Titolo originale | The Bear |
Anno | 2022 |
Genere | Commedia, Drammatico |
Produzione | USA |
Regia di | Christopher Storer, Joanna Calo, Ramy Youssef |
Attori | Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri, Lionel Boyce, Liza Colón-Zayas Edwin Lee Gibson, Corey Hendrix, Richard Esteras, Jose M. Cervantes, Abby Elliott, Matty Matheson, Oliver Platt, Chris Witaske, Molly Gordon, Carmen Christopher, Robert Townsend, Joel McHale, Alex Moffat, Christopher Zucchero, Jon Bernthal, Alma Washington, Ricky Staffieri, Jack Lancaster, Isa Arciniegas, Gillian Jacobs, Jamie Lee Curtis, Millie Hurley. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 28 novembre 2024
Una serie che parla di cibo, di famiglia, della follia della routine, della bellezza del Senso di Urgenza e dei ripidi e scivolosi inconvenienti. La serie ha ottenuto 12 candidature e vinto 5 Golden Globes, 5 candidature e vinto 4 Emmy Awards, 5 candidature e vinto un premio ai People's Choice Awar, 8 candidature e vinto 5 Critics Choice Award, 8 candidature e vinto 4 SAG Awards, 1 candidatura a Spirit Awards, 7 candidature e vinto 2 Writers Guild Awards, 3 candidature e vinto un premio ai Directors Guild, 1 candidatura a CDG Awards, 3 candidature e vinto 2 Producers Guild, La serie è stato premiato a AFI Awards, 1 candidatura a ADG Awards,
CONSIGLIATO N.D.
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Carmen "Carmy" Berzatto è un giovane chef proveniente dal mondo della ristorazione, che torna a casa a Chicago per gestire la paninoteca di famiglia, The Original Beef of Chicagoland, dopo uno straziante lutto in famiglia. In un mondo lontano da quello a cui era abituato, Carmy deve affrontare la dura realtà della gestione di una piccola impresa, il suo personale di cucina ostinato e riluttante, oltre ai suoi tesi rapporti familiari, il tutto affrontando le conseguenze del suicidio del fratello.
Recensione di a cura della redazione
La quarta stagione della serie.
Ben congegnate alcune puntate ma questa stagione è (troppo) attenta alla forma
Recensione
di Andrea Fornasiero
The Bear, il ristorante di Carmy, ha finalmente aperto e lo chef vuole arrivare al più presto a ottenere una stella. Per questo decide che il menù dovrà cambiare ogni giorno, imponendo a tutta la cucina un ritmo di lavoro forsennato e portando a sprechi sulle provviste che incidono su un bilancio già traballante. In questa ossessione per il lavoro, Carmy ancora una volta si rifugia per sfuggire alle proprie difficoltà relazionali, infatti non ha ancora affrontato con Claire le conseguenze della loro ultima telefonata. Non si placano nel mentre le tensioni tra lui e Richie, ma è soprattutto Sydney a dover riflettere sulla propria lealtà al ristorante: riceve infatti un'altra ottima proposta e procrastina la firma del contratto. A incrementare ulteriormente la tensione c'è poi la scoperta che un critico è già stato al ristorante senza essere riconosciuto e presto pubblicherà la propria recensione.
La cucina a nervi scoperti di The Bear si siede parzialmente sugli allori in questa stagione di passaggio, che rimanda tutte le trame portanti alla prossima stagione e si concentra sui personaggi, a volte inceppandosi.
Se alcune puntate sono ben congegnate, in particolare quelle dedicate a Tina e a Natalie, il resto della stagione tende a girare troppo a vuoto, attenta alla forma ma davvero con troppo poca sostanza. Il primo episodio è un tour de force di montaggio, quasi muto, tutto concentrato sul passato e il futuro di Carmy in preda alle proprie ossessioni, ed è senz'altro un'apertura originale e d'effetto, ma al tempo stesso anticipa i limiti di questo approccio: lo sviluppo narrativo è minimo e i personaggi, per quanto nel tempo siano stati ben costruiti e possono reggere episodi basati sul loro carattere, rischiano di essere esauriti e bruciati da questa assenza di racconto.
