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Rassegna stampa di Russ Meyer

Russ Meyer (Russell Albion Meyer). Data di nascita 21 marzo 1922 ad Oakland, California (USA) ed è morto il 18 settembre 2004 all'età di 82 anni a Los Angeles, California (USA).

ROBERTO SILVESTRI
Il Manifesto

Figlio di un poliziotto e di una infermiera, a 12 anni girava già con una 8mm Univex. Fotoreporter di guerra in Europa, anche nel lager nazisti e poi specializzato in ben altri corpi nudi, lavorò come fotografo di scena a Hollywood (Bulli e pupe e Il gigante) prima di diventare un filmaker unico e indipendente. Insostenibili le sue immagini, mai hardcore, ma indagatrici fin dentro l'invisibile del groviglio violenza-sesso che avviluppa l'America. Così come intrasportabile è il suo recente e triplice libro di memorie A Clean Breast: The Life and Loves of Russ Meyer, con mille fotografie virate in seppia inaccessibile per l'ultracosto. Meyer ha vissuto con molte modelle, playmates, spogliarelliste e attrici. Come Fela Kuti, era un po' il confidente-amico-liberatore delle ragazze stritolate dallo show business del sesso. E tutto si potrà dire di lui tranne che non sia stato un coraggioso e barocco fecondatore di forme. Cineasta radicale, ma anche meravigliosa persona, sempre dalla parte del movimento di liberazione dei guardoni, dallo humor irresistibile e dalle esplicite monomanie, era dotato di uno sguardo lucido e implacabile sul mondo, da predicatore laico. Fu perfino semiamico di Sid Vicious, anche se poi The grat rock'n'roll swindle lo finì Julian Temple. Quando Meyer fu invitato a Riminicinema per una retrospettiva tardiva, volle acquistare il cappello nere a larghe falde da regista, «come quello di Fellini», che amava molto e sentiva affine. Come lui non accettò mai compromessi e adorava le tette gigantesche, come vediamoqui accando nel «pink movie neorealista» Lorna. Contadine e antiche e terragne, le riminesi. Rifatte e gigantescamente siliconate quelle pop scoperte nei «totally nude club» di San Francisco e Ellei (poi Mosca) da Meyer. Eppure alle origini c'è l'identica reazione indignata e postbellica, la stessa replica vitale d'immaginario «tondo morbido e disneyano»: fabbricare forze feconde della natura per opporsi alla disincarnazione forzata del mondo. In fondo la silhouette di Gandhi nello spot di Spike Lee per Telecom è la «sigla» stessa dei crimini dell'Occidente, e non solo del nazismo, contro l'umanità. Altro che scontro di civiltà.

ROBERTO NEPOTI
La Repubblica

Oltre a farsi ricordare come il più indipendente di tutti i registi indipendenti americani, Russ Meyer è stato il perfetto rappresentante dell’equazione psicanalitica complesso di Edipo-passione per i grandi seni, che sono diventati una sorta di “marchio di fabbrica” di tutti i suoi film, caratterizzati proprio dalla costante presenza di donne “supermaggiorate”. A Rimini, durante una personale dedicatagli negli anni 80, aI centro della stanza d’hotel di Meyer campeggiava una cornice con la foto di sua madre, antica infermiera (il padre era poliziotto).

EMANUELA MARTINI
Film TV

Il “Washington Post“ una volta lo definì «praticamente, un’istituzione americana».
I suoi film (una trentina, che lui ha sempre scritto, prodotto e diretto, e spesso fotografato e montato) non hanno mai perso una lira, tranne pochissimi fallimenti finanziari, dovuti però alle interferenze di altri produttori. The Immoral Mr Teas, la storia di un ometto che ha il dono biologico di vedere nuda ogni donna che incontra, con la quale nel 1959 Russ Meyer irruppe nel panorama dei softcore americano, costò 24.000 dollari e incasso più di i milione e mezzo di dollari e, secondo il “Wall Street Journal“, in un anno ispirò almeno 150 imitazioni. Dieci anni dopo, uno dei suoi film più celebri, Vixen, il nome della protagonista, la moglie ipersessuata di un pilota che fa l’amore con tutti i personaggi che incontra nel corso della storia, impastata anche di antirazzismo e di coscienza politica, riportò a casa 7 milioni e mezzo di dollari (contro un investimento di 76.ooo dollari) e apri a Meyer le porte della Hollywood maggiore. Infatti, la 2oth Century Fox gli offrì di scrivere (insieme al critico Roger Ebert) e dirigere il sequel di La valle delle bambole, il film del 1967 di Mark Robson tratto dall’omonimo bestseller di Jacqueline Susann. E, per quanto il film di Robson era laccato e incolore, tanto Beyond the valley of the Dolls di Meyer film esplosivo, impudico, ironico (e a nulla valsero le minacce di querela della scrittrice indignata). Di tutti gli indipendenti che proliferano dagli anni 40 nei sottosuolo del cinema americano (non solo quelli “intellettuali“ di New York, ma anche intorno a Hollywood e lungo tutta la California, in città sperdute del Texas e della Fiorida o nei quartieri altoborghesi di Baldmora, come John Waters), Russ Meyer, è stato probabilmente, insieme a Roger Corman, il più famoso.

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