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ONDA&FUORIONDA

Le tre rose di Eva, Finalmente una Fiction (effe maiuscola) italiana.
di Pino Farinotti

Anna Safroncik (43 anni) 4 gennaio 1981, Kiev (Ucraina) - Capricorno. Interpreta Aurora Taviani nel film di Raffaele Mertes, Vincenzo Verdecchi Le tre rose di Eva.

domenica 22 aprile 2012 - Focus

Non sono un innamorato della fiction televisiva italiana. Di quella dell'era recente per lo meno. Qualche notte fa, scorrendo i canali, sono incappato, sulle reti minori della Rai, in due fiction dell'età dell'oro, Il Conte di Montecristo e I Miserabili. Passavano Andrea Giordana, Sergio Tofano, Carlo Ninchi e poi Gastone Moschin, Tino Carraro. Attori-monumento, classici, magari ritenuti oggi accademici, ma che artisti, che giganti. Se poi "incappi" nelle fiction nostrane di adesso la differenza la noti, e come, e non è un bel confronto. L'oro e il ferro, la formula è corretta. Casualmente, due settimane fa, agendo col telecomando, ho incrociato un paio di sequenze sulle quali mi sono soffermato: una bella distesa collinare, e poi ragazza con gli occhi azzurri che cammina su una strada sterrata. C'era qualcosa di diverso rispetto all'estetica, e ai modelli della fiction corrente. Si trattava di Tre rose per Eva. Ho visto quella prima puntata, poi le altre. Ribadisco: qualcosa di desueto per me. Qualcosa di diverso, insomma un bel prodotto.

Scaltro
Niente di nuovo in assoluto naturalmente, tutto già visto e tutto assolutamente scaltro. Ma tutto riproposto in una chiave ricca e spettacolare. I trucchi si vedono, ma li accogli volentieri. Per cominciare il titolo, è notorio che il lemma "rosa" porta fortuna, è garanzia di successo, sono decine i titoli in cui compare. A cominciare dal "Nome della rosa" di Eco, in giù.
Dunque, Aurora, la protagonista torna a casa dopo aver scontato otto anni di carcere per aver ucciso l'amante della madre. Un bambino capisce che è innocente: non puoi costruire una storia su un'assassina accertata, seppure bellissima. Il primo codice è dunque irresistibile, il tema del nostos (il ritorno) ci arriva da molto lontano, da Ulisse, e poi dai reduci di Troia che hanno dato corpo alle opere dei grandi tragici.
Lo scenario: le colline della Toscana, i vigneti soleggiati, i borghi, antichi e d'arte, arroccati sul monte, il tutto inquadrato con passaggi di elicottero. I modelli, bellissimi. Gli uomini trasudano appeal, anche quello del villain, del cattivo, e sono spesso a torso nudo. Le donne sono tutte pantere belle. Gonne che sembrano cinture, camicie trasparenti eccetera. Dicono le loro battute e vengono inquadrate, a lungo, mentre si allontanano, alla Marilyn in Niagara. Le scene di sesso sono "congrue" alla fascia protetta. Diciamo che si fermano un attimo prima di oltrepassare ... la protezione. Poi c'è il solito capitolo interno alla famiglia: predilezioni, invidie, contrasti, odi e amori e non puoi sbagliare, vai sul sicuro.

Oscura
Emerge una fase oscura/ambigua attraverso due-preti-due. Uno giovane-bello-buono e casto (e qualcosa gli costa). L'altro oscuro cattivo e.. non casto. In una sequenza il prete giovane, che si è messo contro i fratelli, durante la messa ha l'ostia in mano, la offre ai fedeli in fila, e si trova davanti il fratello cattivo che gli sussurra "traditore". Roba che neppure i migliori Matarazzo e Sirk -chi va al cinema sa cosa intendo-.
Poi ci sono delle ipotesi di incesto, di resurrezione: la madre delle ragazze, che ancora non si è vista e forse è morta incombe su tutti gli intrecci. Ci sono due carabinieri uno buono e onesto, l'altro cattivo e misterioso. C'è la donna tenuta nascosta e sedata perché sa troppo e ogni tanto compare e lascia biglietti qua e là. E c'è una cupola di cui non si sa ancora nulla, che si riunisce in una cripta. Ci sono Maserati e Porsche, casolari antichi e ville con piscina. Fuochi che divampano sui vigneti (il Mosto selvatico?). C'è tanta Dallas col vino invece del petrolio. In tema di citazioni, risalgo a La mia terra del 1959. Era la storia di una famiglia di viticultori della California, con Rock Hudson e Jean Simmons. Con tante vicende che davvero assomigliano a quelle delle tre rose.

Digressione
C'è persino qualcuno che recita. Una digressione: quando negli anni ottanta Pupi Avati inventò un registro recitativo domestico e minimale, ha di fatto devastato gran parte della fiction, televisiva, a seguire. Solo che Pupi disponeva di Barbareschi e Haber, gente che sa fare anche Amleto e zio Vanja, mentre la tivù dispone spesso di avventizi che bisbigliano un gergo naturalistico –chiamiamolo così- e si fermano a quello. Nelle Tre rose sono tutti corretti, non ci sono un Gassman o una Proclemer ma c'è un attore vero, Luca Ward, preparato e accademico il giusto, e poi possiede la più bella voce del mondo. Un'attrice "naturalista" ci sarebbe, dal registro imbarazzante, ma presenta sguardo e chioma di fuego, e si fa perdonare.
La ricchezza: tutti largamente sopra la media delle fiction nostrane. I produttori devono aver detto agli sceneggiatori: "non fate nulla che sembri italiano, niente Frassica che fa la pastasciutta o tipi spessi alla Amendola. Gente bella e 'internazionale'" E tutti ricchi.

Diversa
E poi lei, la protagonista Anna Safroncik, che fa Aurora. Anche lei è "diversa" appeal scattante che si dichiara subito. E' più che "bella", le appartiene quella grazia che le fa reggere un ruolo da protagonista così intenso. Aspetti che lei entri in scena. Con quel naso che credo sia l'oggetto dei desideri dei chirurghi di adesso: ridurlo come tutti, proprio tutti quelli delle loro clienti. Certi tratti del volto di Anna ricordano la bellissima Marina Berti, eroina del nostro cinema, - e non solo, ha fatto Quo Vadis- degli anni cinquanta.
Nella terza puntata ha cominciato a morire qualcuno –il prete buono, spinto giù da campanile, naturalmente- ma era tempo. Adesso occorre solo prepararsi alla fase discendente del racconto. Vedere se i treni partiti, che sono davvero molti, arriveranno tutti in stazione, puntuali. La sensazione che nel pacchetto forse sia stata compressa troppa roba. Vedremo.

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