Anno | 2020 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Duccio Chiarini |
Attori | Duccio Chiarini . |
Uscita | venerdì 4 giugno 2021 |
Tag | Da vedere 2020 |
Distribuzione | Cinecittà Luce |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,13 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 1 giugno 2021
A partire dal diario scritto in guerra dal prozio, il regista indaga un versante nascosto della propria famiglia per comporre un mosaico inedito e sfaccettato della storia d'Italia. In Italia al Box Office L'occhio di vetro ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 2,5 mila euro e 668 mila euro nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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Alla morte della nonna Liliana, il regista pisano Duccio Chiarini ripercorre il passato fascista della sua famiglia con un viaggio fisico e insieme spirituale alla ricerca delle proprie radici. Servendosi di fotografie, documenti, lettere, cimeli e del diario del prozio Ferruccio, adolescente che aderì alla Repubblica di Salò, Chiarini racconta la storia del bisnonno Giuseppe Razzini, tornato a casa dalla Grande guerra con un occhio di vetro e entusiasta fascista della prima ora, e dei figli Liliana, Ferruccio e Maria Grazia, i primi due convinti seguaci di Mussolini, l'ultimata sposata con un antifascista. Qual era il rapporto fra queste persone? E perché i Razzini fecero calare una cappa di silenzio sugli anni della guerra, divisi dalla fede politica ma legati dall'affetto?
Dopo Hit the Road, nonna, Chiarini indaga un altro aspetto della sua complessa e affascinante storia familiare, trasformando dolorose vicende private nel riflesso di una storia tutta italiana.
L'occhio di vetro è la versione cinematografica italiana del graphic novel tedesco-americano "Heimat" di Nora Krug (Einaudi Stile libero): un percorso di analisi che affronta le domande irrisolte di una famiglia e prova a cercare risposte per una nazione intera. Là è la vicenda di una famiglia forse complice del regime nazista; qui l'adesione al fascismo e alla Repubblica di Salò da parte di uomini e donne che nascosero poi in decenni di reticenze e silenzi il loro disappunto o il loro dolore.
La storia dei pisani Razzini, ramo materno della famiglia di Duccio Chiarini, è la storia di un Paese che non hai mai completamente fatto i conti col passato e che in nome della serenità e dell'affetto ha preferito tacere sia il peso di una sconfitta, sia la rivalsa di chi finì per prevalere.
Sincero, curioso, amorevole, fragile nonostante il fisico da omone, Chiarini rende pubblico un tormento che lo anima fin dall'adolescenza, da quando per la prima volta venne a conoscenza del legame dei bisnonni, dei nonni e del prozio con la parola "fascista": chiede difficili spiegazioni ai testimoni ancora in vita; raccoglie fotografie e documenti; parte coi genitori alla volta del Lago di Garda e del Lago di Iseo, dove durante gli ultimi anni di guerra vissero rispettivamente la parte di famiglia convinta sostenitrice del Duce e la parte che aderì invece alla guerra partigiana (un altro prozio di Chiarini, Giorgio Piovani, fu poi scrittore premio Viareggio e senatore del PCI).
Il materiale d'archivio dell'Istituto Luce, che co-produce il film con l'Asmara Films, porta l'inchiesta personale su un piano collettivo; non ha un valore estetico o psicanalitico (come succede ad esempio in altri tipi di cinema, dai film di Pietro Marcello a operazioni come Il treno va a Mosca), ma illustra la vicenda e la rende più profonda. Il film segue in fondo una linea narrativa molto semplice: è un viaggio di andata e ritorno da e verso Pisa, con la voce narrante dello stesso Charini a chiarire in modo fin troppo esplicativo dubbi e domande, talvolta lasciando il passo a brevi ma intensi momenti di commozione.
Nelle immagini e nelle parole di questo viaggio di ricerca c'è il senso di un amore tradito e al tempo stesso ribadito; ci sono il peso e insieme la grandezza di un affetto che la Storia non ha sconfitto, ma ha in parte adombrato. Chiarini si chiede chi siano le persone che ha amato per tutta la vita: la nonna Liliana era ancora più innamorata del Duce del padre o del marito, anch'egli fascista convinto; alla morte del nonno, nel 2001, il prozio Ferruccio, ex irriducibile di Salò, salutò la bara col saluto romano; lo stesso nonno, nel '79, da tempo lontano dalla famiglia, si presentò al funerale dell'ex suocero per rendere onore a un vecchio camerata... Eppure, in questa storia di cattivi maestri e di cuori divisi c'è anche posto per un episodio importante di accoglienza e protezione tra persone divise dalla fede politica.
Chi erano dunque i Razzini? Deciso a non dispensare colpe o assoluzioni, Charini prova a comprendere, a contestualizzare, a inserisce ogni scelta nel tumulto della Storia. Da figlio e da nipote pensa e agisce col cuore; ma da regista con sguardo critico sa di non poter chiudere gli occhi. Il risultato dei suoi tormenti è il film stesso, la sua anima dolce, errabonda e un po' sconsolata; mentre il simbolo della sua condizione è proprio l'occhio di vetro del bisnonno, rimasto chiuso in una scatola per decenni e poi ritrovato per essere trasformato nell'emblema di un mondo diviso fra il buio dell'oblio e la necessità di fare luce.
Nel precedente lungometraggio di finzione di Duccio Chiarini, L'ospite, il protagonista Guido, insegnante di lettere, durante una lezione su L'isola di Arturo dice: «Arturo prova per la prima volta pietà per il padre, che preferisce l'irrealtà della messinscena alla complessità della realtà (...) La pietà diventa uno strumento per comprendere a fondo l'altro e, attraverso questa componente, crescere». [...] Vai alla recensione »
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