A fábrica de nada

Film 2017 | Drammatico, 177 min.

Regia di Pedro Pinho. Un film Da vedere 2017 con José Smith Vargas, Carla Galvão, Njamy Sebastião, Joaquim Bichana Martins. Cast completo Titolo internazionale: The Nothing Factory. Genere Drammatico, - Portogallo, 2017, durata 177 minuti. Uscita cinema sabato 29 settembre 2018 distribuito da Arch Distribuzione. - MYmonetro 3,26 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento domenica 25 novembre 2018

Un gruppo di lavoratori si rende conto che l'azienda per cui lavorano sta per essere delocalizzata. Organizzeranno una protesta per tentare l'impossibile.

Consigliato sì!
3,26/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,02
CONSIGLIATO SÌ
Autogestione in fabbrica: Karl Marx, Ken Loach e musical a disinnescare i lati perversi del capitalismo .
Recensione di Raffaella Giancristofaro
giovedì 30 novembre 2017
Recensione di Raffaella Giancristofaro
giovedì 30 novembre 2017

Una zona industriale nei sobborghi di Lisbona, oggi. Dalla sera alla mattina gli operai di una fabbrica di ascensori assistono increduli alla sottrazione delle macchine, dell'arresto della produzione e dell'insediamento di una nuova direzione, che con movimenti graduali e subdoli cerca soluzioni individuali a un problema collettivo. Mentre salgono l'ansia per il futuro e la tensione per la paura del licenziamento, intervengono i sindacati. I lavoratori hanno le reazioni più diverse, mentre un intellettuale dai contorni sfuocati (il documentarista Daniele Incalcaterra, alla Mostra di Venezia nel 2012 con El Impenetrable, produzione franco-argentina codiretta con Fausta Quattrini) si infiltra tra di loro per osservare e facilitare le dinamiche in corso e documentarne il processo.

Feconda, pungente opera prima, incentrata sulla crisi economica europea, A fábrica de nada non si limita a rilevarne le conseguenze devastanti sulle esistenze, ma va a fondo nella critica del turbo-capitalismo, con distese sequenze di serrato, concettoso confronto assembleare che tra le tante cose rilevano l'avvenuto baratto della felicità con la possibilità di consumare.

Nell'impoverimento materiale e spirituale che ne deriva, la resistenza di questo manipolo di operai potrebbe stagliarsi come un esempio di un nuovo sistema economico che non azzeri totalmente la solidarietà e l'elemento umano. A questo proposito si inseriscono nelle scene alcune voci fuori campo: la prima, femminile, dichiara da una radio: «uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della sua fine», aggiornando il Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels.

Si ragiona insomma di nuove schiavitù, rapacità delle banche, deprivazione del tempo libero e del desiderio (nella vicenda di Zé, protagonista più giovane del gruppo, padre vicario, aspirazioni di cantante punk, in una relazione precaria con l'estetista e cameriera d'albergo Carla). Ma anche di rapporto tra produttività e ridistribuzione, stato sociale, delocalizzazione, fallimento o abdicazione della politica in favore del mercato. In sostanza, di una condizione indotta di emergenza permanente. Come non se n'è mai sentito, in termini così specifici e articolati, nemmeno negli appassionati momenti di confronto comunitario che hanno sempre contraddistinto i film di Ken Loach.

Mentre decide per l'occupazione e autogestione di una fabbrica improduttiva e silenziosa - ossimoro raggelante -, il gruppo si rende al tempo stesso disponibile a interviste in cui il piano della finzione sembra sconfinare in quello della realtà. C'è posto anche per un angolo musical e per un finale aperto sul futuro dell'umanità. In questo contesto desolante, gli animali - un coniglio squartato, un acquario di pesci dimenticato in un ufficio del personale, una coppia di struzzi minacciosi usciti dal nulla - appaiono come le uniche entità dotate di un sentire pulsante, reattivo, di vita.

E infatti, pur con un chiaro rifiuto della violenza, il film di Pedro Pinho (classe 1977), nella complessità dei temi proposti, fornisce più di un motivo per caricare di nuovo le mitragliatrici che il padre di Zè ha sotterrato dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974. Qualsiasi sia l'opinione politica di chi è in sala, tre ore guadagnate a ripensare criticamente l'attualità e il valore attribuito al proprio tempo. In concorso al Torino Film Festival (e prima alla Quinzaine di Cannes 2017).

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