La fornaia di Monceau

Film 1962 | Cortometraggio 23 min.

Titolo originaleLa Boulangère de Monceau
Anno1962
GenereCortometraggio
ProduzioneFrancia
Durata23 minuti
Regia diEric Rohmer
AttoriClaudine Soubrier, Barbet Schroeder, Michèle Girardon .
MYmonetro 3,10 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Eric Rohmer. Un film con Claudine Soubrier, Barbet Schroeder, Michèle Girardon. Titolo originale: La Boulangère de Monceau. Genere Cortometraggio - Francia, 1962, durata 23 minuti. - MYmonetro 3,10 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 7 maggio 2015

Consigliato sì!
3,10/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,19
CONSIGLIATO SÌ
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Recensione di Giancarlo Zappoli
Recensione di Giancarlo Zappoli

Parigi, area attorno al Parco di Monceau. È estate e la sessione di esami si presenta piuttosto impegnativa per il narratore, studente di legge. Egli ha così predisposto un piano di lavoro molto meticoloso. Esce dalla propria abitazione in rue de Rome solo per andare a cena, assieme all'amico Schmidt, alla casa dello studente. Sul Boulevard de Batignolles incontra regolarmente Sylvie (il nome lo apprenderà solo in seguito), una ragazza attraente e raffinata che torna dal lavoro in una galleria d'arte in rue de Monceau. Il narratore, che è un tipo riservato, non si lascia convincere dall'amico che lo invita a fermare la ragazza e a parlarle. Quando è ormai prossimo a decidersi, il caso gli viene incontro. Mentre sta per attraversare per raggiungere Schmidt che gesticola vistosamente, il protagonista urta proprio Sylvie. La ragazza accetta le sue scuse e la proposta di un incontro, che viene però rinviato a un momento migliore. A questo punto il narratore, non più confortato dalla presenza dell'amico, che ha lasciato Parigi per tornare a casa propria, spera di incontrare nuovamente la ragazza che sembra però essere scomparsa. Prende quindi la decisione di dedicare la pausa di mezz'ora per il pasto per cercarla. Allarga così il suo campo d'azione: dal mercato di rue de Levis a rue Legendre passando per Place de Levis, proseguendo poi per tue de Saussure fino a raggiungere l'appartata Lebouteux. Qui, per placare i morsi della fame, decide di concedersi delle paste secche che acquista in un forno. L'abitudine alla frequenza quotidiana gli consente di accorgersi di interessare alla graziosa commessa, Jacqueline. La ragazza non lo attrae più di tanto ma decide di assecondarne le attenzioni. Dall'invito a servirsi anche lei delle paste fino alla proposta di una serata da trascorrere insieme il passo è piuttosto breve. Proprio poco dopo aver avuto conferma della disponibilità di Jacqueline a uscire con lui, il narratore incontra Sylvie. La giovane donna era stata costretta in casa da un infortunio a una caviglia e aveva visto l'andirivieni dell'uomo dandogli un'interpretazione personale. Il narratore a questo punto rinuncia a qualsiasi mira sulla giovane fornaia ed esce a cena con Sylvie. Sei mesi dopo, ormai sposati, i due entreranno nel forno per comprare il pane. Jacqueline, come aveva già preannunciato, non è più lì.

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Giancarlo Zappoli
giovedì 18 settembre 2003

