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Martin Eden è per certi versi un film di genere, e quel genere è l'horror

Sono terrificanti le condizioni in cui vivono i napoletani ma anche il trattamento riservato al popolino dalla classe borghese. Presentato in Concorso a Venezia 76 e ora al cinema.
di Paola Casella

Martin Eden

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Luca Marinelli (39 anni) 22 ottobre 1984, Roma (Italia) - Bilancia. Interpreta Martin Eden nel film di Pietro Marcello Martin Eden.
sabato 7 settembre 2019 - Focus

Una delle molte chiavi di lettura di un romanzo stratificato come Martin Eden è l'equivoco, e il film che Pietro Marcello e il suo sceneggiatore Maurizio Braucci hanno liberamente tratto dal capolavoro di Jack London riproduce perfettamente questa ambiguità: intenzioni incomprese, letture opposte degli eventi, interpretazioni fuorvianti delle ideologie. Martin invoca il darwinismo sociale di Herbert Spencer, che era di matrice liberale, e viene scambiato per un socialista; si fa paladino dell'individualismo, ma è fra i pochi a dimostrare solidarietà verso il prossimo; crede che l'istruzione sia un veicolo per emanciparsi dalla miseria, e finisce per verificarne le restrizioni.

Quando la fidanzata borghese Elena gli propone di impegnarsi in un'impresa, intendendo un business, Martin crede che parli di un cimento eroico e avventuroso. Ma non è solo lui a equivocare: la famiglia di Elena, che si ritiene liberale, appoggia misure governative di stampo socialista; Russ Brissenden, che è contrario alla morale borghese, frequenta le feste degli Orsini; i lettori si convincono che sia Eden l'autore del testo di Brissenden, nonostante i suoi dinieghi; lo spleen di Martin, deluso dalla vita, viene scambiato per l'inedia altoborghese di Oblomov; e via elencando. È di questo constante, tragicomico equivoco che si nutre l'ironia crudele contenuta in Martin Eden: nel desiderio di tutti di scambiare lucciole per lanterne, e dare credito a chi il credito ce l'ha già.

Per certi versi Martin Eden è un film di genere, e quel genere è l'horror: sono terrificanti le condizioni di miseria e degrado in cui vivono gli abitanti di Napoli (come della Oakland di Jack London), è orribile la fatica bestiale cui sono condannati i lavoratori più umili (non è un caso che proprio in dialetto napoletano "lavorare" si dica "faticare") ma anche la scarsa considerazione della fatica intellettuale, schernita tanto dagli umili quanto dai borghesi e persino da chi dovrebbe maggiormente rispettarla: gli editori e i direttori di testate. Ma ancora più horror è il trattamento che la classe borghese riserva a chi, nato e cresciuto in una "casta inferiore", desideri alzarsi di livello e osi contaminare i suoi salotti buoni.

In Martin Eden Marcello e Braucci compiono l'opera mirabile di riempire i vuoti: scrivendo i discorsi politici pronunciati da Martin all'assemblea socialista come le sue arringhe ai benpensanti, monologhi cui Jack London accennava soltanto, e che invece nel film vengono dettagliati in tutta la loro violenza retorica. Componendo le poesie e i brani di prosa che nel romanzo di London restano titoli privi di testo.
Paola Casella

Allo stesso modo la cinepresa di Marcello, che non dimentica di essere operatore, e i materiali di archivio recuperati da ogni epoca (giacché il divario sociale, anche e soprattutto a Napoli, non è confinato a inizio secolo) dal regista-sceneggiatore, che non dimentica di essere nato documentarista, riempiono i vuoti visivi che l'ambientazione partenopea, simile ma anche profondamente diversa dall'America del primo Novecento, impone alla narrazione.

Se nel Martin Eden di London la delusione era quella del self made man che scopre che l'istruzione non è, alla fine dei conti, il volano personale e sociale sperato, in quello di Marcello incorpora secoli di scetticismo e diffidenza nei confronti dei padroni e dei conquistatori, racconta quella miseria endemica che attraversa i secoli e non conosce evoluzione, e l'immutabilità di una classe dominante che sa bisogna cambiare tutto solo affinché tutto rimanga com'è. E Marcello, al contrario dei contemporanei di London, sa da sempre che "l'individualismo è una degenerazione della legge evolutiva", e non cade nell'equivoco dei contemporanei di London: "Una delle ragioni per cui ho scritto questo libro è l'attacco all'individualismo", scriveva l'autore, concludendo, "Devo essere stato piuttosto maldestro dato che nessuno dei miei critici se ne è accorto".


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In foto una scena del film Martin Eden.
In foto una scena del film Martin Eden.
In foto una scena del film Martin Eden.

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