David O. Selznick (David Oliver Selznick). Data di nascita 10 maggio 1902 a Pittsburgh, Pennsylvania (USA) ed è morto il 22 giugno 1965 all'età di 63 anni a Los Angeles, California (USA).
Sempre più spesso Via col vento, uno dei film più famosi della storia del cinema come spettacolo, viene riproposto dalle televisioni europee. Non è certo il caso di ritornare sulla sua trama, che dovrebbe essere nota a tutti, né sui suoi valori artistici, pressoché inesistenti. Vale invece la pena di raccontare come fu fatto, e chi ne fu il vero autore.
«No, è dall'epoca de La nascita di una nazione che i film sulla guerra di Secessione non fanno- più quattrini», sentenziò Irving G. Thalberg, il trentasettenne malaticcio produttore d'assalto che alla Metro-Goldwyn-Mayer era considerato un genio, come sa chiunque abbia visto Robert De Niro impersonarlo nel film di Kazan Gli ultimi fuochi. Il colosso di Griffith risaliva al 1914, mentre s'intitolava Via col vento il voluminoso romanzo d'una sconosciuta scrittrice del Sud, Margaret Mitchell, che nel maggio 1936 stava per essere pubblicato da Macmillan a New York e che in bozze faceva il giro delle case cinematografiche.
Al centro di questo copione ideale per un'industria giunta al massimo della sua potenza, si stagliava un personaggio femminile, Scarlett O'Hara (Rossella nell'edizione italiana uscita da Mondadori nel 1937), che aveva colpito perfino la fantasia del cinquantenne Louis B. Mayer, se non altro perché alle sue dipendenze figuravano parecchie dive cui affidarlo, compresa Norma Shearer ch'era, oltretutto, la signora Thalberg. Ma Irving G., di cui l'anziano magnate si fidava ciecamente, disse di no e la questione, per la Metro, sembrò chiusa. Almeno per il momento.
L'anno successivo Thalberg morì e il libro era già venduto a centinaia di migliaia di esemplari; quando raggiunse il milione di copie, alla Metro si cominciò a pensare di aver sbagliato i calcoli. Intanto i diritti erano in mano al produttore resosi indipendente David O. Selznick (1902-1965). Non per merito suo, quanto di una certa Katherine Brown detta Kay, capo ufficio soggetti della Selznick International Pictures, che come tutte le donne americane del tempo era rimasta folgorata dagli occhi verdi di quella Rossella e aveva insistito con entusiasmo perché il principale non si lasciasse sfuggire il colpo.
Costui tuttavia esitò, e si convinse a sborsare i cinquantamila dollari ch'era allora la cifra più alta mai pagata per un'opera prima letteraria, soltanto quando vide che il suo furbo socio e amministratore delegato «Dock» Whitney (che fu poi tra i primi a convertirsi dal cinema all'industria bellica) era deciso a scavalcarlo. Dopo di che sì gettò nell'impresa, che sarebbe durata tre anni, con tutto il furore e il disordine, l'ambizione e l'autoritarismo di cui sapeva disporre, nella speranza di passare alla storia come «l'uomo che fece Via col vento».
Per la prima volta a Hollywood, infatti, un produttore poté dirsi l'autore unico e assoluto di un film. Figlio d'arte (anche suo padre era stato un produttore megalomane) alto, grosso, miope e facile agli svenimenti, David O. era allora, tra l'altro, genero di Mayer. Più tardi avrebbe sposato Jennifer Jones, il che giovò alla carriera di lei ma assai meno alla sua. Quando fu certo di aver tra le mani il film della propria vita, Selznick riuscì a tutto meno che a coinvolgervi la minuscola e ritrosa Margaret Mitchell che, avendo già dedicato dieci anni al libro, non voleva spenderne altri per la sua trasposizione sullo schermo. Ma per il produttore il film divenne una scommessa e una ossessione, ed egli bruciò sull'altare del proprio successo forse il maggior numero di collaboratori di fama che, per ciascuna delle branche tecniche e artistiche, un progetto cinematografico avesse mai avuto. Ultimatolo, scrisse a Frank Capra di esser stato «l'unico a tener sempre saldamente in pugno il film». E non mentiva.