Tra l'altro non tutti i personaggi sono trattati allo stesso modo e per esempio Marcus, che pur aveva avuto una puntata sua nella precedente stagione e un complesso rapporto con Sydney, qui risulta defilato. Sono invece sempre più ingombranti i fratelli Fak, con parentesi comiche che ormai hanno smesso di far ridere e con una loquacità esasperata che anzi appesantisce. Non aiuta nemmeno il cameo di John Cena, che anzi calca ulteriormente la dose dell'assurdo senza portare ad alcuna progressione dei caratteri dei due.
Che gli episodi migliori siano dedicati a Natalie e Tina, ossia a due figure laterali anziché ai protagonisti Richie, Sydney e Carmy, è del resto già eloquente dei problemi di una serie che sembra vittima del proprio successo. Ottimo riscontro di pubblico, ma questa volta poco apprezzata dalla critica, la terza annata di The Bear spinge sul food porn e sul mondo di lusso delle cucine stellate, ma poi è l'episodio flashback su una portoricana disoccupata di mezza età che trova un posto di lavoro in un ristorante che fa panini a colpire al cuore. E non di meno la gravidanza di Natalie, che la riporta faccia a faccia con la madre interpretata da Jamie Lee Curtis, è quanto di più lontano dal ristorante e dalle sue preoccupazioni sull'eccellenza. Va anche riconosciuto che The Bear dipinge da sempre questo mondo in modo problematico, e anche qui abbiamo vari flashback in cui Carmy è tormentato da uno chef sadico (con il volto di Joel McHale), che ritroverà faccia a faccia nel finale di stagione, alla cena di chiusura del ristorante diretto dallo chef incarnato da Olivia Colman. Un buon finale e un episodio malinconico, che cerca di rimettere in prospettiva l'ossessione dei protagonisti per la cucina perfetta rispetto a una vita più equilibrata.
Alla prossima stagione però Christopher Storer, sempre più coinvolto anche nella regia della serie oltre che nella scrittura, non potrà più però temporeggiare e dovrà decidere in che direzione sviluppare la serie, un rischio che qui ha evitato lasciando tutto in sospeso, ma rischiando di trasformare le caratteristiche estetiche della serie in una sorta di tropo decorativo. Il tema dell'ossessione per il lavoro, vissuto come una dipendenza tossica, da solo non basta se i personaggi non vanno da qualche parte, soprattutto quando il tono si fa ancora una volta frenetico ma senza una vera tensione, risultando più esasperante che appassionante. Il tempo ci dirà se si è trattata di una sospensione magari non sempre efficace ma comunque appropriata allo sviluppo complessivo della serie, oppure se questo limbo è stato l'ultimo rifugio di un autore braccato dal successo inatteso della propria creatura.
Una stagione di passaggio, più meditativa e intimista, che mantiene comunque altissimo il livello della serie
Recensione
di Andrea Fornasiero
I soldi nascosti dal fratello di Carm hanno lanciato il locale verso la trasformazione in ristorante con ambizioni stellate, ma quando c'è da ristrutturare e rinnovare i fondi non bastano mai, così servirà un nuovo prestito dallo "zio" malavitoso Jimmy. In questa nuova avventura, sommersa dagli ostacoli burocratici di controlli e permessi oltre che dalla propria gravidanza, si tuffa anche la sorella di Carm, Natalie. Sydney lavora ossessivamente al menù, Carm ritrova una fiamma di gioventù, Tina, Richie e Marcus vengono diretti verso nuovi percorsi formativi: chi a scuola di cucina, chi come maître di sala presso un locale stellato e chi addirittura a Copenhagen, da un amico pasticcere di Carm. Incombe sulla nuova apertura anche la presenza della madre di Carm e Natalie, della quale in un flashback viene raccontato l'esaurimento nervoso imbevuto di alcolismo.
La nuova stagione di The Bear è di passaggio, ma se alcune puntate hanno un tono più meditativo e intimista, altre mantengono altissima la tensione come nella prima stagione, in una melange ritmico davvero ammaliante.
Sebbene facessero panini e ora cerchino di aprire un ristorante, per i protagonisti di The Bear tutto è cruciale, il fallimento è un incubo da evitare a ogni costo e anche una sana storia d'amore scatena i timori di una perdita di concentrazione catastrofica.
