Antonio Pietrangeli è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 19 gennaio 1919 a Roma (Italia) ed è morto il 12 luglio 1968 all'età di 49 anni a Gaeta (Italia).
Antonio Pietrangeli è un regista che da anni subisce l'influsso di varie e disparate ispirazioni; ora, con Il sole negli occhi, tenta con una certa freschezza il bozzetto serio-faceto di vita romana, anzi romanesca; ora, con Lo scapolo indulge a una comicità di gusto facile, in omaggio al costume del giorno; se Souvenir d'Italie rappresenta però una troppo corriva concessione alla moda convenzionale dei film a episodi, Nata di marzo, affrontando il tema delle incompatibilità coniugali, rispolvera una vena comica abbastanza insolita nel nostro cinema, creando caratteri fra i più vivi apparsi di recente sui nostri schermi.
La contingenza, ma anche un certo impegno sociale mai del tutto dismesso, lo portano quindi, con Adua e le compagne, a trattare con fermezza, con calore (e, sempre viva naturalmente, con una punta umoristica) il problema delle prostitute messe fuori casa dalla legge Merlin: raggiungendo momenti di umanissimo effetto, con un linguaggio solido e preciso.
Un linguaggio che in Fantasmi a Roma tenterà addirittura le vie più colorate della fantasia, componendo un ritratto della Roma patrizia, pittorescamente animata da nugoli di fantasmi, percorso dalle più piacevoli sfumature gaie e farsesche. Non del tutto felice, invece, nonostante un non comune impegno narrativo, il suo penultimo film, La parmigiana, sulla vita e le disavventure di una prostituta. Ci offre però un preciso ritratto di donna, colorito, approfondito, curiosissimo e una descrizione di ambienti provinciali che, per il suo sapore e la sua sottile atmosfera polemica, sembra rifarsi alla migliore tradizione letteraria del genere.
Egualmente discutibile, almeno sul piano della regia, il suo film più recente, La visita, dedicato con amara ironia all'incontro di due cuori solitari, una zitelluccia di campagna e uno scapolo di città, che si incontrano grazie a un annuncio matrimoniale e che, dopo una intera giornata vissuta insieme, si svelano reciprocamente quelle differenze di carattere che li riporteranno alla loro desolata solitudine.
Il racconto però, anche se la regia è piuttosto comune e scarsamente impegnata in sede figurativa, ha il pregio innegabile di rivelare due caratteri realmente disegnati a tutto tondo, proponendoci anche, con solidità, l'evoluzione di questi due caratteri man mano che si chiariscono l'uno all'altro e offrendoci un quadro abbastanza completo di uno scontro di abitudini diverse, di opposte aspirazioni e di mentalità per più motivi estranee l'una all'altra: in un clima che, pur rifacendosi largamente alla commedia se non addirittura alla farsa, di vena spesso di ripensamenti malinconici; con asciuttezza e, persino, con severità.
Maggiori consensi, anche sul piano dello spettacolo, Pietrangeli li ha ottenuti col suo film recente, Il magnifico cornuto, in cui, parafrasando liberamente, ma con indubbio estro, la celebre farsa di Crommelynck, ci ha dato un quadro gustoso non solo (ancora una volta) della vita provinciale italiana, ma anche delle pene d'amore e, soprattutto, della gelosia, approdando, in più momenti, alla commedia di costume: con un brio; un sapore, una vivacità umoristica che, pur sfiorandc sempre i perigliosi confini della farsa, riescono quasi sempre a non oltrepassarli; nell'ambito di un'allegria che, anche quando è sboccata e grassa, non è mai corriva.
Da Cinema italiano 1952-1965, oggi, Carlo Bestetti Edizioni d'Arte, Roma 1966
Dopo anni di dignitosa sopravvivenza e piccolo cabotaggio nel gioco produttivo, anche per Antonio Pietrangeli gira la ruota della fortuna. I suoi film sono assimilabili, per soggetti e stile, a quelli di altri autori della sua generazione: rispetto a loro però Pietrangeli possiede un raro senso della misura (quello che si potrebbe chiamare «un tocco in meno») che gli consente di non lasciarsi prendere la mano da effetti facili. Anche se, grazie al deposito del suo archivio presso il Centro Cinema della Città di Cesena, sono stati pubblicati tra il 1994 e il 1995 cinque libri di scritti di Pietrangeli è giusto definirlo come «un'invisibile presenza».
