Tumbbad

Film 2018 | Drammatico +13 109 min.

Regia di Rahi Anil Barve, Adesh Prasad. Un film con Sohum Shah, Deepak Damle, Jyoti Malshe, Anita Date, Dhundiraj Prabhakar Jogalekar. Cast completo Titolo originale: Tumbbad. Genere Drammatico - India, Svezia, 2018, durata 109 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 31 agosto 2018

Vinayak è il giovane figlio del signore locale e vive ossessionato dalla ricchezza dei suoi antenati.

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Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 2,99
CONSIGLIATO SÌ
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Cinema
Megaproduzione tra horror, fantasy e saga folklorica: ottimi effetti visivi, ritmo intermittente .
Recensione di Raffaella Giancristofaro
venerdì 31 agosto 2018
Recensione di Raffaella Giancristofaro
venerdì 31 agosto 2018

Un prologo racconta della Dea indiana dell’abbondanza e di suo figlio, attaccato violentemente dalle altre divinità e costretto a rimanere nel suo ventre per salvarsi, a condizione di vivere nascosto. La prima parte è ambientata nel villaggio di Tumbbad, in una regione rurale battuta da una pioggia incessante. Qui abita Vinayak, la cui madre si prende cura di una bisnonna, spaventosa figura tra lebbrosa e zombie tenuta in catene e sospesa tra pasti e un sonno profondo.

La madre diffida il figlio dal volersi appropriare di un fantomatico tesoro nascosto, che solo a nominarlo scatenerebbe la maledizione di un demone vendicativo.

Dopo le morti dell’ultimo membro anziano del villaggio e del fratellino di Vinayak in seguito a un sinistro incidente, la donna decide di lasciare quel luogo per la grande città di Pune e fa giurare al figlio che non farà mai ritorno a Tumbbad. La seconda parte prende il via anni dopo, quando Vinayak da adulto (Sohum Shah, anche co-produttore) torna ad esplorare quel luogo ricevuto in eredità, scoprendo che un albero che si è innestato ed è cresciuto sul corpo della progenitrice, che lo allarma sulla maledizione di cui è vittima. Trova il tesoro (in monete d’oro che già erano note alla madre) in un forziere nascosto nelle viscere dell’antica casa. Una volta tornato in città dalla moglie, la scoperta innesca in lui una spirale di avidità che risveglia inesorabilmente anche la maledizione prospettatagli da piccolo, e che coinvolgerà progressivamente anche il socio d’affari Raghav e il figlio adolescente.

Ambizioso pastiche di terrore con elementi storici e fantasy che, tra le fonti di ispirazione, cita anche l’opera di Narayan Dharap, autore prolifico di letteratura horror, Tumbbad è una produzione davvero originale nell’ambito dell’industria cinematografica nazionale (primo film indiano ad essere co-prodotto dalla svedese Film iVäst). Effettivamente ha un’altissima qualità produttiva: ambientazioni suggestive, colonna sonora epica, effetti visivi digitali stupefacenti (le creature mostruose e sanguinarie, il ventre venoso teatro dell’orrore) e ben utilizzati in un crescendo di gore, cura dei dettagli, altissima definizione fotografica. Al tempo stesso mira ad essere una specie di affresco storico tra periodo coloniale e India indipendente (1947), facendo riferimento a vari aspetti dell’emancipazione del Paese e delle donne.

Su questo mix di generi innovativo, ibridato di tecnologia, innesta un classico racconto di ammonimento morale, citando in testa il Mahatma Gandhi (“Il mondo ha abbastanza per le necessità di tutti, ma non per la loro avidità”). A tale spiegamento innegabile di forze, risorse e intenzioni non corrispondono sempre altrettanta naturalezza nella narrazione e senso del ritmo.

L’affresco storico è affidato a pochi dettagli calati meccanicamente nel quadro o nei dialoghi (la progressiva modernizzazione della vita quotidiana e la transizione dal controllo dell’esercito britannico alla divisione dei territori con l’indipendenza sono passaggi molto rapidi) e la vena cruenta e spaventosa – ovvero tutto il set della “casa maledetta” – finisce per portare l’intera responsabilità del racconto.

Insomma, il potenziale sia orrorifico che sapienziale perdono un po’ di mordente a causa di una sceneggiatura ripetitiva e troppo innamorata di ogni singolo dettaglio. Anche se al progetto, ostinatamente perseguito in sei anni di lavorazione, vanno riconosciuti dei meriti, soprattutto nel campo dei visual effects e del make-up.

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