Titolo originale | El prófugo |
Anno | 2020 |
Genere | Thriller |
Produzione | Argentina |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Natalia Meta |
Attori | Erica Rivas, Cecilia Roth, Nahuel Pérez Biscayart, Daniel Hendler, Agustín Rittano Guillermo Arengo. |
MYmonetro | 2,38 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 21 febbraio 2020
Un thriller psicologico sugli incubi di una donna in crisi di nervi e invasa da una presenza che s'impossessa della sua voce.
CONSIGLIATO NÌ
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Doppiatrice e cantante in un coro, l'argentina Inés vive un'esperienza traumatica durante una vacanza all'estero con il fidanzato. Tornata a Buenos Aires si ritrova in un profondo stato di stress, ossessionata dagli incubi e perseguitata da un difetto nella voce percepito sia dai microfoni dello studio sonoro in cui lavora, sia dal direttore del coro. Poco alla volta Inés cade in uno stato di paranoia che la porta a confondere realtà e illusione e a credere che le persone della sua vita - in particolare la madre Marta e l'accordatore d'organo Alberto - siano in realtà delle creature oniriche. Forse Inés è stata invasa da un corpo esterno, un profugo che spinge per impossessarsi di lei.
Liberamento ispirato al romanzo dell'orrore "Il male minore" di Carlos Eduardo Feiling, un thriller psicologico che esplora le dinamiche del desiderio e il rapporto con l'alterità di una donna nel pieno di una crisi di nervi.
Il riferimento ad Almodóvar non è casuale: fin dalla prima sequenza, che mostra Inés doppiare un horror giapponese recitando battute ed emettendo gemiti di dolore e piacere, El prófugo riutilizza il materiale del regista spagnolo in modo deliberatamente audace. Non solo: il lavoro con il suono dell'argentina Natalia Meta, all'opera seconda dopo Morte a Buenos Aires, tra tracce audio registrate, sezionate e scomposte, ricorda inevitabilmente Blow Up, o la sua rielaborazione depalmiana Blow Out, per come ricerca negli angoli ciechi della materia una realtà invisibile all'occhio e inascoltabile all'orecchio.
Il titolo è chiaro: El prófugo è un film sull'altro che è in noi; sul mostro che corre sotto le lenzuola, che risale il corpo e lo invade. In Légami era un sommozzatore giocattolo a infilarsi fra le gambe di una donna, qui è una protuberanza invisibile, una sorta di «alien» indefinito e riconducibile ai desideri e agli incubi di una donna in stato di stress post-traumatico ancora prima dell'evento che ne scombussola l'esistenza.
La sovrapposizione di immagini e corpi, con le sequenze dei film doppiati che si stagliano su volti e sagome in controluce e i personaggi che scompaiono e ricompaiono da angoli imprevedibili delle inquadrature, replicano in forma visiva la confusione mentale di Inés, sospesa in una condizione d'incertezza in un mondo rappresentato sempre in forme realistiche. La dissociazione psichica del personaggio, così, non arriva mai a invadere le immagini: l'invasione del profugo resta una condizione interiore, soggettiva.
E se la metafora dal sapore politico si adatta al cinema di genere evocato anche nei toni autoironici del film, l'ambizione che giustifica la presenza di El prófugo in concorso alla Berlinale 2020 allarga i confini anche al ritratto psicologico: Inés è una donna di mezza età senza amore e senza personalità, sempre definita dello sguardo degli altri (del fidanzato che le chiede di guardarlo, dei personaggi dei film che doppia che la fissano dallo schermo) e bisognosa dell'altro che in sé per svelare sé stessa, la parte femminile come quella maschile, il profilo destro come quello sinistro, la paura come il piacere.
Non c'è nulla d'incerto, per lo spettatore, in El prófugo. L'abile costruzione onirica della prima parte si dipana in maniera scontata nella seconda, evocando altre reminiscenze (Inés potrebbe essere un personaggio di Sebastián Lelio), riconducendo ogni presenza inquietante a una liberazione della mente che deve per forza passare attraverso il corpo e accontentandosi, in definitiva, di rendere incerto l'equilibrio fra realtà e apparenza, suono e rumore, presenza e assenza.
Inés è doppiatrice e membro di un coro femminile: ama far ascoltare la sua voce, ma non per dire le fatidiche parole che il suo nuovo compagno vorrebbe sentire. Il "ti amo" le resta strozzato in gola, perché la relazione finisce in modo violento, e ora Inés ha gli incubi, si sveglia dentro altri sogni e la sua voce fa cilecca. Dal suo corpo emana un rumore, in lei c'è un intruso, ma è davvero così [...] Vai alla recensione »
Inès, soprano in un coro e doppiatrice nel cinema, a causa di un evento traumatico, comincia ad avere degli incubi, non riuscendo più a stabilire sogno e realtà. Forse un'entità si sta impossessando del suo corpo, modulando la voce a suo piacimento. Un new horror dai riferimenti alti, che vanno da Almodóvar a Zuawski, che pone l'inquietudine al centro dell'espressione del corpo, ma quando deve arrivare [...] Vai alla recensione »
Le voci ci circondano quasi in ogni istante della vita. Il modo in cui una persona parla può rivelare un'infinità di declinazioni espressive. E anche Inés (Érica Rivas) deve padroneggiare questo vastissimo repertorio di colori vocali. È un'attrice, cantante e doppiatrice che vive a Buenos Aires. Ha una relazione con Leopoldo, un uomo bello e insopportabile, interpretato in modo convinvcente da Daniel [...] Vai alla recensione »
A 6 anni dal successo del suo precedente Muerte en Buenos Aires, piccolo cult in patria con Demián Bichir, la cineasta argentina Natalia Meta tenta un'operazione a metà tra gli esperimenti in stile Berberian Sound Studio, e le esploriazioni delle vibrazioni del corpo femminile che abitano certo cinema festivaliero recente come Fugue di Agnieszka Smorczynska o l'ultima fase di Sebastián Lelio, per dirne [...] Vai alla recensione »