In Adua e le compagne (1960), il soggetto di Scola, Maccari, Pinelli e dello stesso Pietrangeli prende le mosse dalle conseguenze possibili e prevedibili dell'entrata in vigore della legge Mèrlin sulle «case chiuse».
Discontinuo, pieno di cadute, con non poche concessioni a un gusto paragoliardico, Adua e le compagne conferma l'abilità dell'autore nella caratterizzazione dei personaggi femminili e il suo dominio di più registri. Nel finale si sfiora la tragedia e in questa occasione, come altrove, una sorta di pudore lo blocca sulla soglia di un registro stilistico che, forse, sente ancora al di fuori della propria portata.
Anche nelle altre opere, fino alla prematura morte (fantasmi a Roma, 1961, La parmigiana, 1963, La visita, II magnifico cornuto, 1964, lo la conoscevo bene del 1965, Come, quando, perché del 1968, uscito postumo), egli non fa che riprendere, da più punti di vista, il tema della marcia femminile verso l'emancipazione, ribadendo con insistenza come il cammino da percorrere sia ancora lungo. L'eccezione è costituita da Fantasmi a Roma, il cui tema centrale è quello della speculazione edilizia. In realtà Pietrangeli offre una delle più felici dimostrazioni di un tocco stilistico capace di muoversi con eguale disinvoltura sul piano del comico, del grottesco, dell'allegoria, della parodia e del dramma. Questo è il film in cui il regista si lascia di meno guidare dalla storia e dai personaggi e fa sentire in modo più netto la sua presenza. Della lunga serie di personaggi che spesso vantano illustri blasoni letterari (il più ovvio è Guy de Maupassant), da Adua alla Pina della Visita, fino ad Adriana di lo la conoscevo bene, Pietrangeli mostra il senso della dura conquista di verità parziali. Egli si muove perfettamente a suo agio nella costruzione di questi personaggi nella provincia e a un livello di classe medio-borghese, dove i rapidi arricchimenti e i nuovi modelli sociali non producono uomini veramente nuovi. Esemplare II magnifico cornuto, in cui il racconto di Fernand Crommelynk è calato nella ricca società borghese di Brescia tra riti mondani, feste, incontri di personaggi, che rispondono tutti insieme agli stessi stimoli con i medesimi comportamenti, come negli esperimenti pavloviani. In materia sessuale, nonostante le apparenze, non c'è alcuna emancipazione: i tradimenti, gli scambi delle coppie, l'istituzionalizzazione dell'adulterio rimangono nel quadro noto del bovarismo di provincia o assumono, al massimo, la connotazione di una variante della caccia tra amici, di un safari nel cerchio dei bastioni della città, o delle mura di casa. Alla protagonista di lo la conoscevo bene (Stefania Sandrelli in uno dei ruoli più intensi della sua carriera) Pietrangeli affida il maggior carico di responsabilità, rispetto a tutte le figure femminili del suo cinema precedente. Adriana si dibatte con una disponibilità assoluta e una indifesa verginità di sentimenti in un labirinto angoscioso, dove incontra personaggi che la usano senza concederle nulla in cambio. Adriana si arrende dopo aver lottato, con tutti i sensi, per sopravvivere. Il vuoto, rimproveratole da uno dei tanti personaggi che incontra, in effetti è il vuoto sentimentale, passionale e morale del mondo che la circonda. Alla fine degli anni Settanta Roberto Silvestri ha scritto sul «Manifesto» (del 15 luglio 1979) in modo certo manicheo e provocatorio «Pietrangeli è il regista più sottovalutato negli anni in cui Antonioni è l'esponente cinematografico più sopravvalutato». È vero che l'estremismo è stato la malattia infantile della cinefilia, ma in questo caso contiene un nucleo di verità non eludibile: Pietrangeli è sicuramente un maestro e uno degli autori in attesa di una giusta risistemazione critica nel cinema del dopoguerra.
Da Gian Piero Brunetta, Il cinema italiano contemporaneo. Da «La dolce vita» a «Centochiodi», Laterza, Roma-Bari. 2007