Carm non riesce a liberarsi dai propri fantasmi e del resto quando facciamo conoscenza del suo amico e collega Luca (un ottimo Will Poulter), che prende Marcus sotto la propria ala a Copenhagen, troviamo un personaggio non meno totalmente dedito al proprio lavoro, solo con una sorta di calma zen. Anche quando poi Richie lavora per alcune settimane al ristorante Ever, la chef Terry (la sempre fantastica Olivia Colman) e gli altri dipendenti sembrano vivere la propria professione con la stessa intensità e precisione di chi salva le vite in un ospedale. Infatti il parallelismo è ulteriormente sottolineato dal ritorno della vecchia fiamma di Carm, che è appunto una dottoressa e come lui ha orari impietosi.
Tutto questo può risultare artificioso ed esagerato, ma in fondo rappresenta la prospettiva di personaggi al limite, sbilanciati per natura e disperatamente bisognosi di un equilibrio che, nonostante i buoni consigli, sembrano non saper trovare fuori dal sacrificio professionale - cosa per altro molto americana. È il tema che The Bear ha affrontato già dalla prima stagione e che qui si evolve e approfondisce.
Finché si trattava di un locale di panini la sfida era soprattutto di Carm, che voleva raccogliere l'eredità del carismatico e ingombrante fratello maggiore, il quale l'aveva sempre tenuto lontano dalla tensione del locale - forse proprio perché ne intuiva i limiti caratteriali. In tutta risposta Carm aveva scelto una carriera nella ristorazione, dove pure aveva già dimostrato tendenze ossessive.
La sua non è diversa da una storia di dipendenza e infatti quando si butta nel locale si tuffa nell'ambiente in cui è più vulnerabile, quasi senza di esso non trovasse un senso alla propria vita. Se Carm è un "workaholic" da manuale il discorso è più o meno altrettanto valido per Sydney, che sogna di emergere in un mondo molto competitivo e oltretutto in una città che non se la passa bene, dove i ristoranti chiudono in tutto il quartiere.
Per gli altri personaggi la tensione è dovuta invece più a questioni economiche, anche se Richie sotto i modi da duro accusa di aver perso la libertà che gli concedeva il fratello di Carm e deve quindi trovare un nuovo ruolo in cui recuperare stima per se stesso. La sua trasformazione in maître di sala è però troppo radicale e repentina per essere davvero convincente. Chissà quanto reggerà nella terza stagione...
L'idea di fondo della seconda annata di The Bear sembra essere che i soldi non risolvono i problemi e forse addirittura acuiscono certe propensioni personali, la vicenda però perde così un po' del contatto con la realtà del quartiere che aveva nella prima e più proletaria stagione.
Sempre più intrappolata in una serie di tunnel di visioni personali ossessive, respira solo quando lascia il campo ai personaggi dall'esistenza se vogliamo più ordinaria ma pure più bilanciata, come il dolente Marcus che si gode la quiete di Copenhagen non senza soffrire per la distanza dalla madre malata, o come Tina che a scuola di cucina trova finalmente un luogo di serenità e rispetto per il lavoro che le donano una nuova luce interiore - espressa in una bellissima scena di karaoke.
Purtroppo è proprio il suo personaggio a essere il più sacrificato, mentre la retorica con la quale viene ammantata la cucina stellata è a tratti stucchevole. Non a caso il migliore episodio precede tutto questo ed è il flashback dedicato alla famiglia di Carm, innervato di una tensione estrema e con grandi guest star che supportano un crescendo esplosivo, da Bob Odenkirk, Sarah Paulson e Gillian Jacobs fino a una magnifica e terribile Jaime Lee Curtis. Una puntata memorabile che conferma The Bear come una serie straordinaria anche nella seconda stagione.
Regia ineccepibile e ritmo imprevedibile per una serie dove la cucina diventa un (caotico) luogo mentale
Recensione
di Gabriele Prosperi
Carmen "Carmy" Berzatto (Jeremy Allen White) riceve in eredità il ristorante di famiglia in seguito al suicidio del fratello. Il suo re-inserimento in un ambiente popolare, dopo essersi formato in cucine di alto livello mondiale, è problematico e frenetico. Carmy dovrà fare i conti con un'attività piena di debiti e con una cucina decisamente diversa da quella per cui ha ricevuto la sua formazione. Ma le difficoltà più grandi del giovane cuoco saranno tutt'altro che economiche o gestionali: Carmy dovrà fare i conti con un passato tormentato e con i suoi sogni spezzati.
