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Berlinale 2015, il cinema asiatico al festival

Il concorso ospita tre opere provenienti da Cina, Vietnam e Giappone.
di Gabriele Niola

In foto una scena del film in concorso Big Father, Small Father and Other Stories di Dang Di Phan.

venerdì 13 febbraio 2015 - News

Concentrato quasi tutto negli ultimi giorni della Berlinale il cinema asiatico ha portato una ventata di novità nella manifestazione come non capitava di vedere dai primi anni 2000. Tecnici, storici, arrabbiati, teneri e con idee divergenti dal resto delle opere viste, il cinema che viene dall'oriente di quest'anno è una vera boccata d'aria fresca.
Il concorso ospita Cina, Vietnam e Giappone con tre opere molto diverse fra loro. Big Father, Small Father and Other Stories è la più canonica (per noi occidentali), mette in scena con un filo di umorismo stralunato e molto stile austero il rapporto di alcuni ragazzi nel Vietnam di oggi con particolare attenzione alle dinamiche di sopruso economico e la difficile accettazione dell'omosessualità ma mescola acqua e terra in maniera mai vista. Tutto il contrario di Gone With the Bullets, la nuova incredibile e barocca opera di Jiang Wen, la maniera più caotica, comica, grandiosa e opulenta di narrare un fatto di cronaca vero (un famoso omicidio avvenuto nella Shanghai degli Anni Venti) che già fu alla base del primo film della storia della Cina. Il cinema serio che fa le cose meno serie, Baz Luhrmann rimescolato per arrivare a suggerire quel che altrimenti non sarebbe possibile. In Europa un cineasta così non lo abbiamo. Infine l'ultimo film asiatico del concorso, Chasuke's Journey, prende un'idea molto occidentale (Dio ordina a degli angeli di intervenire nella vita di qualcuno) e la rimescola assecondando il tono del cinema meno conciliante che viene dal Giappone.
Curiosamente invece la sezione Panorama propone due film storici, entrambi ambientati durante la guerra e molto aderenti al tema della paternità. In Ode to my Father, ambientato durante la guerra che divise la Corea, un bambino di 12 anni che scappa con la famiglia dal Nord al Sud del paese perde sorella e padre e rimane l'unico a potere (e dover) badare al resto della famiglia nel meno semplice dei contesti.
Dall'altra parte Paradise in Service è un'opera taiwanese di rara poesia, prodotta da Hou Hsiao-Hsien che ha aperto l'ultimo festival di Busan. L'ambientazione è all'inizio della guerra di Taiwan contro la cina Maoista, al conflitto sul fronte però il film preferisce il posto più tranquillo e riparato dalla battaglia, un bordello di stato, un luogo gestito dagli stessi militari in cui i soldati potevano alzare il loro morale. Il protagonista è un candido ragazzo più interessato ai sentimenti che al sesso, messo a lavorare lì proprio per questo motivo. Intorno a lui girano piccole e grandi storie di prostitute incattivite, meschine o angeliche, di commilitoni disperati e superiori che vengono trattati come padri. Con un velo di retorica del cinema Paradise in Service narra benissimo la guerra che spacca le famiglie e uccide le persone logorandole anche lontano dal conflitto.

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