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La politica degli autori: Ettore Scola

Con un film su Fellini, torna in sala uno dei maestri della commedia all'italiana.
di Mauro Gervasini

In foto Ettore Scola.
Ettore Scola 10 maggio 1931, Trevico (Italia) - 19 Gennaio 2016, Roma (Italia). Regista del film Che strano chiamarsi Federico - Scola racconta Fellini.

martedì 10 settembre 2013 - Approfondimenti

Il nuovo film di Ettore Scola Che strano chiamarsi Federico, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia e nelle sale dal 12 settembre, rappresenta la figura di Fellini e l'amicizia tra i due cineasti in modo poetico e magico. Soprattutto, racconta di un'Italia dove se avevi talento e bussavi a una porta qualcuno ti apriva. Potrà sembrare strano che si cominci una "politica degli autori" dedicata a un regista complesso e già parecchio celebrato come Scola da questa constatazione di costume sociale, eppure nell'avventura di Federico Fellini prima, e di Ettore poi, provinciali a Roma in giovanissima età (diciannovenne il primo, addirittura sedicenne il secondo) sta tutto il senso di un cinema civile (un tempo si sarebbe detto: «impegnato»). Federico arriva a 19 anni da Rimini, si presenta alla redazione del giornale satirico "Marc'Aurelio" con i suoi bozzetti e le sue storielle, persone come Metz, Marchesi e Steno lo accolgono e lo fanno lavorare come in una qualunque bottega artigiana. Dopo la guerra accade lo stesso a Ettore Scola, classe 1931, giunto da Trevico, il punto più alto dell'Appennino campano. Al "Marc'Aurelio" conosce Ruggero Maccari con il quale comincia un'altra straordinaria amicizia, oltre che una complicità artistica. Insieme scriveranno grandi film come La congiuntura (1965), Il commissario Pepe (1969) o Una giornata particolare (1977), il loro capolavoro.

In quella redazione, a dire il vero, Scola conosce anche Age e Scarpelli, burbe come lui, con i quali firmerà copioni altrettanto importanti. Due su tutti: Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968), enorme successo di pubblico, e il film-manifesto C'eravamo tanto amati (1974) dove Fellini recita una piccola parte nel ruolo di se stesso. Il cinema italiano in tutto il suo splendore. In fondo anche il punto di partenza di Che strano chiamarsi Federico è fedele al "metodo" narrativo e perfino ideologico di Scola, che nei titoli migliori ragiona non sul "come eravamo" ma su "come saremmo potuti essere". Esiste un Eden morale del nostro Paese, a volte identificato con la Resistenza o la ricostruzione "neorealista", tradito dal Boom di marca democristiana. La crescita del prodotto interno lordo è direttamente proporzionale alla corruzione degli ideali di libertà e partecipazione. Al cinema, il neorealismo ha raccontato l'Eden: a Scola, Maccari, Age e Scarpelli è invece rimasta la commedia per descrivere la montante cialtronaggine nazionale. L'approccio mimetico dei due "generi", in fondo, non cambia.

Non tutti i maestri della commedia all'italiana erano di sinistra (non lo era Dino Risi, gran borghese piuttosto conservatore), ma Scola scelse di essere organico al Partito comunista italiano partecipando al governo ombra di Occhetto nel 1989. Un modo per non limitare l'impegno politico al cinema di finzione e ai documentari schierati (sul divorzio, la Fiat, Berlinguer, le feste dell'Unità...). Anche, secondo qualcuno, un'arma a doppio taglio. Una militanza che avrebbe favorito il didascalismo ideologico di certi suoi titoli. Accanto a opere di primissima grandezza come quelle sopra citate, infatti, Scola ha firmato film eccessivamente programmatici (lo è La terrazza, 1980, che pure è uno dei più osannati: ma rivedetelo oggi!) e didascalici (Mario, Maria e Mario, 1993; Romanzo di un giovane povero, 1995). Secondo una vulgata severa l'ultimo capolavoro del regista sarebbe La famiglia (1987), affresco italiano attraverso le generazioni impreziosito da un cast stellare; ma forse dopo avere visto Che strano chiamarsi Federico l'asticella va spostata al presente. Un film soave e toccante quello su Fellini, come ai tempi migliori.

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