L'ultimo lavoro del regista, Leone d'Argento a Venezia, sembra avere una duplice spinta: politica e personale. Al cinema.
di Alessandro Castellino, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema
Che L'ufficiale e la spia (guarda la video recensione) sia un film necessario agli occhi di Polanski si evince già dai primi fotogrammi del film: il rigore formale dell'immagine conferma immediatamente le precise intenzioni di messa a fuoco di una realtà amara e cinica. E il successivo innesto di una costruzione drammaturgica al vetriolo sul tessuto figurativo, pulito e simmetrico, ribadisce l'impronta perentoria della linea autoriale e non esclude il paragone con Kubrick - e, specificatamente, con il suo Orizzonti di gloria, simile per temi e ambientazioni. La spinta artistico-politica che ha portato Polanski al grande atto d'accusa che èL'ufficiale e la spia non ha un'unica radice e anzi si fa strada l'ipotesi per cui la sua matrice sarebbe di natura dualistica: da una parte la sfera privata del regista, dall'altra la dimensione pubblica e storica di un'epoca, quella attuale.
Ma esiste un minimo comune denominatore, che è l'odio antisemita, il quale ha portato alla morte la madre del regista nel campo di sterminio di Auschwitz, e che continua a vessare le comunità ebraiche di tutto il mondo - e, in particolare, quella francese (non è un caso che la Francia sia Paese co-produttore del film).
Il cinema assume quindi questa volta, per Polanski, connotati di alto rilievo sociologico e si mette al servizio della Storia per raccontare una vicenda delicata ora come allora. E la responsabilità sulle spalle del regista raddoppia, se si pensa all'impatto devastante, e senz'altro decisivo, che hanno avuto numerosi cineasti di origine ebraica sulla storia del cinema, da Ernst Lubitsch a Billy Wilder fino a Woody Allen. L'ufficiale e la spia, guardato da questa prospettiva, si riconfigura anche come un omaggio sotterraneo a queste grandi personalità, che hanno contribuito all'evoluzione del mezzo-cinema, rendendolo quel canale eccezionale che noi tutti oggi conosciamo. E non manca nemmeno il proposito in Polanski di firmare un urlo di biasimo non casuale, ma strettamente personale oltreché pubblico, viste le accuse che gravano sulla sua persona ormai da qualche tempo. Il "J'accuse!" del titolo originale è la ferma dichiarazione di volontà di un regista che vuole essere chiamato Uomo senza riserve. Sul grido iniziale del film che invoca la morte dell'ebreo si eleva quindi il canto funebre e di rivolta, manifesto politico di un artista che invoca giustizia privata e pubblica e lo fa con lo strumento che l'ha maternamente abbracciato per gran parte della sua esistenza, ossia il Cinema, veicolo di potenza schiacciante proprio da quel caliginoso 1895 dell'Affare Dreyfus.