A Murder At the End of the World

Darby Hart è la figlia di un coroner che ha raggiunto un piccolo successo come autrice di un diario true crime, nel quale racconta come ha seguito le tracce di un serial killer insieme al suo compagno Bill Farrah. Quest'ultimo è invece diventato un artista di grande successo, con lo pseudonimo FANGS. Dopo un reading, Darby riceve la visita virtuale, via realtà aumentata, dell'intelligenza artificiale Ray, che la invita in un ritiro in Islanda, organizzato dal riservato magnate Andy Ronson. Si tratta di un riservatissimo meeting tra alcune delle più grandi menti del pianeta sul fronte della tecnologia, ma non mancano alcuni artisti, tra i quali anche Bill, che Darby non vede da anni. Le cose prendono però una piega sinistra quando Bill muore di overdose, sotto gli occhi impotenti di Darby che lo osserva attraverso una finestra senza poterlo aiutare.

Una vicenda thriller su due linee temporali si dipana senza sorprese: il colpevole nel presente è ovvio e quello nel passato è irrilevante. Dagli autori di The OA un giallo tanto pretenzioso quanto scontato.

A voler essere generosi si potrebbe dire che in fondo non è tanto il whodunnit a essere centrale in A Murder at the End of the World, ma purtroppo occupa la gran parte della narrazione, che arriva a chiudersi con la più tradizionale delle riunioni in una stanza chiusa dove tra le persone radunate si trova il colpevole. E se la soluzione è ovvia già alla seconda delle sette lunghe puntate (una delle quali da ben 75 minuti) vuol dire che il progetto ha seri problemi.

L'irrilevanza della trama gialla ambientata nel passato, invece, è più giustificabile, perché fin dal principio, sappiamo, ha avuto la sua risoluzione e in fondo viene esplorata soprattutto per indagare la psicologia e le emozioni di Darby e Bill. Non ne viene però un ritratto particolarmente ficcante, né dal punto di vista dell'intimismo, né da quello della discesa nell'oscurità dell'animo umano, che resta sospesa per diversi episodi prima di rivelare una conclusione molto repentina.

Agli autori di The OA, Brit Marling (anche interprete) e Zal Batmanglij, interessa esplorare in fondo altri mondi, slittamenti sensoriali, stati di coscienza alterati, e se nella serie precedente si buttavano sul misticismo new age finendo addirittura nel multiverso, qui scelgono un terreno più concreto per le proprie elucubrazioni: quello dell'intelligenza artificiale. L'uso della AR, la realtà aumentata, per mostrare un mondo diverso ai nostri occhi è intrigante, ma dopo le prime puntate è pressoché abbandonato, per essere ripreso brevemente solo nel finale. Allo stesso modo gli accenni alle evoluzioni della robotica, con un cantiere gestito interamente da macchine visto in lontananza, non ha alcun seguito.

E pure il discorso metacinematografico di uno degli invitati, un regista, che parla di un film realizzato insieme all'intelligenza artificiale non ha poi nessuno sviluppo - e anche nel momento in cui viene proferito è ascoltato solo distrattamente dai protagonisti. Sono insomma tutte suggestioni che la serie lancia per poi lasciare sul tappeto, finendo per presentare idee sull'intelligenza artificiale aggiornate ai nostri tempi ma già ben note a chiunque abbia letto qualche articolo sulle "generative".

La serie, prodotta dal network FX, vanta comunque un buon cast, con l'attrice non-binary Emma Corrin (era stata Diana nella quarta stagione di The Crown), con Clive Owen, il giovane Harris Dickinson di Triangle of Sadness e il recupero di Joan Chen, alla quale tocca però in sorte uno dei personaggi più carismatici ma meno sviluppati. Senz'altro affascinante la principale location: un complesso d'architettura moderna circondato dalle nevi, a cui fanno da contraltare i flashback nelle assolate "badlands" americane. E la produzione ne esce bene anche sul fronte musicale, con un "needle drop" quale "No More I Love You's" di Annie Lennox, più volte utilizzato nel corso del primo episodio. Tutti elementi che non bastano a compensare le pretese disattese e la risoluzione scontata di A Murder at the End of the World, ma almeno ne alleviano un poco il tedio. 