Titolo originale | Los golfos |
Anno | 1960 |
Genere | Poliziesco |
Produzione | Spagna |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Carlos Saura |
Attori | Manuel Zarzo, Luis Marín, Óscar Cruz, Juanjo Losada, Rafael Vargas María Mayer, Antonio Jiménez Escribano, Arturo Ors, Lola Garcia, Angel Calero, Francisco Bernal, Manuel Serrano. |
Tag | Da vedere 1960 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 24 aprile 2024
La Spagna franchista narrata grazie a una banda di giovani malviventi di periferia.
CONSIGLIATO SÌ
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Nella Madrid a cavallo tra gli anni '50 e '60 un gruppo di giovani vive di piccoli furti. Le cose si fanno più serie quando uno di loro, Juan, aspirante torero, ha bisogno di una considerevole somma di denaro per potersi permettere la prima corrida pubblica. Gli amici inizieranno a commettere reati sempre più gravi.
Nel suo lungometraggio di esordio Saura mostra già una sicurezza di stile e una scelta di parte contro il franchismo.
Non a caso il film, accolto sugli schermi di Cannes nel 1960, in Spagna non vedrà la luce di un proiettore fino al 1962 e con più di dieci minuti di tagli, sembra per scene dal contenuto erotico. In realtà la Spagna franchista, oltre ad essere farisaicamente pudibonda, aveva compreso che in quel ritratto di un gruppo giovanile iniziava a prendere forma non solo uno stile di regia ma una determinata opposizione al regime. Purtroppo in Italia il film avrebbe subito un altro affronto. 'Los Golfos' in spagnolo significa, a voler essere gentili, i delinquenti ma sicuramente non i monelli. Sarebbe interessante venire a conoscere quale sia stato il pensiero che sta alla base di questa titolazione. Perché, se si esclude la presenza di ragazzini in pochissime inquadrature, qui si tratta di giovani uomini (tutti attori non professionisti) che cercano di dare un senso alle proprie esistenze compiendo piccoli furti talvolta quasi privi di senso come togliere il tappo del serbatoio di una moto. Il senso viene acquisito nel momento in cui diventa importante aiutare l'amico Juan nel realizzare il suo sogno. Qui va premesso che non sarebbe corretto guardare il film con l'atteggiamento della cancel culture. La tauromachia oggi viene giustamente considerata una pratica da abolire ma all'epoca la sensibilità era decisamente diversa e qui, per Saura, il fatto che Juan possa toreare finisce con il rappresentare una possibile forma di riscatto per tutto il gruppo.
Alcune inquadrature nella fase di allenamento, in un film girato in uno splendido bianco e nero, anticipano già alcune pose plastiche che vedremo poi esaltate, più di vent'anni dopo nel coloratissimo Carmen Story. Questi ragazzi richiamano altri coetanei come, ad esempio, quelli al centro del cinema di Pasolini dell'epoca e Saura li coglie nel loro maschilismo pubblico, pronto però ad attenuarsi nell'intimità, così come nei loro improvvisi scatti di collera e di violenza. Il suo sguardo non li giudica e, collocandoli, come viene sottolineato in apertura, in ambienti sempre reali e mai ricostruiti in studio, offre loro una credibilità che rende ancora più esplicito il contesto di emarginazione in cui agiscono.
Nella Madrid a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 un gruppo di giovani vive di piccoli furti. Le cose si fanno più serie quando uno di loro, Juan, aspirante torero, ha bisogno di una considerevole somma di denaro per potersi permettere la prima corrida pubblica. Gli amici inizieranno a commettere reati sempre più gravi.
Nel suo lungometraggio di esordio Saura mostra già una sicurezza di stile e una scelta di parte contro il franchismo. Non a caso il film, accolto sugli schermi di Cannes nel 1960, in Spagna non vedrà la luce di un proiettore fino al 1962 e con più di dieci minuti di tagli. La Spagna franchista aveva compreso che in quel ritratto di un gruppo giovanile iniziava a prendere forma non solo uno stile di regia ma una determinata opposizione al regime.
Saura coglie i ragazzi nel loro maschilismo pubblico, pronto però ad attenuarsi nell’intimità, così come nei loro improvvisi scatti di collera e di violenza. Il suo sguardo non li giudica e, collocandoli, come viene sottolineato in apertura, in ambienti sempre reali e mai ricostruiti in studio, offre loro una credibilità che rende ancora più esplicito il contesto di emarginazione in cui agiscono.