Titolo originale | Terminal Sud |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 96 minuti |
Regia di | Rabah Ameur-Zaïmeche |
Attori | Ramzy Bedia, Amel Brahim-Djelloul, Slimane Dazi, Vanessa Liautey, Jacques Nolot Salim Ameur-Zaïmeche, Nabil Djedouani, Nacira Guénif-Souilamas, Marie Loustalot, Grégoire Pontécaille, Zahia Rahmani, Nadja Harek, Xavier Mussel, Christian Milia-Darmezin, Djemel Barek, Régis Laroche, Charles Mollon, Magali Hamparsoumian, Patricia Malvoisin, Patricia Maureau. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,20 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 12 agosto 2019
In un paese del Mediterraneo coinvolto in un conflitto armato, un medico cerca di fare il suo dovere, fino al giorno in cui il suo destino viene capovolto.
CONSIGLIATO SÌ
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In un paese mai menzionato, una cupa atmosfera stritola i cittadini. Un regime militare fa il bello e il cattivo tempo, con perquisizioni, raid e perfino uccisioni all'ordine del giorno. Una fazione ribelle opera nell'ombra senza avere molto più riguardo per il benessere degli abitanti, tra cui spicca un dottore di stanza nell'ospedale locale. Determinato a fare il possibile per il suo paese, il medico si spende per i suoi pazienti, per la moglie e per il fratello della moglie, un giornalista dissidente. È solo questione di tempo prima che il dottore finisca in prima persona nel mirino del potere.
Il regista franco-algerino Rabah Ameur-Zaïmeche confeziona un film angosciante nella sua brutalità, perlopiù suggerita, lasciata fuori scena, ma presente nell'aria come il sapore del mare.
Al centro di una storia semplice, che vede un uomo qualunque lentamente stritolato nella morsa di un'autorità senza contrappesi, c'è il senso di disorientamento geo-cronologico che deriva dall'ambientazione non dichiarata, e per questo tanto più inquietante.
È come se mancasse sempre qualcosa, in Terminal Sud; che sia un supporto esterno, un contesto storico-politico, o un senso di giusto e sbagliato, il dottore protagonista sa di non avere nulla a cui appigliarsi. È un'atmosfera residuale, spogliata, che Ameur-Zaïmeche cattura benissimo nella fotografia bruciata e nei deserti assolati. Il regista ha scelto di girare in Francia, in Occitania, ma evoca un'Algeria vecchia di decenni, quella della guerra civile, e allude a un contesto più ampio, di esperienze contemporanee e forse di paure future.
Nella psicogeografia indefinita del cinema recente, la distanza tra Terminal Sud e il Transit di Christian Petzold è percorribile a piedi, sul sentiero dei film che si interrogano in chiave esistenziale sul collasso della società. Fondamentale è un protagonista che sappia perdersi nell'ambiguità pur mantenendo la determinazione, e Ramzy Bedia fornisce una prova complessa nel ruolo del dottore, con una fisicità camaleontica che si ingigantisce per proteggere e si riduce per soffrire.
Attenta nel registrare i piccoli momenti di calore tra uomini esausti e disperati, in particolare tra il dottore e l'amico Moh (il sempre piacevole caratterista Slimane Dazi), la sceneggiatura, anch'essa a firma del regista, sa essere altrettanto efficace nel portarli al limite, come in un confronto pre-finale che lascia a bocca aperta per la sua violenza verbale.
Thriller paranoico che si scioglie in allegoria esistenzialista, Terminal Sud è una buona conferma per il talento di Rabah Ameur-Zaïmeche, non nuovo alle ri-configurazioni storiche e in possesso di una voce originale che sembra farsi sempre più ambiziosa.
Rabah Ameur-Zaïmeche appartiene anagraficamente alla seconda ondata migratoria algerina. Con un certo margine di dichiarata approssimazione, si situa fra Merzak Allouache e l'avvento dei nuovissimi come Karim Moussaoui o Sofia Djama. Presentato nell'ambito del Certain regard 2006, Bled Number One aveva molto impressionato così come il successivo Dernier maquis, ospitato invece dalla Quinzaine des réalisateu [...] Vai alla recensione »