via democratica. Lessi a Capri, in anteprima, quelle pagine. Che emozione.» Emozioni politiche e incontri sul set con le attrici. Anna Magnani, «politicamente era scettica, qualunquista. Nella vita privata era diffidente, spaventata. Una volta le restituii duemila lire, che mi aveva prestato, con un mazzo di violette, mi ringraziò telefonandomi alle due di notte, molto stupita del gesto». Virna Lisi, giovanissima, incontra un Maschi durissimo, «le ho dato perfino uno schiaffo, per farla piangere meglio». Claudia Cardinale, «per la prima volta con la sua voce rauca in Gli indifferenti, vince la sua timidezza». La sera? Tutti a cena a discutere della contro-offensiva democristiana, «Pio XII aveva finanziato, in chiave anticomunista, la Filmcostellazione, diretta da Diego Fabbri, che produsse I vinti di Antonioni, poi però diventò una casa di produzione come le altre. Andreotti ci ha aiutato, ma solo fino al 1953. Poi, attraverso i finanziamenti della Bnl, cominciarono a essere sovvenzionati soltanto i film graditi. Intanto, la Dc occupava la Rai e la Pubblica Istruzione, seguendo un'idea strategica della cultura, alunga gittata. A noi dicevano: Giocate pure con Moravia ». Nel suo ultimo film, Maschi lancia un'accusa pesante all'ambiente intellettuale degli anni Trenta: «Prima del 1943, il loro era un antifascismo da salotto. Ero bambino, ma ho molti ricordi netti dei discorsi dei grandi di allora. A casa nostra, in via Sardegna, venivano Corrado Alvaro, Massimo Bontempehli, Paolo Monelli, Alberto Savinio, i D'Amico, i Cecchi, i Pirandello erano nostri cugini: mia zia Olinda sposò Stefano, uno dei figli del drammaturgo. Mio padre Ercole, filosofo e critico, era considerato da tutti loro quasi come un dio: una volta, a Venezia, aveva perduto un manoscritto di Bontempelli, L'Acqua, e il grande accademico d'Italia ha dovuto riscriverlo. Bontempelli non si offese, disse: Non avrei potuto darlo alle stampe se non i avesse letto Maschi”. Mio padre fu tra i fondatori, alla fine dei 1943, del movimento dei cattocomunisti, insieme a Franco Rodano. Ricordo il manoscritto, poi edito dalla “Voce Operaia”, Perché siamo cattolici e comunisti, scritto a mano da Fedele D Amico. Eppure, 1 unico che pago davvero, in quel gruppo, è stato Antonio Petrucci, cattolico, magro e silenzioso, legato a Felice Balbo. Gli altri, in qualche modo, avevano navigato. Ricordo l'imbarazzo di Alvaro per un suo scritto del 1939 che esaltava la bonifica delle paludi Pontine. Alvaro aveva usato il trucco di mettere in bocca alla gente, tra virgolette, tutte le lodi al duce. Una sera era a cena da noi, c'era anche Vitaliano Brancati, papà e mamma io consola-vano e lui, a testa bassa, diceva: “Vorrei non aver mai scritto quelle pagine”». Dopo 1'8 settembre, la svolta. Il giovanissimo Citto è coraggioso: nasconde pistole, ospita in via Sardegna i capi comunisti in clandestinità, «con la tessera del pane era un problema farli mangiare, rimediavo con qualche uovo, ricordo che passarono Alicata, Guttuso, Achille Corona che allora era magrissimo», rischia la pelle sulla scalinata di Santa Maria Maggiore, a soli quattordici anni è responsabile degli studenti medi. Affronta, insieme ai compagni di scuola e ai ragazzi del partito, le SS. L'antifascismo romano era definitivamente uscito dai salotti. Stava per arrivare sugli schermi cinematografici

GIAN PIERO BRUNETTA

Dopo Gli sbandati, opera rivelazione, anche questo regista stenta a trovare un suo giusto spazio all'interno della produzione. Stenta per ragioni personali, in quanto non riesce a mettere a fuoco con continuità i suoi reali obiettivi, a scegliere una linea stilistico-tematica coerente, e in quanto subisce le leggi di mercato, che si esercitano in maniera più coercitiva sui registi ormai dotati di una fisionomia professionale. I titoli dei film degli anni Sessanta risultano eterogenei, così come gli esiti: dopo I delfini del 1960 (survey rapida, impressionistica e già piena di stereotipi sulla crisi del mondo alto-borghese), Maselli porta sullo schermo, nel 1963 l'opera prima di Moravia Gli indifferenti. E questo certamente il titolo più significativo del decennio, quello in cui il regista da un saggio convincente delle sue capacità. Stilisticamente compatto lo è anche in senso critico e ideologico, riuscendo a offrire una delle ricostruzioni più intense e articolate del clima dell'Italia fascista.
Pochi altri registi della sua generazione vivono in modo così contraddittorio e paralizzante l'esigenza di rispettare il, superIo ideologico stilistico e quella di manifestare in pieno la propria identità espressiva dopo l'exploit degli Sbandati. Spirito naturalmente anticonformista, dotato di una varietà di interessi culturali che le opere cinematografiche rivelano o suggeriscono, Maselli è prima di tutto interessato a sviluppare il Leitmotiv dell'ossessione pirandelliana dei personaggi che, al di là dell'infinito gioco delle maschere sociali, cercano la strada per essere se stessi. Sia i protagonisti dei Delfini che i personaggi presi a prestito dal primo romanzo di Moravia vivono in una dimensione sospesa, in una sorta di vuoto, di non senso, prigionieri dei condizionamenti sociali, di vere e proprie barriere pressoché invalicabili. Rispetto ad Antonioni, che con Visconti è modello e nume tutelare, Maselli immette nelle sue storie dei primi anni Sessanta un senso molto marcato del lavoro del tempo, della brevità delle stagioni della vita, della precarietà dei sentimenti, dell'effimero potere della bellezza, delle leggi misteriose che provocano l'alchimia delle passioni. La ragione ideologica non riesce mai a dar ordine e a spiegare un mondo di cui Maselli desidera raccontare e sondare le oscure e misteriose leggi che regolano i sentimenti. La scelta stilistica degli Indifferenti punta soprattutto sul valore e sul peso significante dei colori. Il bianco e nero della splendida fotografia di Gianni Di Venanzo dilata la sua gamma di toni e semitoni forzando espressionisticamente lo scontro contrastivo delle masse cromatiche fino a raggiungere livelli di escursione estremi. Maselli è uno dei registi più consapevoli delle proprie scelte formali eppure rivendica con orgoglio il fatto che la sua ispirazione poetica venga costantemente dal suo credo politico, per quanto sottoposto a crisi e a mutamenti.

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