Anno | 2012 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Canada |
Durata | 108 minuti |
Regia di | Sarah Polley |
Attori | Pixie Bigelow, Deirdre Bowen, Geoffrey Bowes, John Buchan, Susy Buchan Tom Butler, Andrew Church, Peter Evans (II), Justin Goodhand, Cathy Gulkin, Harry Gulkin, Alex Hatz, Rebecca Jenkins, Robert Macmillan, Victoria Mitchell, Marie Murphy. |
Uscita | giovedì 26 giugno 2014 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 3,00 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 25 giugno 2014
Il film ha ottenuto 1 candidatura a Critics Choice Award, Al Box Office Usa Stories We Tell ha incassato 1,6 milioni di dollari .
CONSIGLIATO SÌ
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Sarah Polley, attrice e regista canadese realizza un documentario interrogando parenti e conoscenti sulla vita della madre. Costei, Diane Polley, è stata un’attrice famosa morta per un tumore nel 1990. Il punto di partenza è un’autobiografia sotto forma di romanzo che il padre Michael ha scritto e che gli viene chiesto di registrare in studio.
Dopo pochi minuti dall’inizio del film una sorella di Sarah le chiede e si chiede a chi possa interessare la storia della loro famiglia. Si tratta di una domanda che il possibile spettatore potrebbe legittimamente porsi prima di decidere se vedere o meno Stories We Tell. La risposta è: può interessare a una diversificata gamma di persone perché Sarah Polley è consapevole dei molteplici livelli di significazione dell’operazione e li tiene tutti sotto controllo. Quello apparentemente più esplicito è il tentativo di ricostruire la figura materna (la regista aveva 9 anni quando Diane morì) attraverso le ‘storie’ narrate da ognuno dei componenti della famiglia e da amici e conoscenti a ognuno dei quali è stato chiesto di raccontare tutto dall’inizio. Ne emergono, come è prevedibile, visioni diverse della stessa persona, concordanti su alcuni aspetti del suo carattere ma in più di un’occasione divergenti. Progressivamente però assume rilievo la figura del padre al quale è stato dichiarato sin dall’inizio che non ci si sarebbe limitati a una lettura del suo testo autobiografico ma che sarebbe stato sottoposto a un vero e proprio interrogatorio. C’è poi il livello dei cosiddetti colpi di scena, che non mancano da un certo punto in poi e che non vanno rivelati anche se costituiscono una parte fondamentale della narrazione.
Polley non si nasconde dietro a una pretesa oggettività di sguardo. Entra in gioco, corregge il padre nella dizione, pone direttamente le domande, fa proprio lo sviluppo dell’indagine. Ma si spinge anche oltre: quando le mancano i materiali d’epoca (foto, filmati professionali o amatoriali) li ricostruisce facendo uso di attori che interpretino le persone che le sono più care come se fossero ripresi con vecchie cineprese. Verità e finzione si intersecano in una ricerca che si fa progressivamente più complessa ma anche più dolorosa anche se il tono resta lieve. Perché, in definitiva, Sarah Polley sta cercando se stessa attraverso le parole e i ricordi altrui e questo è il percorso più difficile da compiere.
La verità esiste? La domanda più frequentata dalla filosofia diventa il centro d'indagine del nuovo lavoro della giovane attrice e regista canadese Sarah Polley (già musa di Cronenberg, Egoyan e Coixet) che per illuminare il predominio della relatività come risposta al quesito, mette in scena una famiglia sgangherata in cui ciascun membro diversamente risponde alle proprie domande.