Vien da sorridere al ricordo che, quando Via col vento uscì per la prima volta in Italia nel 1949, nell'edizione originale con sottotitoli, se ne parlò come di un'opera «di Victor Fleming». Ma questo regista, scelto da Clark Gable perché «virile» e aduso agli spettacoli d'azione, era stato preceduto dal «regista delle donne» George Cukor, che quando fu licenziato continuò a occuparsi in segreto della recitazione di Vivien Leigh e Olivia De Havilland; e sarebbe stato a sua volta sostituito da Sam Wood, detto Tricoglione perché lui stesso si vantava di questa sua specialità, ma forse anche perché nel suo viscerale anticomunismo era solito moltiplicare per tre il pericolo rosso. Si vuol dire che non era il più adatto a correggere il «tiro» reazionario del romanzo, anzi. Certo il film, dopo tanta grancassa pubblicitaria, piacque a milioni di spettatori com'era piaciuto a suo tempo La nascita di una nazione; ma il vecchio Griffith notò a buon diritto che lui otteneva effetti più forti con spreco assai minore. Tuttavia, pur essendo di livello artistico tanto inferiore, Via col vento suscitò quasi altrettante proteste negli ambienti liberali e progressisti per il suo trattamento dei negri e della guerra civile.
E sebbene i titoli di testa risultassero i più lunghi della storia dei cinema, dietro ogni nome che appariva, ne andavano letti almeno altri due o tre. Come unico sceneggiatore, per esempio, figura Sidney Howard, e il riconoscimento gli era dovuto sia per la qualità del suo lavoro (rimasto in gran parte sulla carta), sia per la dignità e la -mancanza di servilismo da lui dimostrate, sia per la sua tragica morte accidentale prima che il film fosse finito. Ma era già fuori del film da parecchio tempo, rimpiazzato da gente come Francis Scott Fitzgerald, come Ben Hecht e molti altri, i quali sudarono sette camicie per soddisfare le esigenze del capo, ch'erano ogni giorno diverse. Stesso discorso per il direttore di fotografia (appare Ernest Haller, ma il primo fu Lee Garmes), per i tecnici del colore, per gli scenografi, i costumisti, i musicisti, ecc. Insomma, non c'era campo in cui David O. (Oliver per il padrone, «zero» per i sottoposti) si ritenesse inesperto.
Coloro ch'eran stati prescelti dopo logoranti discussioni, venivano poi da lui stesso sostituiti, e i nuovi venuti erano a loro volta perseguitati dai famigerati e micidiali «promemoria», sui quali il produttore esercitava anche letterariamente il proprio imperlo. Nella sua smodata smania di controllare tutto, Selznick non si accontentava mai di niente e di nessuno. Ma gli va riconosciuta almeno la coerenza di aver fatto cadere, l'una dopo l'altra, tutte le teste che sembravano ostacolare l'idea di film che diceva di avere in testa lui, e che naturalmente cambiava a seconda delle circostanze produttive, anch'esse di una varietà mai vista in passato.
Le vicende della produzione di Via col vento sono senz'altro più eccitanti del film. I suoi «splendori e misteri» sono stati ultimamente ricostruiti da Roland Flamini, un giornalista di «Time», in un libro pubblicato anche in Italia dal Formichiere nel 1979. Basti pensare che, dopo aver montato il materiale in due parti di complessive quattro ore scarse (Selznick era pure montatore, e anche qui batté il record di lunghezza), l'uomo non era ancora soddisfatto: mancava sempre la battaglia di Gettysburg, ch'egli avrebbe voluto girare anche a lavorazione conclusa.
D'altronde, chi non sa che la ricerca di Rossella passò alla storia? Se lo staff artistico e tecnico era quale si è appena intravisto, ebbene quello organizzativo e pubblicitario si assunse il compito di mobilitare tutta l'America per trovare l'attrice giusta. Si cominciò dal profondo Sud e dalla buona società di Atlanta, dove la sola scrittrice seppe tenersi prudentemente alla larga. A un certo punto, più che una caccia, sembrò un massacro. E molte furono le vittime illustri, da una diva come Joan Crawford che aveva già le sue folle di tifosi, alle dive del futuro come Susan Hayward o Lana Turner che si sottoposero a provino, mentre una Katharine Hepburn si rifiutò a quest'esame.
