Sto correndo su quel tratto, unico, scintillante, che da Santa Margherita porta a Portofino. Superato il Covo mi si affianca un uomo con cuffia e tuta rosse. Procediamo per un po’ appaiati, poi lui allunga, riesco a seguirlo per un centinaio di metri prima di perderlo di vista. Alla curva della baia di Paraggi lo vedo seduto a un tavolino del bar, che sta facendo colazione. Anch’io, d’abitudine mi fermo là per un caffè. Siedo al tavolo vicino a quello dell’uomo dalla tuta rossa. È Kirk Douglas. L’occasione è troppo ghiotta. Mi presento: “È un onore”. Non è subito gentile. Poi, forse, trovo la battuta giusta, “lei corre come recita”. Allora sorride. Aggiungo: “Ho letto da poco il suo libro 'Il figlio del venditore di stracci'”. Ho toccato il tasto giusto. Mi fa segno di sedere. Il quell’anno era venuto in Italia a presentare il libro, ospite al “Maurizio Costanzo”. Le domande erano quelle del talk: il solito gossip: le dive nel suo letto. A un certo punto si scocciò “sono qui per il mio libro, altrimenti posso andarmene”. Insomma è diffidente. Mi chiese “Cosa ti è piaciuto?”. Fui pronto: “Quando lei è a una cena e all’improvviso le si spegne la luce. Quando riapre gli occhi vede una decina di camici bianchi che la osservano. Stanno discutendo sul bypass che devono applicarle... ha  funzionato quel bypass”. Così cade la diffidenza e per qualche minuto parliamo di lui e di cinema. Ricordo che disse che amava l’Italia e tornava sempre volentieri, da quell’anno (il 1954) quando aveva fatto Ulisse.  

In Sfida all’O.K. Corral Kirk Douglas è Doc Hollyday, il medico pistolero alcolizzato amico dello sceriffo Wyatt Earp, Burt Lancaster. Douglas ha un accesso di tosse, Lancaster gli dice “se smettessi di bere camperesti cent’anni”. Ebbene, Douglas, è arrivato a 103, bevendo. 

L’attore ha attraversato sette decenni di cinema. L’epoca che più lo identifica sono gli anni Cinquanta. In quelle stagioni Kirk era nei western superclassici, come Il grande cielo e L'O.K. Corral, è stato il giornalista cinico ne L’asso nella manica, il produttore senza scrupoli ne Il bruto e la bella, è stato Ulisse, Van Gogh in Brama di vivere l’ufficiale eroe in Orizzonti di gloria. Infine il film che forse più lo rappresenta, Spartacus, dove l’attore era anche produttore. E come tale dovette vedersela col regista più rognoso della storia del cinema, Stanley Kubrick. Douglas diceva: “Stanley mi ha tolto qualche anno di vita”. Sappiamo adesso che non è così.

La storia di Spartacus viene raccontata nel film L’ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, lo sceneggiatore coinvolto nella vicenda della caccia alle streghe, che nessuno faceva più lavorare. Douglas, coraggiosamente lo impose. Il regista Jay Roach scovò un attore, Dean O’Gorman, che faceva Douglas, copia impressionante dell’originale. Sembrava davvero di rivedere Douglas, quarantenne, in perfetta forma. 

Dunque era nato nel 1916. Fa impressione pensare a quell’anno. Francesco Giuseppe, quello di Sissi, era ancora vivo, si combatteva nelle trincee della Grande Guerra, Mussolini faceva il giornalista, Hemingway non aveva ancora pubblicato, si moriva di infezioni perché non c’era la penicillina. 

Sulla sua... permanenza, fisica e metafisica, è come se Kirk ci dicesse: “Intendo rimanere, fino a quando farete un film bello come il mio Spartacus”. Ecco, quasi 104 anni non gli sono bastati.