Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Jacques Doillon |
Attori | Sara Forestier, James Thierree . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 27 maggio 2015
Una coppia cerca di recuperare il proprio rapporto isolata in una casa di campagna.
CONSIGLIATO SÌ
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Una ragazza torna nel paese natale di campagna a ridosso della morte del padre, un uomo che non l'ha mai amata e le ha sempre preferito gli altri fratelli. Poco distante dalla casa di famiglia, in una villa nel verde, abita un uomo, contadino e scrittore, con il quale la ragazza inizia una frequentazione prima sporadica poi sempre più regolare. I due si confrontano prima a parole, poi fisicamente, fino a stabilire delle regole per quelli che diventano incontri di calci e pugni, ad alto tasso erotico e liberatorio.
Doillon ha girato in due mesi d'estate questo film low budget, apparentemente senza copione ma in realtà precisissimo, affidato completamente alla giusta misura. Un dialogo di troppo, un gesto di meno o di troppo e il ridicolo entrerebbe dalla porta principale, compromettendo il tutto. Ma così non avviene. Ciononostante, non si entra con facilità, occorre del tempo e un atto di fiducia. Il personaggio di Sara Forestier, trasandato e pronto a spogliarsi, provocatorio e malizioso, si muove sul confine di un cliché tutto francese che può inizialmente infastidire, quasi uscisse da una parodia di Rohmer, e non è da meno James Thiérrée nei panni del seduttore più maturo e saccente, che gioca con la psicologia della ragazzina.
Ma le cose mutano presto sembianza. "Ci sto provando, non ci sono ancora", dice lei quando lui si lamenta della sua incapacità di ripetere in maniera credibile "la scena" che si è svolta tra loro la sera prima, per poterle dare un altro finale. E così è per l'inizio del film: personaggi e spettatori ci mettono un po' a crederci, ad entrare veramente nella richiesta del film, e il regista è felice di lasciare visibili le incertezze e persino qualche imprevisto, perché l'improvvisazione è il mezzo e insieme il messaggio di questo film. Come utilizzarla, come negarla, come portarla sulla soglia della verità e poi ricacciarla violentemente nel regime della finzione, sembra chiedersi Doillon, con questo esperimento empirico, un po' anni Settanta.
Le sedute di lotta di Forestier e Thiérrée sono anche sedute di lutto, di riconquista dell'identità perduta con la scomparsa del padre ma anche di conquista di un nuovo affetto e di una nuova identità, che non va persa nella condivisione ma può e deve amalgamarsi, come amalgamati e intrecciati sono i corpi dei protagonisti nelle coreografie della battaglia/amplesso.
In fondo, il film si regge tutto sulla contraddittoria convivenza di un dialogo assolutamente cerebrale, sopra le righe, e di un'azione invece tutta fisica, primordiale, immediata. Entrambi lasciano dei segni e richiedono nuovi incontri, fino alla resa, che è poi la cura.
Un film che può essere terapeutico, dunque, o fare l'effetto opposto. In questo caso, se il Lui e la Lei di Doillon dovessero seccarvi al punto da volerli menare, vi risparmiano persino l'incomodo, perché fanno tutto da soli.
Ho appena visto questo film alla Berlinale - e dovrei solo fare un appunto alla breve sinossi con cui viene presentato sul sito; i personaggi non sono esattamente una coppia che cerca di recuperare un rapporto, ma una "ragazzina" capricciosa, a cui è appena morto il padre, ed un affascinante (direi) quarantenne o poco più; i due, alle spalle, dal punto di vista sentimentale, hanno un breve trascorso: [...] Vai alla recensione »