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Respect, un biopic rigido che non restituisce la straordinaria spontaneità di Aretha Franklin

A rendere il film qualcosa più di una produzione simil-televisiva è essenzialmente la performance di Jennifer Hudson, impressionante per vigore e dedizione. Film di chiusura del Festival di Locarno e da giovedì 7 ottobre al cinema.
di Emanuele Sacchi

lunedì 16 agosto 2021 - Festival

Il genere cinematografico più fragile, quello che stenta maggiormente a uscire dalla gabbia degli stereotipi, è indubbiamente il biopic musicale. Nella produzione media hollywoodiana i toni sono costantemente esasperati, i punti più importanti della vita professionale e personale dell’artista segnano l’andamento narrativo e ne condizionano il ritmo e la parabola deve inevitabilmente seguire lo schema rivelazione-ascesa-successo-caduta-redenzione, con scene clou che segnano il passaggio da un segmento narrativo al successivo.

Il paradosso di questo processo è che un film che dovrebbe basare tutte le sue chance di gradimento sul lato emozionale, spingendo verso la commozione e la compartecipazione, finisce per risultare alieno a ogni empatia proprio in virtù della sua rigidità.

A rendere il film qualcosa più di una produzione simil-televisiva è essenzialmente la performance di Jennifer Hudson, talmente impressionante per vigore e dedizione da far dimenticare, a tratti, i difetti evidenti del lavoro di Liesl Tommy.
 

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