Titolo originale | Feng ai |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Hong Kong, Francia, Giappone |
Durata | 220 minuti |
Regia di | Bing Wang |
Tag | Da vedere 2013 |
MYmonetro | 3,77 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 8 gennaio 2019
Diretto da Bing Wang, Feng Ai è inserito nella sezione Fuori Concorso della 70. Mostra del cinema di Venezia.
CONSIGLIATO SÌ
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All'interno di un manicomio nella provincia dello Yunnan, nella Cina meridionale, Wang Bing riprende la vita quotidiana dei reclusi, confinati lì a causa di disturbi mentali o per volontà delle rispettive famiglie.
Nel 1963 Samuel Fuller girò un film sconvolgente, Il corridoio della paura, uno dei capolavori certi della storia del cinema. La storia di un reporter che si finge malato di mente e si fa internare per rivelare le condizioni di vita all'interno di un manicomio. Cinquanta anni dopo Wang Bing in quel "corridoio della paura" entra per davvero. Durante le quasi quattro ore di Feng Ai vivono paure, speranze (poche) e rassegnazioni (molte) degli ospiti di un centro di ricovero dello Yunnan, dove è chiaro fin da subito che gli ospiti sono solo in parte "pazienti". Spesso si tratta di indigenti costretti, dalle loro stesse famiglie, a trovare asilo lì, oppure individui in qualche modo turbolenti da confinare lì per il presunto bene della società e il sicuro beneficio di un potere interessato a rimuovere gli elementi scomodi e ribadire la propria onnipotenza.
Wang Bing, dopo diversi documentari osteggiati dal governo di Pechino su storture che avvengono a vari livelli nella Cina odierna, gira il suo film più politico e insieme più ambizioso, riuscendo a mimetizzarsi tra i corridoi di un manicomio per carpire attimi di intimità che siano esemplari del disagio che regna dentro ma soprattutto fuori dalla struttura dell'edificio. Coppie di innamorati divise da una grata, famiglie frantumate che si ritrovano solo nell'orario di visita, uomini che dividono lo stesso letto in cerca di un calore umano che non li conduca alla follia, quella che paradossalmente il manicomio dovrebbe curare. E dopo aver portato l'occhio della videocamera in un contatto nudo, intimo con gli ignari protagonisti di Feng Ai, Wang ne sceglie uno, che sta tornando a casa, per uscire anch'egli dalla claustrofobia della prigione e (far) constatare come la prigione sia assai più vasta di così e si estenda sotto un cielo stellato.
Definire Feng Ai un documentario è oltremodo riduttivo, persino "cinema del reale" lo è; armato di sostanzialmente nulla e contrastando il più forte dei poteri, Wang Bing unisce coraggio e forza di una messinscena destinata a lasciare un segno indelebile in chi la osserva.