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Ultimo aggiornamento lunedì 1 ottobre 2018
A Santa Barbara in California tre generazioni di donna vivono per conquistare, in svariati modi, l'amore e la libertà. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar, 2 candidature a Golden Globes, 1 candidatura a London Critics, 3 candidature a Critics Choice Award, 2 candidature a Spirit Awards, Al Box Office Usa Le donne della mia vita ha incassato 5,6 milioni di dollari .
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Santa Barbara, 1979. Jamie vive con la madre Dorothea, l'inquilina artistoide femminista Abbie e l'amica Julie, di cui è segretamente innamorato. Dorothea chiede alle due ragazze di aiutarla a crescere Jamie per fare di lui un uomo. Si forma così un nucleo familiare allargato e quanto mai sui generis.
Uno degli esercizi più complessi in assoluto in merito alla creazione di opere d'arte consiste nell'utilizzo di elementi autobiografici per trasformare il particolare in universale. Da questo punto di vista 20th Century Women, al di là dei singoli punti di debolezza che possono contraddistinguerlo, rappresenta una sfida che ha pochi precedenti.
Mike Mills si cimenta nell'impresa con ambizione e insieme umiltà, costruendo una figura materna protettiva e sui generis, spregiudicata e a tratti conservatrice. Piena di contraddizioni, consapevole dei propri errori come delle proprie conquiste. Un personaggio così straordinariamente verosimile e unico da assurgere ad archetipo, o addirittura - come esplicita l'epilogo - a simbolo di un secolo carico di progressi e di altrettanti regressi, il ventesimo del titolo. Dorothea nasce infatti durante la Depressione (quando "non c'erano cibo, soldi o televisione, ma le persone erano autentiche") e arriva ai 50 quando ha inizio la storia di 20th Century Women. Un anno, il 1979, forse più dirimente del 1950 per individuare il definitivo punto di svolta di un secolo.
In politica è l'anno che precede l'elezione di Ronald Reagan (qui anticipata da una memorabile sequenza sul discorso della "crisi della fiducia" di Jimmy Carter) e la fine di ogni ostacolo per il capitalismo neoliberista; in musica e arte, coincide con l'esplosione di forme innovative di espressione sulle basi resettate dall'avvento del punk (la furia iconoclasta dei Black Flag contro la sofisticata rielaborazione intellettuale dei Talking Heads). Quando Carter esterna il suo sgomento di fronte alla direzione in cui va il mondo, in un discorso di lucidità rara per un capo di Stato, l'impressione che fornisce allo spettatore di oggi risulta opposta rispetto a quella del popolo americano. Il suo dubbio, la sua vulnerabilità, quasi un'esternazione del "femminino" della nazione, non sono consentiti: il leader deve sempre e comunque esprimersi a muso duro, senza cedere. È in questi dettagli che si annida l'importanza di un film sovraccarico di riflessioni e di impressioni su una transizione complessa, sorretto da un casting perfetto. Annette Bening, in un ruolo che avrebbe certamente meritato la statuetta più ambita, riesce a sfuggire a ogni stereotipo, per dare vita a una donna che non ha paura di mostrare i propri anni né di sembrare troppo mascolina (riprendendo qualcosa della Nic di I ragazzi stanno bene); Greta Gerwig ed Elle Fanning, invece, aggiungono sfumature nuove ai loro personaggi abituali, agevolando la costruzione di un ponte invisibile tra la contemporaneità e il suo "inizio", che forse ha luogo in quel conflittuale 1979.
Sulla carta quello di Mills potrebbe apparire un esercizio intellettuale, ma il pericolo di percorrere il sentiero tracciato da Wes Anderson è cancellato dalla verosimiglianza, nei pregi ma soprattutto nei difetti, dei personaggi che popolano la vita di Jamie, capaci di guidare il ragazzo come di deluderlo a più riprese. Cinema impressionista e personale, alla ricerca delle cause e delle scelte che ci hanno portato a essere ciò che siamo.