Bette Davis, che come carattere non accettava punti da nessuna, e tanto meno da una Scarlett O'Hara, una volta fuori gioco si vendicò alla grande, interpretando Jezebel in Figlia del vento che uscì un anno prima del modello. Tallulah Bankhead e Miriam Hopkins erano entrambe del Sud, ma non abbastanza giovani (e la prima, poi, era anche troppo sboccata). Joan Fontaine, scelta per Melania, preferì lasciare alla sorella Olivia De Havilland quella parte di fianco ed essere risarcita quale protagonista di Rebecca, la prima moglie. Norma Shearer, neovedova di Thalberg e neoazionista della Selznick, ci fece sopra un pensierino, ma il suo pubblico non volle che la sua regale signorilità fosse compromessa con un tipetto burrascoso come Rossella. Infine Paulette Goddard sarebbe andata anche bene, ma non era in grado di esibire il certificato di matrimonio con Chaplin; e per Hollywood non si poteva convivere con un uomo (con Chaplin, poi, che aveva fatto Tempi moderni) senza essere con lui regolarmente sposate. Insomma, il paradosso fu che saltò fuori in extremis, a riprese già iniziate, un'attrice inglese nata in India. Vivien Leigh venne accettata da tutti un po' perché era fisicamente adatta e brava nel suo lavoro (si sarebbe scoperto solo in seguito che poteva essere sboccata anche lei), un po' perché ormai era tardi per cercare ancora, e da ultimo perché, per ogni sudista che si rispetti, una straniera era sempre meglio di una yankee.
Per il protagonista maschile Rhett Butler la cosa fu più facile. Si rinunciò ben presto a Ronald Colman e a Basil Rathbone, a Gary Cooper e a Errol Flynn (a quest'ultimo perché la psicologia non era il suo forte), dato che a furor di popolo la scelta era caduta su Clark Gable, nonostante il suo scarso entusiasmo (ancor meno ne aveva Leslie Howard, che fu Ashley) e sebbene la sua erre fosse tutt'altro che in regola con la pronuncia richiesta. Ma qui il problema non era fonetico, bensì economico: la Metro offriva «il re di Hollywood», più un cospicuo aiuto in danaro, per rientrare nell'affare. Infatti si accaparrò i diritti di distribuzione e, più tardi, l'intera proprietà del prodotto. Dove si vede che, anche quando si presenta l'anomalia di un produttore che «crea» un film, interviene poi sempre il sistema a dividersi la fetta maggiore degli utili.
Materialmente girato nel corso del 1939, Via col vento ebbe la «prima» ad Atlanta il 15 dicembre. Nella primavera successiva vinse dieci Oscar, e uno andò, per la prima volta nella storia del premio, alla caratterista di colore Hattie McDaniel, che non era stata invitata alla festa sudista sebbene si trovasse sul posto. L'Oscar più meritato fu quello «speciale» a William Cameron Menzies, l'unico a sorbirsi Selznick dal principio alla fine, avendo fornito anche nel biennio preparatorio migliaia di bozzetti che stabilirono l'architettura del film quasi interamente girato in studio (ma fu premiato solo per i suoi contributi tecnici al colore). Quanto al nostro uomo, si accontento stavolta di coronare ancor giovane la sua carriera, ricevendo per ironia della sorte il premio intitolato alla memoria di Thalberg, cioè di chi, rifiutando il film, aveva permesso a lui di farlo.
Gli incassi rimasero da primato per circa un ventennio, poi furono anch'essi superati. Ma non tutto si risolve nelle cifre. Quando nel 1977 apparvero dalla Utet i tre imponenti volumi della Storia del cinema di Gianni Rondolino, si constatò subito che, in millequattrocentosettantasette pagine, nemmeno una volta veniva citato Via col vento.
Da Alfabetiere del cinema, a cura di L. Pellizzari, Falsopiano, Alessandria, 2006