Prima Parte Una premessa "tecnica" che ci aiuta a comprendere come il "fare di necessità virtù" consenta ai veri maestri del cinema di non nascondersi dietro alle difficoltà ma di piegarle ai propri fini. Rohmer gira La fornaia di Monceau con una 16 mm a molla che ha una carica pari a 17 secondi utilizzabili. Ecco allora nascere l'esigenza di dare continuità a quella che avrebbe potuto sembrare un'eccessiva frammentazione del montaggio, lavorando sui campi e sui raccordi sull'asse. Rohmer, in questo cortometraggio che dà l'avvio alla sua prima serie rivela sin dalle prime inquadrature i segni di un'attenzione quasi maniacale alla sistematizzazione di uno spazio urbano al contempo reale e ideale e, con una breve constatazione, afferma ciò che esprimerà con ampiezza di particolari in L'ancien et le nouveau (intervista a cura di Jean-Claude Biette, Jacques Bontemps, Jean Louis Comolli in «Cahiers du cinéma», n. 172, 1965). Procediamo con ordine. La mappa visiva e sonora tracciata dal narratore in apertura di film sembra quasi nascere dalla mente di un documentarista che senta la necessità di fissare le coordinate entro cui muovere la propria indagine. Mostra invece uno dei suoi aspetti fondamentali nella chiusa della descrizione: «...a ovest il boulevard de Courcelles che porta al parco Monceau vicino al quale un cantiere occupa il posto della vecchia casa dello studente Cité Club. Lì andavo a cena tutte le sere quando studiavo legge». Rileggiamo ora il passo tratto dai «Cahiers»: «Una cosa mi ha colpito in Le Corbusier. Si diceva che si rammaricasse di non aver costruito nel cuore della città. Strana idea! Godard deplora forse che i suoi film non siano proiettati ai francesi e che Molière non sia radiato dal repertorio? Occorre un luogo per ogni cosa, e non sono certo i luoghi a mancare. Più si rispetta il passato, più si spiana la strada al moderno. L'estremo conservatorismo e l'estremo progressismo sono fratelli. Se si demoliscono a poco a poco le case di Parigi, se si spianano progressivamente le sue strade, non si costruirà mai niente di molto nuovo. Al contrario, se ci si proibisce assolutamente di distruggere qualunque cosa, se si mette un freno all'ipertrofia delle zone periferiche, sarà giocoforza, come diceva Alphonse Allais, costruire ville in campagna. Ed è in fede mia molto più saggio, normale, razionale». La sintonia è perfetta. Si badi bene: non c'è ombra di pseudoromanticismo in questa esigenza, nessun rimpianto dei "bei tempi andati" né sul piano della memoria personale né, tantomeno, su quello politico. Parigi è, da subito, una città da percorrere, da misurare a piedi (come accadrà tematicamente in Place de l'Étoile e in Incontri a Parigi) ma le sue pietre non sono più "sporche" come in Il segno del Leone. I suoi boulevard non sono più strade in cui perdersi ma spazi in cui imbattersi, tra metodo e casualità, nell'altro.

Quasi simultaneamente Rohmer fissa il tempo della narrazione e il tempo dell'azione. Quell'«occupa oggi» ci spiega da subito come il narratore conosca particolari della vita di Sylvie (il cui nome di battesimo, a differenza di quello dell'uomo, ci viene immediatamente comunicato) che, non essendogli noti all'epoca, lo costringevano alle ricerche che stanno per esserci raccontate. Viene però anche evidenziata l'ora (indice di una puntualità quasi "kantiana") dell'incontro serale. Questo doppio livello, già presente nella versione letteraria, consente una forma di sdoppiamento che conferisce alterità a uno sguardo che segue "da fuori e da oltre" vicende occorsegli personalmente ma ormai decisamente lontane e controllabili. L'estrazione sociale del primo studente di Rohmer (altri seguiranno) è medio-borghese sia sul piano economico (a differenza dell'amico Schmidt lui non lascia Parigi) sia, soprattutto, sul piano dei comportamenti. Se proprio Schmidt potrebbe ancora conservare qualche lontana parentela con il flaneur Wesselrin (è forse un caso che i loro cognomi siano "non francesi"?) nell'autoproporsi quale chaperon dell'amico, all'anonimo narratore vengono da subito attribuiti atteggiamenti e pensieri rigidamente autocontrollati. «Non era certo una ragazza da farsi abbordare così per strada e questo tipo di approccio non era nel mio stile». L'amore non è per lui sconvolgimento delle prospettive ma deve forzatamente inserirsi in un piano preordinato. Dopo che il caso gli ha consentito di parlare con l'oggetto del suo desiderio ma lo ha anche subito sottratto al suo sguardo (mentre, come scopriremo più avanti, non ha sottratto lui a quello di lei) la sua riflessione è la seguente: «Benché fossi innamorato, l'idea di sottrarre tempo allo studio per mettermi alla ricerca di Sylvie non mi sfiorava nemmeno. E visto che l'unico momento libero che avevo era quello dei pasti rinunciai a mangiare». Si noti come, a differenza del suo predecessore americano, ridotto a cercare di arpionare una brioche inzuppata d'acqua della Senna, il narratore si trovi in una condizione ben diversa: può decidere di non mangiare. Qui si sviluppa un percorso sul cibo in Rohmer ricco di sviluppi apparentemente secondari che meriteranno però, di volta in volta, una sottolineatura. Le paste acquistate dalla fornaia non sono solo un pretesto narrativo ma acquisiscono addirittura valenza comunicativa nel momento in cui divengono segnale di accettazione o meno dell'invito. (Si veda in proposito l'analisi della pasticceria rohmeriana condotta da Sandra Festi nel volume Eric Rohmer in lingua italiana, a cura di Anita Licari, 1994).

