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Un padre, una figlia, un film che parla (anche) al cuore degli italiani

Miglior Regia a Cannes 2016, Mungiu racconta la Romania, ma potrebbe raccontare anche il nostro paese. Al cinema.
di Roy Menarini

Un padre, una figlia

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In foto una scena del film Un padre, una figlia di Cristian Mungiu.
sabato 3 settembre 2016 - Focus

Non sono in tanti a essersi chiesti perché Un padre, una figlia abbia vinto il Premio per la Regia a Cannes, e non quello della sceneggiatura o non qualche premio più generale che esaltasse la sintonia tra autore e interpreti della pellicola.

Lo straordinario film di Cristian Mungiu pare fatto apposta perché se ne apprezzino i dati di scrittura, i personaggi, la storia che via via strangola i protagonisti di fronte alle loro scelte etiche, e se si vuole anche tutta la questione analitica e metaforica della nuova Romania, disillusione prepotente che segna tutto il cinema del regista.
Roy Menarini

Tutto questo è ovviamente vero, anche perché Mungiu è uno sceneggiatore eccezionale, che viene da studi letterari e giornalistici, con un vero e proprio dono per dialoghi che oscillano tra la massima serietà e l'ironia più kafkiana, ma non basterebbe a fare di Bacalaureat il grande film che è. In effetti, ciò che addensa, concretizza e dà corpo al tessuto psicologico e narrativo è il lavoro di messa in scena - e mai più di questa volta, la dizione francese (anche del premio) di mise-en-scène si rivela utile - poiché Mungiu racconta la gran parte della storia attraverso confronti binari tra due personaggi.


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Ciascuno di questi si svolge in un interno, ripreso in scope con una ratio di 2.35: 1, che - senza farla troppo lunga con i tecnicismi - di solito si riserva ai film di grande respiro, dall'avventura al western. Mungiu invece, mentre sembra togliere sempre più spazio metaforico alle scelte dei personaggi (che si rovesciano contro di loro), aumenta a dismisura lo spazio domestico, disponendo i corpi dei protagonisti ai due lati dell'inquadratura. In questo modo, anche lo spettatore si trova schiacciato nella scena con loro, e la disposizione simmetrica, unita a dialoghi mai didascalici, pone sul medesimo orizzonte i contendenti, e non permette a chi guarda di assumere una posizione pre-costituita sulle scelte di ciascuno.

Per noi italiani, poi, Un padre, una figlia è un film molto pertinente, visto che i compromessi cui scende il padre, e di conseguenza i favori e le piccole corruzioni del mondo tutto intorno a lui, sembrano materia di discussione non solo per l'identità nazionale rumena ma anche di quella tricolore.
Roy Menarini

Non si dibatte in fondo da anni del carattere peculiare e poco civico dell'italiano, restio a seguire le regole, pronto e entrare in una rete di relazioni e reciproche prebende per ottenere qualche risultato positivo per sé o per i propri congiunti? Mungiu - che pure ci descrive una Romania decisamente più in crisi del nostro pur problematico paese - pare dunque parlare anche a noi. Ecco perché è così importante che lo faccia evitando una lezione democratica di tipo tradizionale, col dito alzato e l'esempio preconfezionato, ma problematizzando la materia attraverso i dubbi e gli errori di una famiglia intera, e la responsabilità dei genitori verso i figli (il futuro della nazione, non si sa quanto radioso).

Quella della regia, quindi, non è solamente una questione di orpello formale o di abito che si cuce intorno a una storia ben scritta ma - giova ribadirlo - l'unico mezzo a disposizione per promuovere un buon film potenziale al rango di capolavoro.


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