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Moviemov_Italian Film Festival, il diario di bordo della madrina Silvia D'Amico

L'attrice a Manila è stata la portavoce del nostro cinema all'estero. Ecco il resoconto della sua esperienza.
di Silvia D'Amico

Giorno 1, Il viaggio
venerdì 26 aprile 2019 - Festival

Io non ho paura, me lo ripeto come un mantra. È la mia prima esperienza intercontinentale in  assoluto, viaggiare mi provoca timori primordiali.  Sarò la Madrina del Moviemov a Manila: una bella occasione, oltre che una terapia d'urto. 
Io non ho paura, mi ripeto mentre il nostro volo fa scalo a Honk Kong e i nostri cellulari sono inondati da messaggi in cui parenti e amici che non sentiamo magari da 10 anni ci chiedono se stiamo bene. Se siamo ancora vivi. 
A Manila c'è stato un terremoto del grado 6.8 della scala richter. Ma noi siamo già oltre la metà del nostro tragitto. Ci rassicurano, tutto è tornato nella norma, gli aeroporti sono attivi e possiamo atterrare nella capitale filippina.

Io non ho paura, mi ripeto mentre usciamo dall'aeroporto. Il caldo e l'umidità che ci investono sono da non credere, ci trasportano in un'altra dimensione. Gli occhi sono spossati dalle poche ore di sonno ma spalancati dalla curiosità. Grattacieli altissimi sovrastano una giungla di persone, automobili e banchetti che vendono bibite o frutta esotica. C'è chi vive a due passi dal cielo, ancorato all'american dream, e chi fa parte di una tribù talmente radicata alla terra che camminare scalzi o riposare sdraiati per strada è nella norma.
Il van ci accompagna alla Cinémathèque di Manila. Io non ho paura, mi ripeto mentre  salgo sul palco e realizzo che il pubblico filippino aspetta solo di sentir parlare me, la "godmother".

Improvviso il mio discorso di apertura in un "funny english" e loro complici, mi sorridono. Mi  rilasso, le proiezioni hanno inizio e adesso mi accorgo che è una fortuna essere qui, io non ho più paura.


Giorno 2, Le scoperte

Il secondo giorno non comincia nel migliore dei modi. Alle 3 del mattino sono in pigiama nella hall dell'albergo. C'è stata un'altra scossa di terremoto, quella cosiddetta di assestamento. Dopo poche ore, assonnata salgo sul van con i miei compagni di viaggio, ormai diventati una banda. 

Ci ritroviamo a Intramuros, la città coloniale che sorge intorno a un forte militare. Al centro del patio c'è l'eroe nazionale, Rizal, che da il nome al nostro hotel, a una decina di strade e a improbabili cocktails. Josè Rizal è morto nel 1896 ma per gli abitanti è ancora vivo, come lo sono le anime che abitano il North Cemetery, più vive che mai. Abbandoniamo la città coloniale, attraversiamo il traffico della città vera ed entriamo nel cimitero di Manila. Tra una lapide e un mausoleo incontriamo bambini che giocano, donne che cucinano e motorini truccati. In questo cimitero i vivi sono 6000 e i morti non si contano. Con gli occhi pieni torniamo nel van perché alla Cinémathèque ci aspettano. Sono solo abbracci, applausi e selfie.


Giorno 3, L'arrivederci 

Il terzo giorno a colazione sono molto più riposata, e tra udon, pancake e frutti di mare dibattiamo sul Santo Niño, la più antica immagine sacra delle filippine. Senza indugio il van ci accompagna ad Oroqueta street. Una strada piena di negozi che vendono solo riproduzioni di santi in vetroresina. Al numero 3329 tra una statua di San Michele Arcangelo e un Cristo Redentore altezza uomo, lo troviamo. Il Santo Niño è un Gesù come non lo abbiamo mai visto, un bambino paffuto di 5 o 6 anni con allegato un corredo di vestiti intercambiabili dai colori sgargianti.

Dopo tre ore e infinite trattative abbandoniamo Oroqueta street con il van pieno di statuine di tutte le dimensioni. Il dovere ci chiama, torniamo alla Cinémathèque per il saluto della delegazione al pubblico filippino. È arrivato il momento del discorso di chiusura della madrina di questa edizione del Moviemov. Mi chiamano sul palco e non so più se la vampata che sento è dovuta dal caldo che ho accumulato durante il giorno o dall'emozione. Afferro il microfono con finta disinvoltura. 

"Grazie per essere qui. Per avermi dimostrato che non c'è un unico modo di stare al mondo. Per avermi insegnato che la frenesia di una megalopoli può convivere con la purezza, che un terremoto non può fermare il viaggio, che si può giocare pure in un cimitero e che Gesù Bambino può avere anche sei anni."
Avrei voluto dire tutto questo nel mio discorso da madrina, invece dopo il saluto istituzionale, abbiamo cenato tutti insieme e cantato le loro e le nostre canzoni. Meglio così, il mio non voleva essere un addio, ma un arrivederci.
A presto Manila
Magkikita na tayo mamaya Manila.


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