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Giancarlo Zappoli
giovedì 18 settembre 2003

Seconda parte
È proprio da uno sguardo rivolto al cibo che prende avvio quella che potremmo definire la seconda parte del breve film. Jacqueline entra in campo, così come il protagonista all'inizio, non come un corpo ma come una voce. Se l'ex studente di legge ci ha reso partecipi di una sua storia è ora lui a inserirsi in quella della fornaia e dello sconosciuto Jacques che lamenta (ed è il massimo della recriminazione in un cinema di parola come quello rohmeriano) di non poterle nemmeno parlare, ricevendo una vaga promessa per un appuntamento che lui fissa "alle otto" e a cui già sappiamo che lei non andrà. Specularmente le toccherà la stessa sorte con il narratore. Ma è su ben altro sguardo che va fissata l'attenzione. Un regista come Rohmer, sempre estremamente attento alla "naturalità" della collocazione della macchina da presa, si consente qui un'inquadratura anomala che troverà una spiegazione solo successivamente. Nel momento in cui il narratore esce dal negozio viene ripreso dall'alto con una breve panoramica. Le sue parole sono rivelatrici: «Quelle paste non erano né meglio né peggio di quelle che avrei trovato in un altro forno. Sono fatte industrialmente. Le vendono dappertutto. Ma da una parte la strada deserta mi consentiva di mangiarle tranquillamente, senza essere visto da Sylvie...». Si può avanzare l'ipotesi di un disvelamento hitchcockiano anticipatore della rivelazione finale da parte della ritrovata Sylvie. Molto interessante è anche il modo in cui si manifesta il contatto fisico dell'uomo con i corpi delle due donne coinvolte nel suo gioco. Se con chi condivide la stessa condizione sociale (Sylvie) si tratta di uno sfiorarsi tra pari, è il passaggio di denaro (elemento fondamentale di discriminazione nel film precedente) dalle mani dello studente a quelle della ragazza a marcare (in dettaglio e seguito da un primo piano eloquente di lei) la distinzione tra chi dà (e può decidere se dare o meno) e chi riceve. «...Il fatto di piacere a una ragazza mi sembrava scontato. Non era il mio tipo. Sylvie le era mille volte superiore. E fu proprio perché ero molto innamorato di Sylvie che accettai la corte, perché così era, della fornaia». E più oltre: «Quello che mi sconvolgeva non era il fatto che io potessi piacerle ma che lei in qualche modo pensasse di piacere a me». Una superiorità assoluta e incondizionata quella dell'uomo che, forse perché teme la sua apparente remissività, incrementata anche dalla giovane età (diciotto anni del 1962), ritiene di doverla "punire" per un'opera di seduzione di cui si ritiene oggetto. È la sua voracità a intimorirlo e a spingerlo alla scelta "morale" che definisce come segue: «Ritrovata Sylvie continuare con la fornaia sarebbe stata, peggio che un vizio, un'aberrazione. Una era la mia verità. L'altra l'errore. Almeno al momento fu così che mi sembrò la cosa». In un finale apparentemente chiarificatore e che invece si rivela come lucidamente depistante, Rohmer riapre il film. Con quell'«almeno al momento» non dà una risposta definitiva, neppure a distanza di tempo, all'implicito interrogativo del suo protagonista. Marca poi ulteriormente la differenza tra le due donne: Sylvie è a tavola al ristorante La Pergola aperto notte e giorno ma, per quanto ordini anche la torta dello chef, non vediamo un solo boccone entrare nella sua bocca. Non era così, lo abbiamo già notato, per Jacqueline. L'ambiguità di due battute pronunciate da Sylvie, una sottolineata dal commento del narratore e l'altra quasi "buttata via", è poi magistrale. «Ho visto tutto» e «Conosco i suoi vizi» divengono l'instabile base su cui si costituirà una coppia che la macchina da presa attende nel negozio dove l'unico rapporto ormai possibile è quello di consegnare merce in cambio di denaro. I teorici dell'istituto matrimoniale come scambio di prestazioni "protette" all'interno di una società capitalistica hanno un nuovo sostenitore.

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PUBBLICO
RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
venerdì 17 giugno 2011
Le braconnier

Perché ci si interessa a una donna e non ad un'altra ? E' un trasporto emotivo che ci conduce ad essa o un mero calcolo della mente? Eric Rohmer sembra propendere decisamente per quest'ultima ipotesi. Presentato assieme a "La carriera di Suzanne" nello stesso dvd, le due pellicole hanno un canovaccio molto simile: il protagonista infatti è in cerca di una donna, ne incontra una seconda che cattura [...] Vai alla recensione »

martedì 24 agosto 2010
fedeleto

Dopo l'esordio "NEL SEGNO DEL LEONE" rohmer firma il primo dei suoi sei racconti morali ove come cardine vi e' la morale di rispettare le prorpie scelte e i propri sentimenti.La trama parla di un ragazzo che incontra sempre una graziosa ragazza sulla strada parigina ,e se ne innamora perdutamente,ma non appena la perde di vista oramai per giorni decide di vagare per le strade di parigi [...] Vai alla recensione »

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