La serie Fox firmata Christopher Storer e giunta in Italia grazie a Disney+, propone un tipo di serialità decisamente complessa e non del tutto accessibile: la sceneggiatura di The Bear è infatti scarna di eventi essenziali - poco accade, tutto cambia - e perciò si contrappone alla linearità tipica di un racconto che, a primo acchito, appare familiare, forte di riferimenti comuni e di "un'abitudine visiva" al cibo, causata dall'inflazione televisiva di factual e reality show culinari.
Ciò che contraddistingue la serie è il suo ritmo - che potremmo definire imprevedibile, sconclusionato - volto a straniare lo spettatore con immagini frenetiche di cibo, fornelli, pietanze inquadrate spesso in dettagli caotici, ben lontani dalle lunghe inquadrature sul cibo (il cosiddetto food porn) che stuzzicano il desiderio dello spettatore.
Il caos, reso in maniera ineccepibile dalla regia, mina costantemente una visione coerente. Il desiderio non viene più sollecitato per mezzo della visione del cibo bensì viene spostato sugli umori e sulla frenesia dei personaggi, affamando lo spettatore, imponendogli la ricerca di un filo narrativo, caoticamente nascosto dalle urla degli attori e delle attrici, e dai repentini cambiamenti di macchina.
Presto, già nei primi episodi, veniamo infatti calati in una dimensione altra del racconto: quella della mente del protagonista. Carmy è un enfant prodige - tanto che la scelta di White, che ricordiamo nel cast della fortunatissima versione americana di Shameless, sembra coerente alla caratterizzazione del personaggio. Nuovamente l'attore viene calato nei panni di un ragazzo i cui sogni vengono spezzati dalla casualità della vita, in una Chicago - come in Shameless impervia e pericolosa - che impedisce al giovane di mettere a frutto le sue potenzialità.
La cucina "The Original Beef" diventa così il luogo dell'aspirazione personale, un luogo da sovvertire per raggiungere un ideale, che deve essere trasformato (e in parte tradito) da un punto d'origine esistenziale, di cui si prova vergogna, a un agognato punto d'arrivo, elevato e ideale. La cucina e la costruzione di piatti destinati a una clientela diversa da quella originaria testimoniano costantemente la necessità del protagonista di elevarsi, imponendo però così una ricaduta su sé stesso e il riconoscimento non tanto dei limiti altrui, quanto dei propri.
La fauna di questa cucina impazzita ruota, non a caso, in maniera centripeta attorno e verso il protagonista. Dalla sofferenza e dalla violenza di Richie (Ebon Boss-Bachrach) al controllo della nuova, talentuosa, chef Sydney Adamu (Ayo Edebiri), ogni personaggio è un atomo impazzito, autonomo, alla ricerca di una connessione con gli altri. Ognuno svela (a noi e al protagonista) il percorso personale che Carmy sta compiendo, trasformando la cucina in un luogo mentale il cui centro non viene mai riconosciuto. Seppure gli esiti di questo viaggio caotico siano positivi, la serie appare tutt'altro che ottimista, condensando al suo interno un forte senso di disfatta personale e professionale.
Una corsa contro il tempo con pezzi di bravura registica e attoriale molto intensi. Christopher Storer è la più grande sorpresa della recente Tv americana
Recensione
di Andrea Fornasiero
Carm è uno chef già di grande successo a New York nonostante la giovane età, ma torna a Chicago in seguito al suicidio del fratello maggiore per rilevare la gestione di un locale di panini alla carne. Si ritrova così ad avere a che fare con i debiti accumulati, con l'anarchia del personale e con gli affetti che si era lasciato alle spalle. Vittima delle proprie tendenze ossessivo-compulsive fatica a relazionarsi con il personale, con il cugino Richie e con la sous chef Sydney, che ha enorme stima di lui ma è anche in cerca di affermazione personale.
The Bear è una serie concitata in perenne corsa contro il tempo e con pezzi di bravura registica e attoriale molto intensi, in particolare nel settimo episodio interamente in piano sequenza. Questa del misconosciuto Christopher Storer è la più grande sorpresa della recente Tv americana.
Se da qualche anno cuochi, chef e ristoratori sono al centro di un filone televisivo ricco e fortunato, il 2022 è divenuto un anno che potremmo definire mirabile per la narrazione audiovisiva a tema culinario, aggiungendo molte opere di finzione a giochi e factual sul tema: il piano sequenza di Boiling Point, l'horror The Menu, la commedia francese La brigade.