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Il Rex dell'estate televisiva

Torna il più famoso cane poliziotto della nostra televisione.
di Edoardo Becattini

Kaspar Capparoni (Gaspare Capparoni) (60 anni) 1 agosto 1964, Roma (Italia) - Leone. Nel film di Marco Serafini Rex 3.

martedì 14 giugno 2011 - Televisione

È l'ultimo erede della stirpe dei cani più famosi della storia del piccolo schermo come Rin Tin Tin e Lassie, ma ormai anche il più degno avversario del poliziesco televisivo assieme a L'ispettore Derrick e La signora in giallo. Passato da ormai qualche anno dalla produzione austriaca a quella italiana e dalla squadra omicidi di Vienna a quella del centro di Roma, il pastore tedesco torna in televisione a risolvere nuovi casi (letteralmente, con il suo fiuto) da questa sera su RaiUno con la sua tredicesima stagione. Paradossalmente, pur trattandosi di una delle serie poliziesche più longeve trasmesse dalla Rai e della terza stagione che vede direttamente coinvolta una produzione italiana, Rex 3 è stato a lungo rimandato dai palinsesti, fino a trovare collocazione nella prima serata infra-settimanale d'inizio estate. Una decisione che non ha gradito il suo protagonista umano, ovvero Kaspar Capparoni, che fin dall'inizio si è fatto grande sostenitore e attivo collaboratore del passaggio di testimone dall'Austria all'Italia del poliziesco per cinofili. Di questa stagione, che sarà l'ultima che lo vede protagonista, Capparoni è molto orgoglioso e durante un'intervista informale non ha stemperato una certa insofferenza per alcune decisioni prese dall'azienda pubblica così come dalla produzione della serie. Quel che è certo, è che dopo questa serie, che vede coinvolti ancora una volta anche Fabio Ferri e Pilar Abella, il nuovo padrone di Rex sarà Ettore Bassi e che l'ironia che ha caratterizzato il passaggio a Roma del famoso cane poliziotto potrebbe lasciare spazio a un impianto più action.

Questa che va adesso in onda in Italia è la tua ultima serie di Rex. Nella prossima, esci di scena e lasci il posto a Ettore Bassi.
Kaspar Capparoni: Sì, esco ed esco violentemente, senza la possibilità di ritornare. Sono per gli addii definitivi, non mi piacciono quelle serie dove i personaggi restano sospesi come in un limbo. Ci tengo a precisare che è stata una mia idea, dettata da un conflitto artistico con la produzione. Rex è una serie che viene trasmessa in più di 120 televisioni nel mondo e, nonostante questo, da noi si continua a pensare che l'ironia sia una nostra prerogativa e che non possa avere un'apertura internazionale. Il punto fondamentale è che la produzione non voleva più un personaggio ironico e disteso come il mio Lorenzo Fabbri: volevano una specie di 007, un poliziotto più serio e determinato e io non ho accettato. L'idea di tornare al vecchio Rex dopo due edizioni che hanno avuto nel mondo dei picchi di share migliori rispetto a quelli delle serie di dieci anni fa, quando non c'era la stessa concorrenza di oggi che ha cambiato completamente la logica delle serie televisive, mi sembra un'idea folle. Per questo ho deciso di abbandonare, anche se a malincuore, perché mi ero molto affezionato a questo personaggio e soprattutto al mio amico Henry, il cane delle tre stagioni italiane. Per la mia uscita di scena, era previsto l'ingresso del nuovo cane che lo avrebbe sostituito (Henry ha ormai più di dieci anni ed è tempo di pensione per lui), ma ho chiesto espressamente di girare la mia ultima scena con lui.
Non ho rimpianti, sarò un viziato ma mi piace fare le cose a modo mio. D'altronde non è la prima volta che mi allontano da un set per problemi con la produzione: è successa la stessa cosa con Capri pochi anni fa. Ma quando si chiudono le porte si aprono sempre i portoni.

Come mai la serie va in onda solo adesso, a inizio estate?
Kaspar Capparoni: In un'azienda pubblica ci dovrebbe essere una strategia comune: quello che pensa la testa dovrebbe fare la mano. Invece troppo spesso c'è una totale mancanza di attenzione e di coerenza. Questa serie è già stata trasmessa in tutto il mondo con molto successo: l'hanno già vista dal Canada al Sud America, così come in tutto il resto dell'Europa. Perché venga trasmessa in Italia solo adesso non lo so. Forse è per cavalcare l'onda del mio "successo" a "Ballando con le stelle". Ma non sono una persona che tende a lamentarsi: sono felice che ci abbiano dato finalmente l'opportunità di esser visti e giudicati anche in Italia e sono convinto che la serie andrà bene. Speriamo solo che il tempo non sia troppo buono la sera, questa serie merita davvero il successo anche in patria.

