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Tripletta sudcoreana al Far East 17: vince Ode to My Father

Il film diretto da JK Youn si aggiudica il Gelso d'Oro.
di Emanuele Sacchi

In foto una scena di Ode to My Father.

domenica 3 maggio 2015 - Far East Film Festival

L'edizione 17 del Far East si chiude nel segno della continuità di una solida tradizione, riuscendo a cementare ulteriormente il proprio rapporto con pubblico e territorio. Ancora una volta più forte della crisi o delle possibili difficoltà dovute all'"emancipazione" di autori un tempo coccolati dal festival e transitati sui lidi dei festival più prestigiosi. Un anno che ha visto la presenza straordinaria in apertura di Jackie Chan e del suo Dragon Blade, di Hisaishi Joe e del suo concerto sold out in un amen; o la chiusura affidata al sensazionale The Taking of Tiger Mountain del maestro Tsui Hark, e la comparsa nel programma di film non orientali, grazie alla partnership stretta con il Sitges Festival, che gli organizzatori hanno già annunciato di voler proseguire
. Il pubblico, unico signore e padrone del palmares, ha sentenziato, a costo di far storcere il naso ai critici. Dopo la vittoria nel 2014 di un film in odore di revisionismo come The Eternal Zero, tratto dal romanzo di un autore vicino a Shinzo Abe, nel 2015 è Ode to My Father, considerato un compendio dei valori esemplari di patria e famiglia da un membro del governo sudcoreano, ad aggiudicarsi il Gelso d'Oro del Far East Film Festival di Udine. Non sono, ovviamente, simpatie destrorse per le politiche di Paesi lontani a determinare un simile verdetto, bensì un fenomeno peculiare di tutt'altra natura. Attraverso diciassette edizioni Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche hanno infatti perfezionato una macchina stupefacente e con una personalità ben definita, tale da rendere l'enclave degli spettatori delle serate udinesi così vicina alla sensibilità dell'Estremo Oriente da premiare il cinema che più parla alla pancia di quei popoli. Ode to My Father, una sorta di Forrest Gump sudcoreano vibrante di retorica nazional-popolare, è un film destinato a un successo inarrestabile all'interno dei propri confini e a chance quasi nulle di essere esportato. Ma il pubblico del Far East, addestrato da anni di visioni del cinema popolare di quei luoghi, è ormai mutato geneticamente fino a diventare più coreano dei coreani (per la Corea del Sud podio completo quest'anno e 8 vittorie su 17 edizioni), soddisfacendo in fondo l'obiettivo che il festival si è sempre prefissato, quello di diversificare la propria proposta rispetto ai festival tradizionali, concentrati sul cinema d'autore.
Detto del trionfo coreano - The Royal Tailor al secondo posto, My Brilliant Life al terzo - il Black Dragon Award, premio dei più affezionati sostenitori del festival, è andato a The Last Reel di Sotho Kulikar, un'opera preziosa anche al di là dei meriti artistici: un alito di vita insperato per una cinematografia, come quella cambogiana, cancellata umanamente e materialmente dalla follia totalitaria. Toccante il discorso di ringraziamento della regista, almeno quanto i titoli di coda del film, popolati dai volti di uno star system falcidiato dagli Khmer rossi. The Royal Tailor, film in costume su un sarto di corte della dinastia Joseon, si aggiudica anche il MYmovies Award, votato sul nostro sito, a dimostrazione che la lunga standing ovation in sala non era un caso. E l'anno prossimo arriva la maggiore età, per un festival che ha smesso già da tempo i calzoni corti da ragazzino.

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