Anno | 2011 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 64 minuti |
Regia di | Duccio Chiarini |
Attori | Delia Ubaldi, Alberto Chiarini, Duccio Chiarini, Gioietta Di Prete, Klaus Voit . |
MYmonetro | 2,79 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 2 dicembre 2014
Storia di una donna, madre di famiglia e pioniera dell'industria al femminile. Il cui talento le ha procurato enormi ricchezze e il cui carattere gliele ha fatte perdere tutte.
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Delia Ubaldi, oggi novantenne, è stata una delle prime donne del prêt-à-porter europeo, una pioniera caparbia e controversa, "il cui talento negli affari le ha procurato enormi ricchezze e il cui carattere gliele ha fatte perdere tutte". Il nipote e regista Duccio Chiarini, che la ricorda tornare in famiglia uno o due volte all'anno, sempre all'improvviso, per ripartire dopo poche ore per il Messico o per il Giappone, imbraccia la telecamera e parte per la Germania, in cerca di una risposta alle domande che lo intrigano da anni. Dove andava sempre di corsa nonna Delia? Era davvero amica di Richard Gere? Era davvero miliardaria? E perché poi non lo era più? Dove erano finiti tutti i suoi soldi? Perché per sette anni non si è più fatta vedere?
Con la tenera e totale disponibilità dei genitori, Chiarini apre gli armadi di casa, senza paura di mostrare gli scheletri o i panni sporchi, e guarda senza fronzoli alla storia della donna e della nonna, sempre di pari passo, illuminando con delicatezza, ma senza sconti, le fragilità di entrambe.
Delia, infatti, non è la zia eccentrica, che sa far ridere e farsi ricordare con affetto: è una prima e una seconda mamma mancata, che ha sempre fatto piangere tutti e seminato il terrore. La tredicesima fata, la guastafeste. Come Rosaspina, il regista ci deve mettere mano (e occhio) di persona, a costo di pungersi, per capire chi è Delia davvero, al di là delle lamentele e delle chiusure dei parenti. Trova, così, una donna dalla personalità fortissima, dura con gli altri più che con se stessa, che ha passato la vita corrosa dall'ansia di emergere e di dimostrare al mondo che non era solo la figlia di due poveri "mangiamacaronì". Una "ganza", nelle parole di suo figlio Alberto: peccato che fare la ganza e fare la mamma si siano rivelate due vite incompatibili. Ma non c'è, fortunatamente, nel documentario, la tentazione della morale finale. Il ritratto è quello, asciutto ma sincero, di una donna molto in anticipo sui tempi (l'imprenditoria al femminile, il divorzio), che ha sperimentato i problemi delle donne di oggi - e la difficile conciliazione tra carriera e maternità su tutte- ben prima delle altre. E qui il discorso si allarga sottilmente alla società, a quando "noi eravamo loro": emigranti in cerca di rivalsa attraverso il lavoro, il denaro, la scalata sociale. Ma è soprattutto nell'amarezza che sigilla la parabola della protagonista che sta il cuore più commovente dell'indagine privata del regista e nipote. Forse essere mamme è davvero il mestiere più difficile del mondo, più difficile che partire dalle acciaierie della Lorena e arrivare ad aprire una boutique a Beverly Hills. Forse, come credeva Duchamps: "uno pensa che la propria vita sia il risultato dei suoi sacrifici, ma in realtà si fonda sulle sue sconfitte".
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