A proposito di "Ballando con le stelle"...
Kaspar Capparoni: Erano tre anni che Milly Carlucci mi cercava e mi chiedeva di partecipare e ogni volta avevo una scusa per declinare l'invito e sottrarmi. Non certo perché non mi convincesse il programma, ma perché sono una persona abbastanza riservata e non mi piace espormi in prima persona sotto i riflettori. Le ho promesso che avrei partecipato quando non avessi avuto altri impegni di lavoro, il che è successo nell'ultima stagione. Dopo la prima settimana avevo già voglia di scappare a casa, poi invece la cosa mi ha preso: lo trovo un programma estremamente raffinato, uno dei migliori della tv. Ed è fatto da una grandissima professionista: Milly è una persona infaticabile e molto intelligente, anche artisticamente. Si confronta continuamente con le idee degli altri ed è molto collaborativa, il che contribuisce senza dubbio a dare una marcia in più al programma.

I tuoi prossimi impegni?
Kaspar Capparoni: Ho due progetti in cantiere che mi coinvolgono personalmente. Uno con la Rai e uno con Mediaset. Per la Rai sto lavorando alla trasposizione di una storia che mi tocca particolarmente perché è la storia di mio zio, Piero Capparoni. È tratta dal libro scritto da mia zia, Lucilla Capparoni, intitolato "Il cavaliere di cristallo" ed è la storia di un uomo che ha avuto tutto dalla vita: notorietà, fascino, soldi. Mio zio è stato capitano della nazionale di polo italiana e ha fatto una vita incredibile finché un giorno, durante una partita, un incidente con un cavallo gli frattura la schiena in più punti e lui ritorna al mondo paralizzato dopo sei mesi di coma. Mio zio è stato un uomo di grande intelligenza, che a poco più di trent'anni, appena sposato, vede la sua vita completamente cambiata. Penso che la sua storia sia importante perché racconta qualcuno che ha visto la vita come una sfida positiva: penso al "Cavaliere di cristallo" come a un inno alla vita, un messaggio di grande forza pieno di energia positiva e di voglia di combattere. Non si può sempre raccontare le cose come un melodramma di Osborne, a volte occorre anche raccontarle con la gioia di Wilde.
Con Mediaset invece sto sviluppando il progetto di una miniserie a co-produzione internazionale da me ideata e che coinvolge grandi compagni e amici come Sergio Assisi, Luca Ward, lo stesso Fabio Ferri che è con me anche in Rex. Il titolo provvisorio è Una coppia quasi perfetta e racconta la storia di due uomini: un conte tedesco molto importante, che ha una delle collezioni d'arte più importanti del mondo, una specie di Indiana Jones più pragmatico, e dall'altra parte un ladro. Attraverso strade diverse, vengono coinvolti entrambi in una serie di operazioni e di investigazioni assieme a una donna bellissima e molto determinata. È uno di quei prodotti con cui spero che la gente possa tornare a sognare, a uscire un po' da un contesto statico e a vivere un sogno, per quanto assurdo esso possa essere.

Oltre alla televisione, hai intenzione di tornare al teatro o al cinema?
Kaspar Capparoni: Per me è tutta una questione di idee. Al nostro cinema mancano le idee, più che i soldi da investire. Mancano le storie. Oggi il cinema italiano è solo una catena di montaggio: storie tutte uguali che coinvolgono sempre gli stessi personaggi. La mancanza di idee crea una specie di stallo e porta il cinema ad essere solo la brutta copia della televisione. Oggi non puoi fare la fiction al cinema, perché il cinema è un'altra cosa. Lo hanno capito tutti: i francesi per primi, ma anche gli spagnoli e perfino i tedeschi, che si erano fermati a Fassbinder da decenni. Se si crea un mercato internazionale, si ritroveranno subito gli autori, gli attori e i registi. Ma se invece si continua a pensare di poter fare un film con una mancia, il nostro cinema sarà fatto solo da piccoli e sporadici miracoli. Purtroppo vivo di pragmatismo e una cosa che mi fa male e mi ferisce è sentire che gli americani del nostro cinema citano ancora e sempre solo Fellini e Antonioni. Quando avremo un cinema che viene venduto in tutto il mondo, allora sì che il cinema italiano tornerà a splendere.
Per quanto riguarda il teatro, dopo aver lavorato per venticinque anni con una persona come Giuseppe Patroni Griffi, ammetto di essere un po' viziato e di non essere pronto a tornare in palcoscenico giusto per il gusto di tornarci. Anche perché il teatro è una dimensione durissima e non ho voglia di tornare in teatro solo per fare l'ennesimo Shakespeare. Tornerò in teatro quando troverò qualcuno che ha un'idea giusta per il teatro.

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