Anno | 2009 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Ungheria |
Durata | 95 minuti |
Regia di | Roland Vranik |
Attori | Sándor Terhes, Zoltan Ratoti, Károly Hajduk, Kata Wéber, Éva Kerekes, Hanna Becker . |
MYmonetro | 2,84 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 5 novembre 2009
CONSIGLIATO SÌ
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Improvvisamente gli schermi della città smettono di funzionare e la città sprofonda nel silenzio. Durante una lite, Henrik, uccide la moglie e la seppellisce nel giardino di casa, con l'aiuto dei due fratelli, Vilmos e Otto. Poche ore dopo anche le due bambine di Henrik scompaiono e per l'uomo inizia la ricerca e l'attesa del loro ritorno.
Il secondo lungometraggio dell'ungherese Roland Vranik, Adás - Transmission è un film rigido, nelle premesse che imposta così come nelle coordinate stilistiche che adotta. Le telecomunicazioni sono sospese ma non per questo i suoi personaggi rinunciano al posto di spettatori inermi, anche quando la realtà li colpisce con la cattiveria e l'evidenza di un fattaccio di cronaca.
È questo un film che, sotto la maschera del thriller postapocalittico, rilegge probabilmente, più o meno volontariamente, gli avvenimenti politici ungheresi degli ultimi anni e in particolare l'ammissione di pubblica menzogna del primo ministro e il conseguente violentissimo attacco alla sede della televisione. Vranik carica l'atmosfera di violenza repressa e la mette sotto ulteriore pressione inquadrandola in fotogrammi di assoluta geometria e claustrofobia, anche negli esterni, a loro volta destinati alla recinzione, al murarsi vivi dei personaggi.
L'individualismo e la solitudine a cui il mezzo freddo della televisione aveva abituato gli abitanti di questa città-mondo, lascia dapprima il posto alla possibilità di un incontro caldo - quello di Otto e Julia, per l'appunto in una sauna - e, infine, alla riunione in un unico spazio, che è però più concentrazionario che unitario e familiare e dal quale si può uscire solo ritagliando un rettangolo che sia schermo dei sogni e permetta di guardare quel mare che l'Ungheria non bagna da nessun lato. In un percorso circolare ed estetizzante, che si apre e si chiude con un'aggressione.
Cerebrale, deciso a colpire a tutti i costi lo spettatore, fiero della propria presunta scomodità, Adás è anche e per questo un'opera vanagloriosa e congelata, un esercizio di stile coerente e riuscito ma di cui non ci arriva la voce, perché parla innanzitutto a se stesso.