Titolo originale | Musanilgi |
Anno | 2010 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 127 minuti |
Regia di | Park Jungbum |
Attori | Jin Yonguk, Kang Eunjin, Youngdeok Park, Park Jungbum . |
Tag | Da vedere 2010 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 26 giugno 2011
Jung-bum Park è il regista di un film che racconta le vicende di vari personaggi, destinate ad incrociarsi per sempre. Il film è stato premiato a Tribeca,
CONSIGLIATO SÌ
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Interpretato dallo stesso regista, il film racconta la storia del nordcoreano Jeon Seung-Chul. Nato a Musan e vissuto in miseria, decide di trasferirsi a Seul (Corea del Sud) per trovare un lavoro e riappropriarsi di una vita vera. Ma la realtà che incontra assomiglia più ad un incubo che ad un sogno di speranza: Jeong è costretto ad abitare nella periferia della città, in una casa fredda e spoglia, che divide con altri connazionali; attacca cartelloni pubblicitari illegali pur di guadagnare pochi spiccioli, e viene continuamente maltrattato dal suo capo e dai bulli di periferia. La sua unica distrazione è una ragazza che canta nel coro della Chiesa. Jeong è totalmente affascinato da lei e da un mondo fatto di inni alla pace e alla solidarietà. Comincia ad andare alla messa ogni domenica, creandosi un luogo di serenità tutto suo. Prende con sé un cagnolino bianco, unico amico che lo accompagna in una città dove le porte gli vengono continuamente sbattute in faccia. Riesce a farsi assumere nel locale Karaoke dove lavora la corista Sook-yong, ma appena le cose sembrano andare per il verso giusto, ecco nuovi problemi e maggiori difficoltà.
Park Jung-bum è abile nell'affidare ai personaggi e alle loro azioni il significato di una situazione disagiata e precaria. Nessun primo piano interviene per aumentare quel senso di angoscia e d'inadeguatezza già così chiaro attraverso le atmosfere e i silenzi. Park Jung-boom non lascia niente al caso. Dice d'ispirarsi soprattutto al cinema europeo di Leigh e Loach. E si vede. Già primo assistente alla regia del bellissimo Poetry, di Lee Chang-Dong, qui riesce ad imprimere alla pellicola uno stile asciutto e pulito. L'obiettivo non fa mai uso della soggettiva, ma spesso segue i personaggi di spalle, a fianco, utilizzando toni cupi nei momenti di solitudine e luci bianche nelle situazioni di pace interiore (quando Jeong canta in Chiesa). Il protagonista parla di rado, ma il suo modo di camminare, di mangiare, di pregare, di vivere esprime perfettamente l'estraneità e l'emarginazione che gravano sulla sua condizione di "disertore". Non c'è stupore nel sapere che questo film drammatico, partito dalla Corea, ha partecipato a numerosi festival internazionali, ricevendo moltissimi premi e riconoscimenti prestigiosi (ne è un esempio il premio per la miglior regia al Tribeca 2011). Pregiudizi, affari illegali, rancore e violenza circondano la persona di Jeong, che puro e innocente all'inizio, finisce per cedere alla negatività che lo circonda per egoismo e voglia di un futuro migliore.
Al cagnolino bianco, che non sfrutta Jeong né chiede mai niente in cambio, come fanno invece gli amici-nemici nordcoreani, il regista riserva una fine inaspettata. La sua morte è significativa di un netto passaggio che si attua nella vita del padrone: il cane non esiste più, così com'è sparita l'innocenza e la purezza di Jeong. Attraverso un solo scorcio della storia di un uomo, lo spettatore riesce a comprendere la gravità di una situazione generale, dove la società capitalista della Corea del Sud non lascia spazio agli immigrati che, seppur con volontà e coraggio, faticano ad integrarsi e a far cadere le barriere morali erette nei loro confronti.