Kim Ji-young: Born 1982

Film 2019 | Drammatico 120 min.

Anno2019
GenereDrammatico
ProduzioneCorea del sud
Durata120 minuti
Regia diKim Do-Young
AttoriJung Yu-mi, Gong Yoo, Mi-kyung Kim (II), Gong Min-Jung .
TagDa vedere 2019
MYmonetro Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 1 recensione.

Regia di Kim Do-Young. Un film Da vedere 2019 con Jung Yu-mi, Gong Yoo, Mi-kyung Kim (II), Gong Min-Jung. Genere Drammatico - Corea del sud, 2019, durata 120 minuti. Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Ultimo aggiornamento sabato 6 giugno 2020

Una donna vive una vita comune e tranquilla fino a quando non comincia a comportarsi come altre persone a lei vicine.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Un film travolgente che esplicita la volontà di trattare tematiche incisive, soprattutto per l'identità femminile.
Recensione di Ramon Guevara
giovedì 24 ottobre 2019
Recensione di Ramon Guevara
giovedì 24 ottobre 2019

Kim è una donna come tante; dopo aver studiato letteratura coreana ed aver accantonato il sogno di diventare scrittrice, comincia a lavorare per un'agenzia di marketing. In seguito a una gravidanza si trova costretta a lasciare il proprio impiego per badare alla figlia; inizia così a soffrire di depressione post-partum, patologia che sconvolge l'ordinarietà delle sue giornate senza che lei stessa abbia modo di rendersene conto.

Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Cho Nam-joo, disegna un lungo percorso attraverso il quale la protagonista cercherà di riappropriarsi della sua identità di donna, vessata dalle discriminazioni di genere.

Esplicita è la volontà di trattare tematiche incisive quali la malattia mentale, il contesto sociale come fattore scatenante dei disturbi psichici, il ruolo della donna nella famiglia, la discriminazione di genere sul luogo di lavoro. Com'è chiaro, si pone l'accento sul ruolo di donna, rappresentato come una pesante eredità tramandata di madre in figlia. Eredità da custodire, certo, ma ancor di più da cui riscattarsi: Kim incarna la sentita necessità di un'autoaffermazione che vendichi i sacrifici che la madre e la nonna sono state costrette a compiere per lei.

I personaggi femminili che gravitano attorno a Kim sembrano dunque divisi tra chi ha sacrificato la propria vita ai familiari (indossando il magro vestito delle aspettative che gli altri ci cuciono addosso) e chi ha dedicato la propria esistenza ad affermarsi nonostante gli altri. Al primo gruppo appartiene la madre di Kim, un personaggio incredibile, che compie questa scelta per amore e non per arrendevolezza (senza tale dettaglio, pare impossibile capire la forza trasmessa alla figlia nella costante battaglia per l'emancipazione). Al secondo il capo della protagonista, una madre in carriera che a testa alta si barcamena tra le spinte che tentano di affondarla.

C'è quindi chi difende a spada tratta i diritti della donna, regalandoci tenere scene di solidarietà femminile, capaci di stemperare il senso di frustrazione che attraversa la pellicola; c'è chi sta dalla parte dei carnefici, inasprendo i toni di una battaglia che pare perduta in partenza.

La protagonista Kim Ji-Young rimane il personaggio più interessante: pur nella sua irriducibile compostezza, non cessa di dimenarsi nell'asfissiante ragnatela che è il sistema sociale e familiare in cui è intrappolata, e continua imperterrita a dibattersi nella morsa di un disturbo depressivo che non accetta di avere. Un'eroina imperfetta e pertanto ancora più realistica.

Il film rischia però di banalizzare alcuni aspetti legati alla battaglia femminista: grava particolarmente la piattezza psicologica dei personaggi maschili. Un'imperdonabile approssimazione, che riduce in maniera irrealistica il complicato - e pertanto ancora più difficile da sradicare - spettro argomentativo della mentalità patriarcale e maschilista. Alcuni motivi, oltre ad essere ripetuti allo sfinimento (si vedano le scene di donne in cucina, i primi piani sul cibo, la continua insistenza sul diverso trattamento delle donne sul luogo di lavoro), scadono nel cliché, incapaci di toccare nodi più interessanti della discriminazione di genere. Si semplifica poi eccessivamente l'inconciliabilità tra i due orizzonti: se questo appiattimento può risultare fastidioso e ripetitivo - fuori tempo massimo per il pubblico europeo, da tempo abituato a vedere certe dinamiche su grande schermo -, rende tuttavia molto bene l'irrisolvibilità della vicenda rappresentata: viene da chiedersi se non sia quasi necessario, guardando all'attuale situazione di discriminazione di genere in Corea del Sud. Un peccato veniale, che non impedisce di godere di un film dal ritmo scorrevole, estremamente travolgente, che forse - proprio nei suoi difetti - può farci sentire grati delle conquiste raggiunte.

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