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Judas and the Black Messiah, il cuore nero del cinema black

Quello di Shaka King non è solo il biopic su Fred Hampton ma un cinema che rilegge la Storia danzando tra il poliziesco classico e il thriller. Sei nomination e due Oscar. Ora disponibile su NOW. GUARDALO SUBITO »
di Simone Emiliani

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Daniel Kaluuya (35 anni) 24 febbraio 1989, Londra (Gran Bretagna) - Pesci. Interpreta Fred Hampton nel film di Shaka King Judas and the Black Messiah.
mercoledì 25 agosto 2021 - NOW

Una frase di Martin Luther King rimbomba nella testa di Fred Hampton mentre si trova in carcere. Attorno a lui ha i volti e i corpi degli altri ‘fratelli’ reclusi minacciati o picchiati dalla polizia. È il primo vero momento dove è solo, indifeso. La presenza immaginaria del leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso proprio nel 1968 anno in cui comincia Judas and the Black Messiah, diventa un atto di fede e, insieme, una preghiera.

Il secondo lungometraggio diretto da Shaka King, realizzato a otto anni di distanza dalla commedia Newlyweeds, ripercorre l’ascesa dell’attivista Fred Hampton, coordinatore nello stato dell’Illinois del Partito delle Pantere Nere, che è stato ucciso nel letto del suo appartamento a 21 anni il 4 dicembre 1969. In realtà è un biopic solo di facciata.

Judas and the Black Messiah gioca sul contrasto tra Hampton e William “Billy O’Neal, un ladro di auto che si spacciava per un finto agente. Per evitare la condanna dopo l’arresto, ha accettato la proposta dell’agente speciale dell’FBI Roy Mitchell di infiltrarsi tra le Pantere Nere e spiare Hampton. Al tempo stesso inizia ad essere attratto e a condividere le battaglie del movimento.

Sospeso tra Storia e la sua ricostruzione, con frammenti provenienti dall’unica intervista data da William O’Neal nel 1989 per la docu-serie Eyes on the Prize 2 e del documentario Black Panthers firmato da Agnès Varda nel 1968, Judas and the Black Messiah conferma oggi a Hollywood il notevole stato di forma del cinema black, capace di rimettersi in gioco, di ridiscutere le forme della narrazione attraverso il ritmo incalzante del cinema di genere, dal poliziesco (da cui recupera la figura dell’infiltrato) al thriller.

È un film solido, avvincente, profondamente politico, che guarda alla migliore tradizione del cinema civile ma che ha al tempo stesso la capacità di controllare quella rabbia e quell’indignazione che erano il punto di forza e insieme il limite di Spike Lee in Malcolm X. In più riscopre i fantasmi dell’America razzista, incarnati dalla figura di Hoover interpretata da Martin Sheen. Il suo volto in primo piano, le sue frasi sul movimento (“sono più pericolosi dei cinesi e dei russi”) disseppelliscono anche con la sua sola immagine gli scheletri della Storia. Al tempo stesso sono gli stessi fantasmi che caratterizzavano Selma ma anche il primo film di Jordan Peele, Scappa - Get Out, che condivide con Judas and the Black Messiah gli stessi attori, Daniel Kaluuya nel ruolo di Fred Hampton e LaKeith Stanfield (che è già stato diretto da King in LaZercism, un suo corto del 2017) in quello di William O’Neill. In più tra i produttori c’è Ryan Coogler il regista di Black Panther, il primo film della Marvel con protagonista un supereroe nero.

È un cinema di parola ma non è mai ingabbiato nella sua sceneggiatura. Nelle frasi di Hampton si sente il peso delle ingiustizie sociali, del razzismo, sulla sua pelle. “Combatteremo il capitalismo con il socialismo” afferma il leader che puntava ad avere istruzione e assistenza sanitaria gratuita. In più, oltre alle frasi pronunciate, King esalta la forza fisica del programma di Hampton. Poteva arrivare da un documentario su di lui. In realtà la scelta di campo è strategica: riattraversare la vicenda del protagonista dentro una Chicago notturna, dove il pericolo può essere sempre nascosto dietro l’angolo, segnata dalle luci di Sean Bobbit, il direttore della fotografia dei film di Steve McQueen.

Candidato a sei Premi Oscar, ne ha vinti due: Miglior Attore Non Protagonista (Daniel Kaluuya) e Miglior Canzone ("Fight for You" di H.E.R.). Le statuette sono anche la dimostrazione della crescente forza che oggi il cinema black ha all’interno dell’Academy. C’è il rinnovamento del presente. Ma ancora uno sguardo al passato. L’azione, come per esempio la scena della sparatoria tra le Black Panthers e la polizia, ha l’impeto e la sintesi di quello di Walter Hill.

La lezione di King è fondamentale: c’è una parte del cinema statunitense degli ultimi quarant’anni da riportare a galla. Judas and the Black Messiah non lo prende come modello da citare meccanicamente ma come punto di riferimento per costruirci un dialogo stimolante e serrato.


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