Titolo originale | Le grand homme |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 107 minuti |
Regia di | Sarah Leonor |
Attori | Jérémie Renier, Surho Sugaipov, Ramzan Idiev, Daniel Fassi, Jean-Yves Ruf Sabine Massé, Miglen Mirtchev, Paul Massé, Laura Arsangereeva, Issita Arslanov, Michaël Klein (III), Daphné Dumons, Manon Gineste, Sava Lolov, Guillaume Verdier, Zaher Rehaz, Taha Lemaizi, Lionel Codino, Adrien Michaux, Emmanuelle Jacob. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 8 giugno 2022
Due legionari tornano a Parigi dopo sei mesi in Afghanistan. Uno desidera tornare a combattere, l'altro cerca di cavarsela da civile insieme a suo figlio piccolo.
CONSIGLIATO SÌ
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Dopo cinque anni di legione straniera e una missione in Afghanistan, Hamilton e Markov stanno per terminare il loro percorso nell'esercito francese. La decisione di imbarcarsi in una spedizione non autorizzata alla ricerca di un misterioso leopardo stravolge le loro vite: caduti in un'imboscata, sono attaccati dal nemico. Hamilton, salvato da Markov, viene comunque ferito gravemente e il suo compagno, nonostante il sacrificio, è rispedito in Francia e messo di fronte a due opzioni: tornare subito in prima linea o essere congedato con disonore e senza cittadinanza francese. L'uomo, un immigrato ceceno fuggito dalla guerra, sceglie la seconda opzione, vivendo da clandestino ma recuperando il rapporto con il figlio Khadji.
Diviso in due parti, un film di guerra che si apre poi al dramma familiare e racconta l'esistenza "al limite" dei soldati della legione straniera, francesi senza diritto di appartenere alla nazione che li accoglie, li usa, e non li accetta.
È la guerra il vero soggetto di The Great Man (Le grande homme): guerra ai confini dell'impero occidentale, in quell'Afghanistan teatro dal 2001 di un'operazione militare mai veramente definita occupazione; nella Cecenia distrutta da un conflitto ventennale; nelle strade di Parigi, dove il conflitto è a bassa intensità, non dichiarato e non esplicitamente violento, ma non per questo meno invasivo, con le forze di polizia francesi che vigilano sulla presenza non dichiarata, non consentita, degli immigrati clandestini. La guerra, del resto, è l'unica realtà nella quale vivono i soldati della legione straniera, che esistono solamente in quanto combattenti di un paese al quale non appartengono e che li rifiuta: esseri umani al limite, sul confine. Markov, il protagonista del film di Sarah Leonor, vive situazioni sospese fra autorizzazione e illegalità, sia nell'esercito, dove i soldati sono considerati semplicemente uomini che agiscono in una cornice consentita, sia nella società, dove solo chi ha documenti è riconosciuto in quanto individuo. L'amicizia, il sacrificio, addirittura la paternità non sono accettati, autorizzati, se non consentiti dall'autorità. Con il suo stile aperto, i suoi tempi dilatati, la durezza di una fotografia che replica l'aridità dei contesti di guerra e di vita metropolitana che racconta, il film lavora proprio sul contrasto tra l'esperienza dei personaggi e la rigida istituzionalizzazione dei rapporti sociali: i corpi dei soldati e il legame invisibile che li unisce esplicitano soprattutto un desiderio di fuga, di effrazione, di rottura.
Senza arrivare alle vette di un film come Beau travail di Claire Denis, in cui la violenza istituzionalizza era racchiusa nei corpi dei soldati della legione straniera, Sarah Leonor riprende comunque l'idea di un potere che si esprime attraverso uomini ridotti a pura presenza fisica, grandi soldati che devono nascondere l'uomo celato dalla divisa. La seconda parte del film è in questo senso ancora più spietata della prima: il fronte è quello interno della città, in cui il soldato della legione straniera diventa straniero a tutti gli effetti, clandestino e indesiderato. Il rapporto fra Markov e il figlio, che vive di silenzi e reciproca riconoscenza (come del resto anche quello fra protagonista e il compagno Hamilton), resiste proprio alla riduzione dei rapporti personali a semplici definizioni: commilitone, figlio legale, padre naturale. Semplicemente, sullo schermo appaiono un uomo e un bambino il cui legame manda in crisi l'istituzione che li vorrebbe controllare. Ed è solo quel legame, come sa bene Sarah Leonor, a fare grandi gli uomini.
Diviso in due parti, un film di guerra che si apre poi al dramma familiare e racconta l’esistenza “al limite” dei soldati della legione straniera, francesi senza diritto di appartenere alla nazione che li accoglie, li usa, e non li accetta.
Con il suo stile aperto, i suoi tempi dilatati, la durezza di una fotografia che replica l’aridità dei contesti di guerra e di vita metropolitana che racconta, il film lavora proprio sul contrasto tra l’esperienza dei personaggi e la rigida istituzionalizzazione dei rapporti sociali: i corpi dei soldati e il legame invisibile che li unisce esplicitano soprattutto un desiderio di fuga, di effrazione, di rottura. Sarah Leonor riprende l’idea di un potere che si esprime attraverso uomini ridotti a pura presenza fisica, grandi soldati che devono nascondere l’uomo celato dalla divisa.