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Rassegna stampa di Cesare Zavattini

Cesare Zavattini è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, musicista, è nato il 20 settembre 1902 a Luzzara (Italia) ed è morto il 13 ottobre 1989 all'età di 87 anni a Roma (Italia).

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Sceneggiatore italiano, scrittore, uno dei maggiori esponenti del movimento neorealista, sia pure su posizioni del tutto particolari e caratteristiche, che attraverso una lunga e fruttuosa collaborazione con Vittorio De Sica Io portarono alla formulazione di ipotesi teoriche non indiscutibili, come la cosiddetta "poetica del pedinamento", ovvero del neorealismo interpretato come una metodologia irrimediabilmente tecnicistica, consistente nel seguire il personaggio in tutto l'arco di una sua singola, materiale azione, senza soluzioni di continuità. Affine per qualche verso al rinverdire, in Francia, del cinéma-verité come gusto più che come stile o esigenza espressiva, l'ultima elaborazione zavattiniana non si confermò comunque felice, dal punto di vista dell'ispirazione concreta, quanto la prima: che comprende, limitando l'elenco alle sole opere maggiori, composte con De Sica, Teresa Venerdì, 1941; I bambini ci guardano, 1941; La porta del cielo, 1944; Sciuscià, 1946; Ladri di biciclette, 1948; Miracolo a Milano, 1950; Umberto D., 1952; L'oro di Napoli, 1954; Il tetto, 1955. Concluso il periodo neorealista, la collaborazione tra i due riprese, meno felicemente, nel 1960, con La ciociara, cui seguirono Il giudizio universale, 1961; Il boom, 1962; I sequestrati di Altona, 1963; Ieri, oggi, domani, 1964; Matrimonio all'italiana, 1965; Un mondo nuovo, 1966. Il primo film cui Zavattini aveva prestato la propria collaborazione fu Darò un milione, 1935, di Mario Camerini, insieme con l'umorista Giaci Mondaini. Collaborò nel 1942 con Blasetti per Quattro passi tra le nuvole; nel 1952 con Visconti (Bellissima). Film a episodi realizzati su diretta ispirazione zavattiniana e considerati tentativi di concretare la poetica cui si è alluso, furono Amore in città, 1953 (in cui ebbe particolare interesse l'episodio diretto dal giovane Francesco Maselli e da Zavattini stesso, Storia di Caterina), e I misteri di Roma, 1963. Fino verso la fine degli anni Settanta collaborò ancora con la sua scrittura alla realizzazione di una decina di film.

DANIELE DI UBALDO
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Zavattini è il maggior teorico del Novecento, che definiva sinteticamente come "la scoperta dell'attualità". Il cinema italiano, infatti, dopo essersi basato per molto tempo solo su "fatti grandi", frutto dell'immaginazione, aveva scoperto, grazie alla guerra, la vita quotidiana che, nell'Italia di quegli anni, significava soprattutto fame, miseria e sfruttamento. Quello che permetteva di scoprire l'attualità era - come lo definiva lo stesso Zavattini - lo "spirito d'inchiesta", vale a dire la volontà di analizzare dietro un episodio o anche un semplice oggetto. «Se, per esempio, un decadente descriverà una bottiglia - scriveva Zavattini in un articolo apparso nel 1953 sulla rivista Emilia - porrà il suo accento, soprattutto, sulle iridescenze del vetro, ma gli sfuggiranno fatti umanamente e artisticamente rilevanti: che per fare quella bottiglia, e migliaia di bottiglie simili a quella, un operaio deve soffiare giorno per giorno il vetro, e a 40 anni avrà perso i polmoni, per dirne uno dei più rilevanti. Non basta, però, conoscere. Gli artisti devono guardare la realtà attraverso la convivenza. ... Noi cerchiamo di cogliere il punto comune dei nostri personaggi. Nella scarpa mia, nella sua, in quella del ricco, in quella dell'operaio troviamo gli stessi ingredienti, la stessa fatica dell'uomo».

UGO CASIRAGHI

Per misurare la statura di Cesare Zavattini e la perdita che l'Italia ha sofferto con la sua scomparsa, ma nel contempo la miseria in cui è oggi precipitata la struttura culturale e politica del paese, bisogna tornare agli anni dell'immediato dopoguerra e alla troppo breve parentesi neorealistica nel cinema nazionale. Con Rossellini, con Visconti, con De Sica (che fu il suo regista d'elezione) il soggettista e sceneggiatore Zavattini si piegò allora sulle macerie della guerra e sulle piaghe ereditate dal fascismo oltre che dal conformismo e dal silenzio di sempre. Come ripartendo da zero egli scese, per così dire, dal cielo della sua fantasia di scrittore e si calò sulla terra abitata dalla sua gente; e «pedinando» questi suoi simili, amando questa loro terra, aprendo gli occhi sulla realtà delle loro condizioni, rinvigorì insieme la propria fantasia poetica e con tenerezza, con umorismo, ma anche con una nuova e straordinaria lucidità, la guidò su una inedita strada creativa, verso un obiettivo di rispetto dell'uomo e di giustizia sociale.
Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1950), Umberto D. (1952) furono le quattro tappe, universalmente conosciute e ammirate, di questo cammino di denuncia e di speranza. Denuncia di situazioni intollerabili per i ragazzi abbandonati a se stessi, per i disoccupati cronici, per i barboni, per i pensionati e le servette. Speranza per un mutamento di queste condizioni, saggiamente affidato soltanto alla favola: il cavallo bianco in Sciuscià, il volo sulle scope in Miracolo a Milano, alla ricerca di un ipotetico paese dove buongiorno voglia dire ancora buongiorno. Perfino la solidarietà di classe manifestata dall'operaio cui l'attacchino ha tentato a sua volta, e con quanta incapacità, di rubare la bicicletta, non risolve il problema del lavoro; e del resto, al pensionato Umberto D. che medita il suicidio, la solidarietà è offerta soltanto dal suo cagnolino.
Non spetta certo agli artisti di risolvere i problemi della società, ma soltanto di porli e, così facendo, di stimolarne la soluzione. Ma dopo un paio d'anni la società italiana subiva un processo di restaurazione, Zavattini e De Sica se lo sentivano nelle ossa, e nella loro pur fievole speranza di cambiamento si faceva luce un pessimismo sempre più accentuato. Umberto D. , il loro film più forte, è il film più disperato.

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